Midsommar. Quando l’antropologia entra nel grande schermo

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Midsommar – Il villaggio dei dannati” un piccolo capolavoro antropologico che non ha avuto la sufficiente distribuzione nelle sale cinematografiche italiane.
Si potrebbe definire così quello che è stato il percorso nei cinema d’Italia dell’ultimo film del giovane regista americano Ari Aster, famoso anche per un’altra pellicola horror dell’anno scorso, suo esordio sul grande schermo, “Hereditary – Le radici del male“.

Midsommar, che vede come attori protagonisti Florence Pugh, Jack Reynor, William Jackson Harper e William Jack Poulter, racconta l’esperienza estiva di quattro amici e compagni di università e della fidanzata di uno di loro (che da poco ha vissuto una grande tragedia familiare per mano della sorella). Meta è la Svezia e più precisamente la comune di Harga, nella provincia di Halsingland (regione di Norrland, parte centro-orientale del paese) luogo di provenienza di uno dei cinque giovani, Pelle, l’ideatore della vacanza che per due degli amici, tutti laureandi in antropologia, è anche l’occasione per scrivere la tesi di laurea proprio sui riti e le tradizioni di questa antica comunità.

Midsommar, che vede come attori protagonisti Florence Pugh, Jack Reynor, William Jackson Harper e William Jack Poulter, racconta l’esperienza estiva di quattro amici e compagni di università e della fidanzata di uno di loro (che da poco ha vissuto una grande tragedia familiare per mano della sorella). Meta è la Svezia e più precisamente la comune di Harga, nella provincia del Hlsingland (regione di Norrland, parte centro-orientale del paese) luogo di provenienza di uno dei cinque giovani, Pelle, l’ideatore della vacanza che per due degli amici, tutti laureandi in antropologia, è anche l’occasione per scrivere la tesi di laurea proprio sui riti e le tradizioni di questa antica comunità.

In un ambiente mistico, raccontato grazie anche alla ottima fotografia a cura di Pawel Pogorzelski, gli ospiti di Harga vedranno le loro vite completamente sconvolte, entrando prima in contatto con riti sacrificali sicuramente esistiti nella storia, ma oggi lontani dalla cultura dominante occidentale e poi diventando loro stessi protagonisti a loro insaputa delle cerimonie dedicate al solstizio d’estate (da qui il titolo del film, Midsommar tradotto in italiano dallo svedese significa letteralmente “mezza estate“, periodo nel quale cade più o meno il solstizio). Riti, danze e memoria storica passano nei 140 minuti di film in maniera interessante, interessando lo spettatore e creando in lui una sorta di perenne attesa di ciò che, secondo la critica, rende questo film come horror, anche se di horror non ha molto.

La parte in italiano del titolo nel nostro paese non rende onore al film, creando finte aspettative assolutamente non inerenti al conenuto. Midsommar racconta, attraverso riti lontani lontani oggi dal nostro agire, quello che nei secoli è stato accettato e svolto da tantissime popolazioni, spesso lontane tra loro nel tempo e nello spazio, il più delle volte senza contatto tra di loro, cioè il sacrifico umano.

Ari Aster sicuramente ha voluto trasformare un buon approccio antropologico sulle celebrazioni di metà estate in nord Europa, in un formato che attirasse persone al botteghino, permettendo alle casa di produzione di vendere questo film come horror, dove di horror c’è davvero poco.

In Midsommar si trova la crudità delle scene, dei sentimenti tra umani, si trova la morte, quel fenomeno inevitabile che ogni essere umano prima o poi deve vivere ma che ogni giorno, con tutte le nostre forze cerchiamo di dimenticare e nascondere.

L’opera di Aster ci mette davanti alla crudeltà della vita e al ciclo naturale delle stagioni e al loro passare, che sembra non essere accettato dai cinque ragazzi protagonisti e dagli e dalle spettatrici, ma che viene totalmente assecondato senza nessun problema e turbamento dagli abitanti di Harga, che pur di entrare in contatto con le loro credenze ancestrali, sono disponibili a rinunciare alla loro propria vita, combattendo e difendendo a tutti i costi i loro ideali.

In un film dove i riti raccontati di Harga per il solstizio estivo sono stati adattati per la trama del film e di autentico non hanno molto, ciò che disturba è paradossalmente la reale crudità dei sentimenti e la pacata accettazione e atteggiamento di corteggiamento che gli abitanti della comune hanno verso la morte, in pieno contrasto con quello che accade oggi a livello globale nelle culture e società contemporanee.

Un’occasione perduta per la distribuzione italiana per proporre e far conoscere un nuovo modo di fare cinema, un cinema drammatico ma delicato, che racconta anche quello che non totalmente mainstream, facendo conoscere attraverso una fotografia impeccabile e a uno storytelling interessante riti, tradizioni e culture che sembrano oggi non appartenerci, ma che invece sono stati presenti nelle culture dei nostri avi per tantissimo tempo.

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