Home Blog Page 1745

Emma: Esce il 26 Gennaio “Essere Qui” il nuovo album

0

E’ stato il regalo che molti fans si aspettavano per inaugurare al meglio il nuovo anno, e così è stato grazie ad Emma Marrone che attraverso i suoi canali social ha comunicato l’uscita del nuovo album che arriverà in tutti i negozi di dischi e store digitali il prossimo 26 Gennaio.

Adesso – Emma Marrone

Il nuovo album dell’artista si intitola “Essere Qui” ed arriva a distanza di tre anni dal precedente lavoro “Adesso”, ed in questo nuovo capitolo musicale Emma ha potuto lavorare con nuovi collaboratori tra cui Paul Turner dei Jamiroquai ad Adriano Viterbini e Ninjà dei Subsonica.

Mi sono presa il tempo necessario, il mio tempo.Il tempo di fare e di disfare, di suonare e di risuonare, di cantare e…

Pubblicato da Emma Marrone su Domenica 31 dicembre 2017

Emma – Discografia

2010 – Oltre (EP)
2010 – A Me Piace Così
2011 – Sarò Libera
2013 – Schiena
2014 – E Live
2015 – Adesso

Benedetta Persico, la diciassettenne calabrese vola in California grazie al suo talento

0

A soli diciassette anni vince il premio de ‘Il Quotidiano in classe‘ e vola direttamente in California. Si chiama Benedetta Persico la giovane ragazza calabrese che si è aggiudicata il meritato riconoscimento tra oltre 70 mila altri ragazzi.

Il sopracitato progetto è promosso dall’Osservatorio Permanente Giovani-Editori, in collaborazione con il Corriere della Sera, il Sole 24 ORE e Quotidiano.net riservato a docenti e studenti delle scuole superiori di tutta Italia. I partecipanti, su richiesta dei giornalisti Orsola Riva, Luca Tremolada e Gianluca Schiavon, hanno quotidianamente scritto articoli con tanto di video e commenti vari.
Dopo otto lunghi mesi, la giuria, dopo aver ben esaminato tutti i lavori dei ragazzi, ha decretato il miglior elaborato in base ai punteggi ottenuti e alla qualità contenuta in essi.

Ad uscirne vittoriosa è stata Benedetta, studentessa del Liceo Classico ‘Borrelli’ di Santa Severina, talentuosa e promettente ragazza che vive in un paesino dell’hinterland crotonese, Petilia Policastro (KR). Scelta come campionessa assoluta dell’ultima edizione, la Persico ha così potuto godere della vittoria grazie al viaggio vinto, un’incredibile esperienza nella lontana California, nella Silicon Valley tra aziende di elevata importanza. Tra queste Facebook, Apple, Linked, Youtube e Google.

Estrema la soddisfazione, non solo per l’istituto che ‘ospita’ la vincitrice, ma anche per la famiglia e per l’intero paese. Giovani spigliati, giovani capaci, giovani attivi, giovani volenterosi. E’ questo quello che si cela dietro ad una realtà, apparentemente, non troppo ambiziosa. Un caso, quello di Benedetta, che dovrebbe far pensare a quanto ‘possibili’ possano diventare i cosiddetti ‘sogni impossibili’, se solo coltivati con la giusta dose di tenacia e determinazione e perché no, anche con un pizzico di fortuna. Un messaggio che arriva secco e chiaro ai giovani del Sud, una speranza che dovrebbe restare sempre completamente accesa, una voglia di crescere e di primeggiare che arriva dalle mani e dagli occhi di una diciassettene. Un futuro ancora tutto da scrivere per la giovane calabrese che, però, mette in ‘saccoccia’ un’esperienza formativa che va oltre ai limiti delle aspettative. Un grande punto da cui partire per arrivare sempre più in su. Sempre più in alto.

E’ questo quello che auguriamo a Benedetta che ci ha carinamente lusingato di una semplice ma intensa chiacchierata.

D: Benedetta, innanzitutto le facciamo i complimenti per la splendida vittoria. Ci racconti un po’ come ha avuto inizio il suo percorso che l’ha poi vista protagonista e vincitrice del progetto ‘Il Quotidiano in Classe’. Ci spieghi un po’ che esperienza è stata.
R: Si è trattato di scrivere da un minimo di uno ad un massimo di tre articoli a settimana per 8 mesi. Non avrei mai immaginato di essere capace di scrivere così tanto in vita mia. Prima del Quotidiano in Classe a mala pena scrivevo degli eventi promossi dal Liceo. E’ stato un percorso illuminante sotto molti punti di vista e sicuramente mi ha messo nelle condizioni di cimentarmi nelle analisi degli argomenti più diversi, dall’evasione fiscale alla ricerca della felicità nell’era di internet.

D: E’ stato difficile scrivere il primo articolo/testo? Di cosa trattava?
R: Beh, è stato molto divertente, a dire il vero, il solo pensiero di far parte di una “redazione online” ha reso tutto più appassionante. Ricordo benissimo il primo articolo, riguardava la distopica possibilità di vivere in un mondo come in una puntata della serie tv ‘Black Mirror’ , il dibattito era ovviamente sui social network e su che ruolo, questi, giocassero nel trasformare le nostre vite in una sfida a chi ha più “stelline/cuoricini”.

D: Avrebbe mai immaginato che, tra oltre 70 mila partecipanti, la scelta dei vari giornalisti sarebbe ricaduta su di lei?
R: L’ho immaginato,certo, ma mi hanno insegnato a stare con i piedi per terra.

D: Come ha vissuto il momento della vittoria? E, in che modo glielo hanno comunicato?
R: La referente del progetto mi ha chiamata esordendo con un bel:“Andiamo in California, Benny”. Sul momento non riuscivo a crederci, sono andata a controllare sul sito del quotidianoinclasse e c’era il mio nome. I primi a saperlo sono stati i miei genitori, mio fratello e i miei nonni. Ricordo solo un grande abbraccio di gruppo.

D: Il premio consisteva in un viaggio in California, nella Silicon Valley. Com’è andata? Cosa e chi ha avuto modo di conoscere? Quali grandi aziende ha visitato? Cosa le è rimasto di questo viaggio?
R: Nel cuore mi rimarranno il Golden Gate e la zuppa di granchio che ho assaggiato a Fisherman’s Wharf, ma anche l’atmosfera rivoluzionaria della City Lights Bookstore. San Francisco è una città meravigliosa. Gli incontri alla Silicon Valley con i manager di LinkedIn, Youtube e Logitech me li immaginavo esattamente così. Sono stati un pozzo inesauribile di idee e di stimoli per il mio futuro.

D: Come abbiamo già detto, lei frequenta il Liceo Classico ‘Borrelli’ di Santa Severina, dopo aver concluso gli studi sa già quale strada voler intraprendere? Ci racconti le sue ambizioni.
R: Le idee ci sono, ma voglio prendermi tutto il tempo prima di decidere “cosa farò da grande”. Potrei diventare un buon medico, ma potrei anche scoprire di essere un’ottima equilibrista ed entrare a far parte di un circo. Scherzo, in realtà ho un pessimo equilibrio. Il punto è che voglio essere certa di fare qualcosa che amo e di amare quello che faccio.

D: Lei vive in un paese della provincia di Crotone, come tanti altri giovani, pensa di lasciare la Calabria per cercare fortuna altrove o, spera di poter restare nella sua terra cercando di coltivare i suoi sogni proprio dove tutto ha avuto inizio?
R: Sarebbe bello poterle dire che non ho mai pensato di lasciare la Calabria, eppure, così come un gran numero di miei coetanei, ho paura che la mia terra possa precludermi un gran numero di possibilità. Se ho pensato di andare via? Ovvio. Se ho pensato di non tornare più? Mai.

D: In una sua recente rivelazione dice che, forse, da grande vorrebbe diventare giornalista. Quali sono i temi di cui preferisce scrivere?
R: Fa un certo effetto sentirsi dire “da una sua recente rivelazione”. Beh, sì, ho scoperto in gran parte anche grazie al progetto del Quotidiano in Classe che scrivere mi fa stare bene. Non trovo improbabile una carriera da giornalista. Mi appassiona particolarmente scrivere di politica internazionale e di tecnologia, trovo che siano temi complessi e affascinanti, unici indicatori del cambiamento costante della nostra società.

D: Ha ancora tanta strada davanti a sé, in un futuro le piacerebbe scrivere un libro? Ci ha mai pensato?
R: Sì, ma niente di concreto al momento. Ho in mente sia un romanzo tra il fantascientifico e il distopico che un monologo teatrale. Vedremo cosa ne uscirà fuori, magari scrivo la sceneggiatura del prossimo film di Spielberg.

D: Cosa significa per lei scrivere? E’ una passione che nasce sin da piccolina o l’ha scoperta negli ultimi tempi?
R: Ho scoperto la scrittura al Liceo e credo sia diventata una grande amica. Quando scrivo mi capisco di più e capisco di più anche chi mi sta intorno.

D: Con un’ultima domanda la salutiamo e la ringraziamo di averci concesso queste sue ‘confessioni’. Ha un idolo? Qualcuno a cui si ispira mentre scrive?
R: Stefano Benni è il mio scrittore preferito, sorrido mentre leggo i suoi romanzi. Quando scrivo, ma anche quando leggo, cerco l’ironia e quella critica sottile, ma ben confezionata, che Benni incarna alla perfezione. Per lo stesso motivo leggo con piacere il Caffè di Massimo Gramellini sul Corriere della Sera, sempre pungente al punto giusto.

 

Intervista al poeta contemporaneo Gastone Cappelloni, scrittore per la beneficenza…

0

Gastone Capelloni, Poeta contemporaneo, classe ’57, nasce e vive a Sant’Angelo in Vado, in provincia di Pesaro e Urbino, paese di quattromila anime, ai piedi dell’Appennino Marchigiano, quinto di sei figli. Inizia a lavorare all’età di quattordici anni, in fabbrica, tipografia e proseguendo in un magazzino tessile fino al conseguimento della pensione, anche se raggiunta in, diciamo, giovane età, per motivi di salute.

 

Come nasce il poeta Gastone Cappelloni e perchè hai scelto questa strada?

Credo che sia stata la poesia ad aver scelto me ad indirizzarmi in chiave poetica… Tutto nasce dalla voglia e le sensazioni di continuare a esprimersi, di continuare il racconto di vita passata, di vita appartenuta… che appartiene all’indole di eterno viaggiatore dell’anima. Ecco allora senti il bisogno non solamente di esternare ma di continuare a raccontarti e raccontare il percorso fino a qua intrapreso.

Hai mai pensato ad un nome d’arte che rappresentasse la tua vena poetica?

Devo dire che Gastone è già un nome particolare e calza a pennello con l’artista che sono… Anche perchè mi è stato detto da un’amica tanto tempo fa: “Gastone, il tuo nome non è stato messo a casao…”. Non rientra nella casistica dei nomi scontati e io ci credo.

Da bambino cosa sognavi di fare? Hai realizzato il suo sogno o i tuoi sogni nel cassetto?

Io credo che ho intrapreso il percorso insieme ai sogni proprio perchè sono perenni, non puoi aver realizzato i tuoi sogni altrimenti credo che la propria strada volge quasi al termine… preferisco sempre sognare proprio perchè rimanendo come amo definirmi quel eterno Peter Pan mi permette ogni giorno di ricoprire in qualche cosa che mi appartiene e mi incuriosisce ancora di pù ad approfondire le stesse metafore di vita.

Parliamo della tua ‘ultima’ opera: Perchè hai scelto il titolo “6.0”?

6.0 perchè non a caso sono i miei primi 60 anni di vita, ecco la causa di questo titolo. All’interno di esso troviamo il doppio significato: non solamente i 60 anni ma il 6.0 sta a significare un punto di partenza verso altri sessanta…

Come risponde la tua città S.Angelo in Vado riguardo questo aspetto artistico?

Raccontaci brevemente il recente viaggio in Argentina:

Posso dire che è stata un’esperienza impossibile da raccontare proprio perchè vissuta e come tu ben sai le emozioni le puoi vivere ma raccontarle rimane un po’ problematico. Ho toccato nove città per un totale di 2.700 km. E grazie ai contatti che ormai ho sono riuscito a creare un rapporto di amicizia che mi ha permesso di organizzare 15 eventi in scuole, radio e televisioni. Devo ringraziare la Regione Marche per avermi dato la possibilità di averla al mio fianco essendo anche testimonial della Regione stessa ed avendo il supporto del patrocinio. Anche le associazioni marchigiane mi hanno fatto sentire il loro sostegno e devo dire che non sono mai stato lasciato solo e rappresentare la propria regione è sempre un grande vanto.

Quando prepari un libro, hai già in mente quello che sarà il titolo oppure hai da scegliere fra diverse idee che più rappresentino il libro stesso?

Trovare i i titoli giusti non è mai semplice, anche perchè non mi piace la ripetitività e poi il titolo da assegnare per me è sempre sacro… a volte veramente ci impiego mesi e mesi con titoli che nascono però puntualmente poi vengono abortiti per questo motivo, non soddisfano tutti i requisiti.

Perché un libro sull’Argentina e sui migranti italiani che si trasferirono dagli inizi del ‘900?

Forse perché coinvolto emotivamente, non posso dimenticarmi, che la mia famiglia ha toccato non solo simbolicamente la migrazione, infatti, non solo zio Lino, fratello di mio padre ha lasciato il proprio paese per l’Argentina, ma anche Domenico, altro zio, emigrato in quel di Nizza, Francia, quindi, il tema legato a quella terra è vivo e attuale, moralmente mi sento parte integrante di quella stessa realtà, poi “Un seme oltre oceano” è il coronamento di quello che il cuore ha sempre toccato con il pensiero fattivo della presenza.

Com’è nata l’idea di un tuo viaggio per promuovere il libro proprio oltre oceano?

Un rapporto carnale che vive anche e non solo nella realtà, ma nell’inconscio è sempre attuale per chi conosce la storia della famiglia, in questo caso, la storia della mia stessa famiglia. Promuovere il libro oltre oceano è stato forse il sogno nascosto che avevo, ma mai avevo preso in considerazione, proprio perché il legame affettivo che ho sempre avuto non solo con lo zio, ma anche son mio cugino e suo figlio è sempre stato reale e concreto, e non curiosità di conoscere parenti perché appartengono alla famiglia di mio padre. Il viaggio in Argentina è stato la sublimazione del cuore per mio padre, meritava questa soddisfazione, anche se purtroppo non più presente.

Com’è stato questo viaggio? Com’è per un poeta arrivare fisicamente nei luoghi che fino allora aveva soltanto raccontato con le sue poesie?

Ho scritto in modo dettagliato i ventotto giorni che mi hanno permesso di trascorrerli non solo a Mar del Plata dove vive lo zio ma anche in altre due città dove il libro ha preso forma, presentandolo. Il libro racconta con dovizia di particolari il viaggio, non senza esilaranti momenti, veramente mio padre mi ha assistito dal cielo, io confusionario nato, ancora ricordo le battute degli amici, ora mi rendo conto che cosa ho affrontato, anche se rifarei il tutto. Indescrivibile, raccontare luoghi dove lo zio Lino vive, fascino e mistero che permeano l’immaginazione, facendomi rivivere gli anni della mia stessa infanzia, un viaggio a ritroso, proprio perché il loro stile di vita riportava agli anni sessanta. Calore, solarità, abbraccio di vita, genuinità, e non solo, valori che riportano a chi si era.

Quanto di Italiano e di vadese hai trovato in Argentina? Ci sono persone, cose, luoghi che ricordano la nostra città?

D’italianità tanto, anche se oramai sono arrivati alla quarta generazione e vivono, respirano con il sangue della propria terra, e dell’appartenenza, anche se nati lontano dall’Italia, si sentono Italiani a tutti gli effetti, anche se la lingua è lo spagnolo, appena conoscono le storie dei loro antenati, e avere origini paterne o materne, anche se conosciute o immaginate, li riempie d’orgoglio e di soddisfazione. Invece di VADESE il dialetto, le storie, la vita vissuta, i loro cari, le sofferenze per il distacco, mi sono sentito e trovato a casa nel loro modo di porsi facendosi conoscere per quello che effettivamente riconosco, e non solo per l’amicizia che ancora li lega ai miei genitori. Sì, non solo ho respirato il paese, ma soprattutto il tempo che mai passerà nei loro cuori, perché parte coinvolgente delle loro stesse radici.

Dalla Spagna sei passato all’Argentina. Dove sta il collegamento?

Essendo un libro dedicato non solo allo zio Lino, ma a tutti gli italiani sparsi nel mondo, il passo è stato assai breve, e dopo l’Argentina ecco la Spagna, Madrid. Il libro è stato presentato al COMITES (Comitato degli italiani residenti all’estero), proprio perché filo conduttore è la migrazione, e grazie a un’amica cara Elisabetta Bagli, è sbocciata la possibilità di presentarlo anche in quella terra, progetto iniziato da subito, dopo aver fatto ritorno in Italia.

Tutto questo girovagare è merito del tuo ultimo libro, raccontaci di cosa parla, come lo hai scritto e che caratteristiche ha?

Inconsciamente è merito dell’ultimo libro, il diciannovesimo in ordine d’uscita, se ho realizzato un sogno che durava da quando ho iniziato a crederci, anche perché i sogni non possono avverarsi se non vissuti appieno, ed io da “folle” ci sono riuscito, ancora mi domando com’è stato possibile non conoscendo la lingua o vivendo in realtà opposte. Raccontarlo rimane difficile, lascio al lettore il gusto e la curiosità mentale di far sì che diventi metafora compiuta, il significato, emozioni legate a stati d’animo non solo immaginati nella mente, ma vissuti appieno grazie a sessant’anni di racconti famigliari, dove noi eravamo coinvolti non solo emotivamente nel racconto reale di questa lontananza. Leggendolo ognuno di noi si ritrova emigrante, ma con la differenza di vivere nella propria terra, immaginandosi di riflesso in quello che non gli appartiene, ma che potrebbe coinvolgerlo. Potrebbe accadergli. Poesia è storia, e questo libro appartiene a tutti noi, nessuno escluso, è il racconto di quel viaggio mai terminato, ma sempre con le valige in mano!

Gastone ormai è un poeta di fama nazionale che gira tutta la penisola. Quanto conta per un poeta partecipare ai vari premi e tenere contatti con l’ambiente e con i colleghi?

Fama nazionale? Non proprio, credimi penso più alla sostanza che alla forma cioè, prima del Poeta o di Gastone viene il Paese. Il MIO Paese. E girando l’Italia, la sola cosa che conta, anche se, racconterei bugie se non fossi onorato dei complimenti, di poterlo far conoscere. I premi, gli encomi, sono cibo per il cuore e per la mente, inutile nasconderlo, ma quello che conta veramente è il rapporto che s’instaura con la gente con le persone che conosci o frequenti, nessun premio speciale, potrà mai farti sentire realizzato e poi i rapporti umani sono prevaricati dalla smania di essere, di apparire, come si vuol dire, come semini, raccogli, e il lato umano ha sempre il sopravvento sul lato prettamente simbolico. Siamo Poeti non del corpo, ma dell’anima, dove il significato dell’esistenza è in quello che scrivi e non solo in quello che vivi.

Nel tuo ultimo libro c’è molto di autobiografico. Quanto conta nella tua produzione letteraria il tuo paese, le tue origini e la tua storia?

E’ un rendiconto di vita attraversata, vissuta con il finale che mai finirà, come d’altronde potrebbe esserlo, come raccontare quello che vorremmo ma che non possiamo, se non in senso lato, noi siamo storia di noi stessi, figuranti consenzienti di una non appartenenza, destino inconscio della stessa vita vissuta, complici indifesi di un’impalpabilità che ci rende partecipi ma irreali. Poesia è storia quotidiana, il resoconto della consuetudine che abbiamo vissuto, un cammino introspettivo del passato, del presente, ma soprattutto del futuro che appartiene all’oggi ma che non vuole radici o etichette. Il Paese è vita, è racconto tramandato, ombra protettiva delle stesse nostre illusioni. Le nostre origini sono scritte nella stessa storia del destino, noi vittime sacrificali, senza la perplessità nella stessa esistenza. La storia sono gli altri, noi spettatori di noi stessi, senza diritto di replica.

Gas lasciaci con un messaggio finale:

Il mio viaggio in Argentina passa anche da qua… Grazie e ringrazio te e tutti i lettori, vi invito a leggermi e se volete sapete che il ricavato del mio libro andrà in beneficenza. Io ci tengo tantissimo poi sta a voi decidere se ne vale la pena leggermi oppure no…

 

CONTATTI: www.gastonecappelloni.com

Giovanni Nucci: dai libri per ragazzi a… due uova molto sode!

0

Giovanni Nucci, poeta e scrittore, noto per i suoi libri per ragazzi, si è presentato a Pordenonelegge.it con un libricino che va oltre il suo genere, un titolo che di sicuro attira l’attenzione perché “Due uova molto sode” profuma molto di onda effetto Masterchef… E invece no, perché quest’opera, pubblicata dalla casa editrice Italosvevo, con la scusa delle uova, dopo una breve introduzione “tecnica” su come cucinarle, le uova, ci porta altrove.

Il libro gioca sull’equivoco, e l’ossessione per le uova abbraccia la passione per la letteratura. “Le uova sono una scusa – spiega Nucci –, una scusa per scrivere storie, racconti. L’idea è nata praticamente per gioco: mi sono messo a scrivere una storia sulle uova alla Benedict, perché c’è una letteratura sterminata che tratta questo tema… ho scoperto che era divertente. Le uova hanno un livello mistico perché hanno milioni di modi di essere cucinate, centinaia di interpretazioni. Questo fa buon gioco a uno scrittore. Scrivendo di uova in me si è illuminata l’dea che scrivendo di cucina uno scrittore può dare il meglio di sé. E mi spiego meglio. Oggi credo manchino gli scrittori come Aldo Buzzi, quegli scrittori che fanno un libro solo perché hanno voglia di scrivere. Questo è un po’ colpa degli editori, che sono convinti di sapere cosa vuole il pubblico. In verità i libri sono una merce molto varia; quando compri un libro non sai cosa ti succederà, come e cosa il libro cambierà di te. E credo che i migliori libri siano quelli che anzitutto piacciono a chi li scrive. Ecco, io mi sono divertito e mi è piaciuto scrivere questo libro”.

Dalla letteratura per ragazzi a un’opera che pare parlare di cucina, ma che in realtà parla di uova, non in cucina… di uova nella vita di tutti i giorni… “Gli scrittori per ragazzi – ironizza Giovanni Nucci – sono un po’ considerati di serie B. E allora ho voluto fare qualcosa per salire in graduatoria, scrivere un libro che scuotesse i miei lettori e interlocutori…”.

Scrivendo di uova? No. Vi svelo l’arcano. Le uova tengono insieme il tutto, ma tra le pagine ci trovate … altro. Il libro è fatto di storie vere e racconti inventati il cui fil rouge sono le uova. Tra frittate, uova alla coque o al tartufo, maionese e stracciatella, Marilin Monroe, Kafka o Picasso lasciano il posto a Guido Alberti, Carlo Sperati o Enrico Polidoro: realtà e invenzione dove parlare di cottura delle uova è una metafora… o la scrittura è una metafora della cottura delle uova…

Eh si lo so che vi ho incuriosito. Come questo breve libro ha incuriosito me e mi è piaciuta l’arguzia (attenzione, Nucci è uno scrittore attento e pignolo e nulla è lasciato al caso) con cui l’autore ha canzonato la sua fatica letteraria: “Basta mettere in mezzo un uovo o una frittata e tutto funziona!”.

Racconti che non sono racconti che sembrano un reportage sulle uova… e, dulcis in fundo, la presentazione a Pordenonelegge si è conclusa con uno show cooking degli chef Andrea Canton (La Primula – San Quirino -PN) e Andrea Spina (Al Gallo – Pordenone). E Canton, che ben ha interpretato il libro di Nucci, non poteva che proporre uova non uova!

Francesca Orlando

Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini: la nostra vita tra scrittura e cinema

0

Ho amato i libri, il mondo della carta stampata, la letteratura, sin da un’età che nemmeno ricordo. In questo mondo fatto oramai di smart phone, Ipad, ebook e chi più ne ha più ne metta, ho stanze zeppe di libri, un quaderno con appuntati titolo e trama di tutti i libri letti in quarant’anni di vita e le frasi (sui libri rigorosamente sottolineate a matita) che più mi hanno colpito e in cui mi riconosco, o mi trasmettono un messaggio particolare, di ogni singolo romanzo. E non smetto, né smetterò, di comprare libri, quelli veri, quelli di carta, in brossure svariate e di cui sono estremamente gelosa.

Guardo un film tratto da un romanzo solo dopo aver letto il libro e il più delle volte resto delusa perché l’interpretazione del regista non è quasi mai la mia, perché le ambientazioni e i volti dei personaggi non corrispondono al mio immaginario…

Questo non succede con i libri di Margaret Mazzantini, quando Sergio Castellitto, regista e sceneggiatore, porta sugli schermi uno dei libri di questa straordinaria autrice. Perché?

Perché quando scrittrice e regista sono una coppia nella vita, lei, la scrittrice, nella sceneggiatura ha un ruolo attivo e allora, allora il connubio scrittura e cinema è arte assoluta, un matrimonio perfetto che mai potrà deludere né gli amanti della letteratura né gli appassionati del cinema.

Non ti muovere” lo lessi d’un fiato, il film mi fece emozionare quanto le pagine scritte.

Ora è il momento di “Fortunata”, sugli schermi dal 25 ottobre, già successo al Festival di Cannes 2017: altra creatura Mazzantini-Castellitto dove però, al posto di un libro, c’è direttamente una sceneggiatura. Forse il cinema ha influenzato Margaret?

Ed ecco la risposta arrivare direttamente da loro, grazie a Pordenonelegge.it, dove Margeret Mazzantii e Sergio Castellitto sono stati ospiti in questa straordinaria diciottesima edizione del festival.

“Ho sempre amato tutte le forme d’arte – esordisce la Mazzantini – e tra esse anche il cinema, anche se mi piace molto di più vederlo che farlo. Sicuramente il cinema ha influenzato la mia scrittura, fin dall’inizio della mia carriera, tanto che tutti i miei libri sono fatti di una scrittura ricca di immagini, che molto si prestano ad essere trasformate in pellicola. Poi con Sergio l’influenza si è fatta sicuramente più accentuata e così scrivi e scrivi… ‘Fortunata’ è stata direttamente una scenografia”.

Un’alchimia naturale quella tra questi due artisti?

“Direi fatale – ride Margaret –! Del resto stiamo insieme da tanti anni… Quando ho iniziato a scrivere, Sergio non pensava di portare sullo schermo i miei libri, ma poi con ‘Non ti muovere’ abbiamo iniziato a lavorare insieme. Abbiamo una visione molto simile del mondo, della vita; c’è affinità e questa affinità si respira credo, anche tra libri e film”.

Due braccia o due menti?

Questa volta è Castellitto a rispondere: “Due menti sicuramente! Ma il genio è Margaret, perché il genio è ciò che crea un’idea unica. Poi ci sono io, un bravissimo artigiano, che dipana, che “cucina” e fa ben assaporare ai telespettatori le sensazioni, le emozioni che Margaret ha creato.

Devo ammettere che ho imparato a fare regia grazie alla scrittura, quella di Margaret in primis, e non grazie ai registi con cui ho lavorato. Le frasi di Margaret muovono un nervo dentro di me che fa in modo di trasformarle in immagini”.

Ma se Castellitto ha imparato a fare il regista, Margaret Mazzantini è nata scrittrice.

“Mio padre faceva lo scrittore – racconta l’autrice – e in lui ho visto tanta sofferenza, difficoltà, e non volevo fare la scrittrice. La mia è stata una vocazione inizialmente negata, tanto che prima di iniziare a scrivere ho fatto teatro. Poi forse il mio era un destino (io credo invece che i doni naturali non possono essere messi a tacere, perché prima o poi hanno bisogno di esprimersi) e ho scritto il mio primo libro. La mia scrittura è però completamente diversa da quella di mio padre. Lui era così tanto nostalgico, legato al passato…”.

Ma che differenza c’è tra scrivere e fare un film?

“Scrivere è un gesto di solitudine sostanziale – risponde Castellitto -, mentre fare un film è un gesto di solitudine nella moltitudine”.

Una solitudine che un po’ Margaret ha dovuto accantonare, moglie e madre di quattro figli, moglie di un regista per di più, che negli ultimi anni ha richiesto la sua collaborazione.

“Casa Castellitto-Mazzantini è molto viva, c’è un sacco di lavoro da fare – ride Margaret –e a volte siamo stanchi, pur nella nostra straordinaria complicità… i figli, il lavoro, le sceneggiature, i film… Ma no, non rinuncerò ai miei libri e presto riscatterò il mio bisogno di solitudine chiusa in una stanza a scrivere”.

E chissà magari il teatro non ha del tutto perso un’attrice perché la Mazzantini non esclude un ritorno sul palco… ma tutto a suo tempo. Intanto godiamoci questa nuova pellicola, questa nuova storia  che ancora una volta confermerà sul grande schermo, grazie a Castellitto, la popolarità ottenuta da Margaret Mazzantini con le mie amate “storie di carta”.

Francesca Orlando

 

Giulia Calligaro: ma cos’è la felicità?

1

La felicità è lo stato d’animo (emozione) positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri. (Wikipedia)

Felicità: non è facile parlarne, ancora meno scriverne…  Filosofa di studi e di pensiero, a volte, come tutti, temo sia irraggiungibile, ma soprattutto credo sia una concetto dall’interpretazione e dal vissuto talmente soggettivo, un sentire fatto di emozioni ed esperienze proprie, esclusive, che la felicità di una persona non sarà mai uguale a quella di un’altra.

Se infatti per i miei amati antichi filosofi greci la felicità (eudaimonìa – che suono meraviglioso ha questa parola!) ha sempre coinciso con il fine ultimo di tutte le azioni dell’uomo, ovvero il fine ultimo della vita, perché loro non intendevano la felicità come l’appagamento dei propri desideri e delle proprie inclinazioni ma la facevano coincidere con il Bene, oggi la felicità ha perso la connotazione morale, trasformandosi in qualcosa che sa più di edonismo, qualcosa di esclusivamente personale, legato alla soddisfazione propria, alla realizzazione dei nostri desideri.

Ed ecco perché da Bene raggiungibile, la felicità si è trasformata in un fine quasi impossibile: una chimera, un sogno irraggiungibile che però tutti inseguiamo… e ci sentiamo eternamente insoddisfatti perché non felici!

Ma allora, che cos’è la felicità?

Giulia Calligaro, ospite alla diciottesima edizione di Pordenonelegge.it, risponde con grande coraggio a questa domanda, mettendo a nudo se stessa, narrando la propria esperienza, condividendo la sua idea di felicità, e sì, perché no, raccontandoci la Sua felicità.

Lo fa nelle pagine di un libro (Esercizi di felicità), ma riesce ancor più a toccare i cuori delle persone quando lo narra a voce al pubblico.

Si, perché magari se vi trovate il suo libro tra le mani vi potrà sembrare che sia uno dei tanti scritti che esaltano le pratiche yoga. Ma non è così. “Siamo tutti in viaggio e non è detto che lo yoga sia la soluzione per ognuno” dice Giulia. Ma che significa? E quale è allora il messaggio celato dietro e oltre questa copertina?

“L’essere umano – racconta la Calligaro – cerca la felicità fuori, nelle cose materiali magari, nel lavoro, nei rapporti umani, ma dura poco; succede a tutti. E allora forse non è questa la vera felicità, ma è un disegno più grande, qualcosa che ha a che fare con il nostro viaggio di vita, con noi stessi.

Io non ho trovato la felicità attraverso lo yoga e infatti non a caso il Maestro dice che lo yoga arriva quando sei pronto… e poi ti aiuta a coltivare pratiche quotidiane che fanno in modo di non perderla, la felicità”.

Il percorso di Giulia nasce da un dolore, uno di quelli che tutti proviamo, che tutti incontriamo. “Sono stata da un medico e gli ho chiesto di spiegarmi il senso di questa vita, dove c’è più sofferenza che gioia… E a un certo punto sono partita da lì, dalla sofferenza e ho iniziato un percorso interiore, dentro di me. Ho capito che dal dolore potevo tornare indietro, fare un percorso inverso, perché a volte la vita ci manda dei messaggi e il dolore è uno di essi. E allora bisogna seguire i propri stati d’animo, capirli, interpretarli, perché questo ci dona consapevolezza. Ecco, per la felicità non esistono ricette, la felicità va scelta e la trovi solo se la cerchi dentro di te, solamente dentro di te”.

Assumono un senso, dopo questa rivelazione di Giulia, le parole di Franco Arminio sulla prima di copertina:

“Aiuta a pensare che parlare di felicità e di amore significa già mettersi sulla buona strada, come se fosse una profezia che si autoavvera. E oggi forse è l’unico gesto sensato di dire sì alla felicità”.

Come a dire che “siamo ciò che vogliamo essere”, che se davvero la desideriamo questa felicità, la possiamo trovare solo dentro di noi.

“Mi viene in mente un esempio – continua Giulia -, una di quelle esperienze che credo tutti almeno una volta nella vita provano. Il tuo lavoro non ti piace più; ci sono due scelte: continuare a stringere i denti e lavorare mal volentieri, insoddisfatti, oppure rischiare, girarsi e guardare il vuoto dell’incertezza del domani, senza quel lavoro. Il messaggio è che bisogna avere il coraggio di rimanere un attimo scoperti, perché dopo il vuoto arriva sempre qualcosa, arriva un altro messaggio dopo che abbiamo ascoltato il primo (l’insoddisfazione per ciò che siamo facendo).

Quello che voglio dire è che la felicità va nutrita, con le persone che abbiamo accanto, le amicizie, la famiglia, con le cose che facciamo, con le nostre passioni… io la nutro anche grazie allo yoga ma lo yoga è arrivato in un momento in cui già avevo capito che tutto ciò che ci accade, succede per la nostra crescita; è arrivato quando ho iniziato a viaggiare nel terzo mondo e ho cominciato a non lamentarmi più del mal di pancia perché ho visto bambini morire di colera… Ho provato lo yoga quando mi sono aperta all’umanità!”.

E allora la felicità non è basata sul piacere, ma sulla giusta scelta:

“Il suo fiore può sbocciare in ogni momento, ma dobbiamo volerlo. E in ogni esperienza di vita si può far sbocciare la felicità, perché lei, la felicità, ci appartiene di nascita! Perché la nostra anima ha una naturale vocazione alla felicità”

Francesca Orlando

 

Telegram perchè – Intervista alla Guru del Social Care Rachele Zinzocchi

0

Perché ti risolve la vita. È la risposta alla domanda chiave: come fare business oggi, in questi nostri tempi di crisi, tramite il Digitale, usandolo bene, dunque proficuamente, in modo responsabile, etico e, così, produttivo e remunerativo. Telegram è lo strumento che, se ben adoperato, aiuta a raggiungere il successo, i propri traguardi e obiettivi, nel lavoro e nella vita: a beneficio non solo nostro, ma della società tutta, sul piano educativo e istituzionale, dell’informazione e della comunicazione.

L’App, nata solo quattro anni fa ma con già 600.000 nuovi utenti al giorno e una crescita annua di oltre il 50%, è la piattaforma ideale per un’Educazione Civica Digitale che usi bene, per il bene, la Rete, contribuendo così tanto più semplicemente a far conseguire la meta e a porsi coma la soluzione, la miglior exit strategy oggi dalla crisi.

Abbiamo incontrato Rachele Zinzocchi, già riconosciuta da Linkeln nella Top 5 dei Most Engaged and Influencer Marketers per l’Italia, esperta di Internet e canali social oltre che filosofa e grande persona, ora anche autrice della prima opera riguardante il tema dell’Educazione Civica Digitale attraverso i social (in particolare Telegram) e le abbiamo chiesto perché, secondo lei, il suo metodo potrebbe rivoluzionare l’educazione globale e quindi il futuro della cultura.

R: Cominciano ad uscire i primi canali social – io a quell’epoca ho lavorato in H3g come Web Communication Manager e Social Media Manager per 5 anni e mezzo fino all’anno scorso quando mi sono dimessa per intraprende la carriera da libera professionista, quando lavoravo non potevo avere l’intraprendenza di aprire un canale tutto mio mentre ora riesco – che però non c’entravano nulla con quello che avevo scritto io – prima di me soltanto Giorgio Taverniti aveva creato un canale alla fine del 2015 mentre gli altri hanno attuato soltanto una leggera forma di copiatura (ride ndr.) – così io ho creato il mio canale e per dimostrare che quello che dico presenta una certa fondatezza (e penso che ebbi avuto successo per questo) ho creato anche il mio bot; ciò rappresenta la dimostrazione dell’immediatezza e semplicità di un programma come Telegram, visto che persino io che non sono esperta di codici informatici ho preso i complimenti di alcuni miei amici sviluppatori per la mia creazione.

In questa esperienza ho capito che un bot non deve essere eccessivamente complesso per avere successo né deve avere un costo eccessivo per funzionare bene, bensì basta che sia utile allo scopo e fornisca risposte e prestazioni immediate e risolutrici.

Voglio sottolineare il fatto che sia il canale sia il bot sono stati creati e si mantengono praticamente a costo zero, a differenza di altri social media come Messenger; inoltre vorrei analizzare Telegram sotto diversi aspetti:

  • quello in senso assoluto (il suo DNA in quanto tale) presuppone che sia uno strumento e in  quanto tale si può usare bene o male però a mio parere si presta particolarmente più di altri ad essere usato bene
    • Velocità: grazie all’infrastruttura (che ora puoi trovare anche su altre app ma per es. non su WhatsApp) basata sul Cloud e frazionata su numerosi data-center sparsi in tutto il mondo (e quindi anche sotto diverse giurisdizioni a differenza di app come Facebook che presenta soltanto un unico data-center privato ed ermetico) Telegram può lavorare anche senza rete cellulare e assicura una sincronizzazione veloce su tutti i dispositivi mobili in cui è installato; inoltre si possono trasferire file di oltre 1.5 Gb in tempi brevissimi.
    • Sicurezza: grazie alla frammentazione dei data-center e ad una crittografia adeguata ai diversi tipi di chat la protezione dei dati sensibili è sicura al 100%
  • quello in senso relativo cioè confrontato con altri parametri come età, ecosistema digitale in cui viviamo oggi oltre che gli altri strumenti sociali ecc.
    • privacy garantita per tutti i clienti in ogni tipo di informazione
    • veridicità certificata delle informazioni a discapito delle fake news che imperano in altri tipi di social
    • lotta alla violenza online e offline: impegno diretto da parte dell’azienda di Telegram nella lotta agli abusi con risultati evidenti, in particolare prevenzione dei contenuti sensibili al terrorismo attraverso canali come IsisWatch in cui ogni giorni viene pubblicato il resoconto dei canali e/o bot affini al terrorismo che sono stati banditi e chiusi. Inoltre attraverso il servizio [email protected] si raccolgono le segnalazioni degli utenti in merito a questo tipo di pericolo.

La scelta di non rendere tutto segreto non è mancanza di sicurezza, anzi salvaguardia la crittografia hand-to-hand oltre che la velocità di download e upload. L’esempio più immediato che mi viene in mente è quello di un’azienda che utilizza questo tipo di comunicazione per inviare dati importanti ad altre aziende, scaduto il tempo di lettura le informazioni sparirebbero magari prima che le altre aziende possano leggerle.

Conseguente abbiamo:

  • un’employee experience nel caso in cui un’azienda stia usando questo tipo di applicazione come Intranet per lo scambio di dati che garantisce un’esperienza del dipendente perfetta e soddisfacente;
  • un guadagno da parte del cliente che usa questo tipo di comunicazione;
  • tutto ciò è disponibile per tutti e a costo quasi zero: mentre su altri canali come Messenger o WhatsApp c’è la richiesta di un pagamento per qualsiasi cosa uno faccia (dai 300.000 ai 400.000 € di budget per assicurarsi visibilità pubblicitaria), su Telegram questo tipo di prestazioni è aperto e non prevede un stima degli investimenti pubblicitari. Proprio per questo il guadagno è assicurato: attraverso l’interazione tra canali e bot il messaggio espresso in questi mezzi può arrivare in modo diretto e facile direttamente al cliente. Io per esempio ho la fortuna di avere un numero di visualizzazioni maggiore rispetto quello dei followers, e questo porta con se’ una potenziale cerchia di clienti dovuti non alla pubblicità ma alla bravura dell’utente.

G: Quindi Telegram pensi che sia diverso anche sotto questo aspetto in confronto agli altri social network?

R: Sisi esatto, per questo motivo ho parlato di senso relativo rispetto alle altre applicazioni di messaggistica istantanea come WhatsApp, Messenger e Facebook in generale. Persino su Linkedin ormai se non paghi o non hai un account Premium è difficile avere visibilità, certo non stiamo parlando di quantità come i 200.000 € di Facebook però il principio pubblicitario è lo stesso. In tutti i soggetti appena citati inoltre non è presente un vero controllo della privacy come su Telegram, perché forse la sconfitta degli strumenti social è anche voluta dalle aziende che a volte mettono in giro notizie non corrette.

Le caratteristiche di Telegram appena citate assumono maggior valore dal momento in cui si confronta tutto questo con le alternative esistenti nel panorama tecnologico. Naturalmente vedo tutto ciò come piattaforma per costruire una sorta di Educazione Digitale Globale intesa come educazione civica, etica e ancor prima scolastica.

Questo è l’aspetto che ho più a cuore e per il quale penso che Telegram sia lo strumento migliore: far capire alla gente che, appunto, Telegram come altri tipi di canali social è soltanto uno strumento, di per se’ né buono né cattivo ma varia in base all’uso che gli utenti ne fanno. Può essere uno strumento positivo per le aziende quando si fanno gli interessi del cliente e si ottiene quindi un utile guadagnato.

G: Quindi vedi Telegram come strumento adatto ed utile ad essere introdotto a livello scolastico e statale a fini educativi?

R: Assolutamente sì, anzi è già stato fatto con successo immenso da una persona che ha contribuito alla scrittura del mio libro, chiesto ed ottenuto non di certo per scrivere meno pagine come fanno alcuni miei “colleghi”, come Francesco Piero Paolicelli (OpenData Manager)  che già dal 2015/2016 aveva sviluppato e introdotto in alcuni licei della zona di Matera e in generale della Basilicata una serie di bot come DivinaCommediaBot, VangeloBot e CostituzioneItalianaBot con un successo incredibile e quasi in sostituzione dei classici libri cartacei.

Uno dei miei vanti personali è stato quello non solo di dare la vision strategica, ma di fare quasi un’opera manualistica prodotta grazie esclusivamente alla lettura e rielaborazione delle FAQ in cui vengono descritti i passaggi esatti da seguire per la costruzione di un bot, e anche questo aspetto potrebbe essere introdotto tranquillamente nell’educazione digitale scolastica.

Da filosofa 4.0 cui mi definisco (per la laurea in filosofia teoretica alla Normale di Pisa, ndr.) e dal fatto che la filosofia è sempre appartenuta alla mia persona fin da piccola, così come le domande esistenziali riguardo al mondo attuale, penso che l’educazione digitale possa insegnare a usare bene e per il bene lo strumento della rete attraverso l’attuazione della strategia help-marketing o anche help-fullness (utilità a 360°) : in questi tempi di crisi il bisogno fondamentale secondo me è l’aiuto istantaneo per i problemi quotidiani, ed è questo il miglior uso che si può fare di questo strumento. Utilità tecnica ma anche etica.

Il nocciolo del metodo si può riassumere nella frase “fare l’utile con l’utilità”, con utile inteso sia come mero guadagno sia nel senso più elevato del termine.

I due aspetti sono strettamente collegati: l’utilità dello strumento porta allo strumento stesso un utile proficuo.

G: Sicuramente l’aspetto educativo dello strumento che tu hai descritto dovrebbe essere introdotto su larga scala nel metodo socio-educativo del sistema scolastico italiano e internazionale, credi che potrà avere successo oppure hai paura che verrà insabbiato dai colossi monopolistici del sistema-scuola come succede in altri ambiti con l’avanzamento del progresso?

R:  Hai centrato subito il problema più grande. Sappiamo purtroppo come va il mondo, quali sono le logiche che lo governano ma sappiamo anche che non ci sarà mai innovazione se non si tenta di innovare. Purtroppo non è così semplice, sapremo solo in futuro se questo metodo avrà successo (parlo del mio come di molti altri metodi del progresso), io mi batto per questo ma forse non sono molto realista rispetto alle logiche mondiali del business. Non so ancora se avrà successo, anche perché ora non dipende soltanto da me ma anche da meccanismi più grandi di noi. Posso solo dire che il coraggio di fare innovazione manca sempre, sia parlando di Telegram sia riguardo molti altri ambiti.

Sono consapevole che il destino di tutti gli innovatori sia quello di morire poveri ma di avere successo, con questo non mi voglio autoglorificare così tanto bensì voglio esprimere la consapevolezza delle difficoltà che incontrerò nell’avanzamento di questo progetto, difficoltà legate alla fossilizzazione di tutti i sistemi mondiali e alla poca intraprendenza delle persone.

Se nessuno parla, non si andrà mai da nessuna parte e quindi bisogna per forza iniziare.

 

Come acquistare l’e-book su Amazon: https://www.amazon.it/dp/B075FWXD1V/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1504816338&sr=8-1&keywords=Telegram+Perché

Canale Telegram: tg://resolve?domain=RacheleZinzocchi

Le storie oneste e coraggiose di Jennifer Niven: “Non posso più fare a meno di scrivere per i giovani”!

0

Jennifer Niven è la regina della letteratura “young adult”, come a lei piace definire i ragazzi. Racconta storie di anime fragili, anime che sognano “un giorno perfetto”, che migliaia di adolescenti hanno cercato assieme a Theodore e Violet, protagonisti di una storia toccante, delicata e vera (quella di “Raccontami di un giorno perfetto”), perché tutti noi, giovani o meno giovani, facciamo i conti con le nostre fragilità, con ciò che di e in noi stessi non vogliamo affrontare. E per i giovani è ancora più difficile: difficile da vivere, difficile da ammettere, difficile da accettare…

E mentre “Raccontami di un giorno perfetto” diventa un film, Jennifer torna con un nuovo straordinario romanzo: “L’universo nei tuoi occhi” il cui risvolto di copertina anticipa:

Jack ha 16 anni, si è esercitato per anni nell’impossibile arte di conoscere tutti senza conoscere davvero nessuno, di farsi amare senza amare a propria volta. Ma le cose prendono una piega inaspettata quando Jack vede per la prima volta Libby. Libby che non è come le altre ragazze. Libby che porta addosso tutto il peso dell’universo: un passato difficile e tanti, troppi chili per farsi accettare dai suoi compagni. Jack prende di mira Libby in un gioco crudele, un gioco che spedisce entrambi in presidenza. Libby però non è il tipo che si lascia umiliare, e il suo incontro con Jack diventa presto uno scontro. Al mondo non esistono due tipi più diversi di loro. Eppure… più Jack e Libby si conoscono, meno si sentono soli. Perché ci sono persone che hanno il potere di cambiare tutto. Anche una vita intera.

Ancora una volta la Niven parla ai giovani, altre due anime ferite che si incontrano e iniziano a crescere insieme, ad affrontare la vita, quella vera. Una storia che ha raccontato a Pordenonelegge.it, in una città felice di averla ospite e di ascoltare, dietro il suo dolcissimo sorriso, cosa significa dedicarsi a questo genere di letteratura.

“Lavoravo a delle fiction – ha svelato – e poi con ‘Raccontami di un giorno perfetto’ ho cominciato la mia avventura di scrittrice per giovani adulti. Lo trovo un genere audace, ma soprattutto necessario. Quando ero giovanissima il mio ragazzo si suicidò. Non riuscivo a parlare di ciò che sentivo, di ciò che provavo e non sono riuscita a parlarne per anni. Poi un giorno, anche vedendo come il suicidio sia un fenomeno frequente in America, decisi di parlarne, per aiutare loro, i giovani. Ecco, coi miei libri voglio e spero di poter aiutare i giovani a capire se stessi e il mondo, a togliere loro un po’ di peso che troppo si sentono sulle spalle. Violet, la protagonista, seppur una delle ragazze più ambite e amate dalla scuola, ha visto morire la sorella … attraverso lei ho un po’ rivelato me stessa, anzi posso dire che grazie ai miei romanzi per i ragazzi mi sono finalmente rivelata completamente!”.

Ecco perché le storie di Jennifer sono oneste e coraggiose: sono un po’ lo specchio di se stessa, adolescente e poi adulta, ma anche e soprattutto storie che disegnano un mondo dove i giovani di oggi possono riconoscersi, sentirsi rincuorati e capiti. E forse sono anche un po’ racconti dove anche noi adulti ci rivediamo nel come eravamo, perché, dice la Niven “I giovani provano gli stessi sentimenti che provimo anche noi, perché non hanno a che vedere con l’età o con il luogo del mondo in cui ci si trova a nascere o a vivere. Pensiamo al desiderio di appartenenza, alla voglia e al bisogno di contare qualcosa, di venire ascoltati e di essere visti per chi si è. Non sono forse sensazioni, desideri e sentimenti che proviamo tutti? Si, l’unica differenza è che i teenagers li sentono in modo esponenziale, in modo molto più forte”.

E così anche L’universo nei tuoi occhi” svela un po’ di Jennifer perché: “L’idea di scrivere questo libro – racconta l’autrice – è nata mentre parlavo con un mio giovane cugino. Lui soffre di prosopagnosia, proprio come Jack, il protagonista del libro. La prosopragnosia è un deficit percettivo acquisito o congenito del sistema nervoso centrale che impedisce ai soggetti che ne vengono colpiti di riconoscere i tratti di insieme dei volti delle persone e io chiesi a mio cugino come faceva a riconoscere i volti delle persone che amava. Lui mi rispose che ricorda le cose importanti; in un mondo di facce tutte uguali quello che fa la differenza è sentire la caratteristica unica di ciascuna persona. Mi è venuto un brivido e ho voluto che Jack soffrisse di questa malattia e incontrasse Libby, ragazzina sovrappeso con la paura di non essere accettata dagli altri… ma Jack le e ci insegnerà che ciascuno di noi deve essere visto ed amato solo per ciò che è veramente, perché è ciò che siamo, unici e inimitabili, che fa la differenza, altrimenti saremmo davvero volti tutti uguali…”.

L’incontro tra i due ragazzi è un incontro scontro e se di primo acchito il lettore odia Jack per il suo bullismo e per come tratta Libby, subito capisce che anche lui è un adolescente fragile alla ricerca di se stesso…

Una ragazzina sovrappeso e un ragazzo con una malattia difficile da vivere, accettare ed ammettere: “Con questo romanzo – spiega l’autrice – volevo che i giovani si riconoscessero, si ritrovassimo tra le mie pagine. E’ importante rappresentare la diversità nell’aspetto dei giovani; soprattutto le ragazzine hanno spesso diversi problemi per come appaiono, per come è il loro corpo e io volevo che ricevessero questo messaggio: dovete sentirvi belle sempre! L’universo nei tuoi occhi significa che tutti devono e hanno il diritto di sentirsi belli e amati sempre”.

Se è a volte davvero tanto difficile parlare ai giovani, far loro capire che se la scuola è una palestra a volte dolorosa per la vita è però anche utile, che lo specchio spesso rivela ciò che vogliamo vedere e non ciò che siamo veramente, che ognuno di noi è meraviglioso e meritevole di vivere con gioia la vita, di essere amato, perché siamo perfetti con tutti i nostri difetti e problemi e il momento di scoprire se stessi arriverà per tutti… Jennifer Niven ci riesce attraverso i suoi libri. E cari giovani lettori, non temete, Jennifer non vi abbandonerà  perché siete stati proprio voi a chiederle di continuare a scrivere le sue storie oneste e coraggiose e lei lo ha più che promesso: “Non posso più farne a meno!”.

Francesca Orlando

L’ode alla letteratura di Carlos Ruiz Zafòn

0

Poche cose impressionano il lettore quanto il primo libro capace di toccargli davvero il cuore. L’eco di parole che crediamo dimenticate ci accompagna per tutta la vita ed erige nella nostra memoria un palazzo al quale prima o poi faremo ritorno” (L’ombra del vento)

La tetralogia di Carlos Ruiz Zafòn se ne sta lì, ammiccante sullo scaffale più in vista della mia biblioteca in salotto. Quattro libri che mi sorridono, in ordine di uscita e di lettura: L’ombra del vento, Il gioco dell’angelo, Il prigioniero del cielo … ed ora Il labirinto degli spiriti. La fine del viaggio nel cimitero dei libri dimenticati, siglati dalla dedica con firma dell’autore, gioia inattesa per il mio cuore, perché grazie a Pordenonelegge ho potuto incontrarlo, ed ascoltare dalla sua voce i segreti della sua “penna”, scoprire chi è l’uomo celato dietro quelle pagine lette tutte d’un fiato, capaci di trascinarmi fuori dalla realtà e trasportarmi altrove, “con il mio bagaglio di sogni nel cuore, in fuga da tutto”.

Non ho mai capito davvero perché quei libri mi avessero tanto toccato l’anima, fino a quando Pordenonelegge.it, giunto alla sua diciottesima edizione, ha deciso di festeggiare la maggiore età con un’ode alla letteratura, quella di Carlos Ruiz Zafòn (ospite d’onore della giornata inaugurale), appunto.

 

Chissà perché, ci si aspetta che uno scrittore le cui opere sono state tradotte in cinquanta lingue sia fiero ed inavvicinabile. Ed eccolo invece entrare discreto in sala stampa, sorridente col suo drago appuntato al bavero della giacca e gli occhialoni tondi e neri con cui fa capolino in ogni retrocopertina dei suoi libri.

Drago e occhiali… mi ha per un attimo riportato alla mente Harry Potter, chissà perché. E poi, inconsapevole, me lo ha svelato. Anche lui crede nella magia, ma in una ed una sola, quella della narrazione, della parola scritta, della letteratura: quella scrittura di cui ha fatto ragione e lavoro di vita.

“Fin da bambino ho sempre avuto due grandi passioni, la scrittura e la musica. Non sapevo bene cosa volevo fare da grande, se scrivere o comporre musica. Alla fine ho deciso di comporre con la penna”.

E non è una metafora perché la musica influisce il modo di Zafòn di vedere il linguaggio, il modo di costruire la stesura dei suoi libri. “Io credo che il linguaggio musicale – spiega infatti – sia simile per molti versi al linguaggio letterario. Il compositore di musica deve tenere conto di tutta una serie di elementi per offrire un certo tipo di effetti all’ascoltatore in termini di ritmi, colori, timbri e armonie. Questo vale anche per lo scrittore; il linguaggio scritto, la prosa, è un’orchestra. Quando componiamo un testo stiamo componendo una sorta di sinfonia fatta di parole e dobbiamo tenere conto di tanti elementi diversi che a volte esulano da quelli strettamente letterari ma che tuttavia sono portatori di una carica molto importante e che soprattutto possono dare al lettore emozioni e percezioni uniche e peculiari. Il linguaggio letterario deve trasmettere, al di là del contenuto propriamente detto delle parole, sensazioni, sentimenti, percezioni… e questo io riesco a farlo pensando al metodo di composizione di un brano musicale. Per creare un testo ho bisogno di immagini, toni, armonie, e allora prendo in prestito il processo musicale: mi rappresento e cerco i colori della composizione proprio come fa un musicista”.

Ed eccolo allora a costruire il testo immaginandosi il suono che esso deve avere nella testa del lettore. Un quadro fantastico: le righe del libro che suonano nel silenzio della mente di chi le legge!

E l’orchestra di parole cui Carlos Ruiz Zafòn ha dato vita nella tetralogia del cimitero dei libri dimenticati è un labirinto di suoni, ritmi e immagini talmente intricato da parere inimmaginabile che lui possa aver scritto lo spartito tutto d’un fiato per poi suonare le note una dopo l’altra, in un fluire immediatamente magico.

Eppure un po’ è così. Quando si scrive – svela con luce di passione negli occhi – è un po’ come partire per la guerra. Bisogna avere una strategia. Ma poi ci sono gli imprevisti: il nemico che ti aspettavi ti attaccasse da destra ti giunge di fronte, arriva una tempesta di pioggia inattesa, i nemici sono molto più numerosi e così via… e bisogna essere abili nel saper modificare la tattica, tenendo sempre e comunque ferma la strategia, l’obiettivo finale.

L’idea della tetralogia è nata da un’immagine, come da una fotografia che si è palesata nella mia mente: una biblioteca dove i libri dimenticati dal tempo sono salvati da chi pensa che non debbano scomparire del tutto. Poi da quell’immagine ho costruito un labirinto narrativo fatto di tante trame e personaggi. Ho fissato il progetto, delineato la strategia”.

Come a dire che questo straordinario scrittore aveva tutto in mente: l’inizio e la fine della sua storia. Una storia fatta di talmente tanti strati da non poter essere contenuta tutta in un solo volume.

“Nel musicare con le parole il mio progetto poi sapevo di dover avere la capacità di essere flessibile; così alcuni personaggi sono leggermente diversi da come li avevo pensati all’inizio, oppure ho inserito delle vicende che come un domino hanno influito a cascata su tutta la trama, ma il progetto è rimasto ciò che era”.

Dalla guerra della scrittura al giocoliere. E Zarlos Ruiz Zafòn usa un’altra metafora per farci capire il suo metodo di composizione, perché se ci sono autori che scrivono come fossero i primi lettori della loro opera, ovvero fanno fluire la penna sul foglio seguendo l’istinto e poi rileggono e correggono l’opera, lui no: lui pianifica, disegna, si arma forte della sua tattica e inizia a musicare le parole.

“Sapevo che l’opera sarebbe stata complessa, monumentale direbbe qualcuno, e che a qualcosa avrei dovuto rinunciare (non a qualcosa certo che avrebbe rivoluzionato il progetto). E allora mi sono detto: tutto quello che riesce a stare nella mia mente sarà nella storia. Un po’ come fossi un giocoliere: inizi a giocare e lanciare in aria una pallina, poi due, poi tre, poi quattro; mano a mano aggiungi una pallina, fino a che ne aggiungi troppe e una ti cade… Ecco, tutto ciò che cadeva dalla mia mente non doveva stare nel labirinto del cimitero dei libri perduti”.

 

Il cimitero dei libri… ricordo come se lo avessi letto ieri il momento in cui Daniele Sempere scopre la biblioteca dei libri dimenticati e il padre gli dice : “La tradizione vuole che chi viene qui per la prima volta deve scegliere un libro e adottarlo, impegnandosi a conservarlo per sempre, a mantenerlo vivo. È una grande responsabilità, una promessa. E oggi tocca a te!”.

Daniel fa la sua scelta e si trova tra le mani un “libro maledetto”: un volume che gli apre la porta su un dedalo di intrighi legato all’autore di quel misterioso libro… E così la storia inizia, ambientata in una Barcellona anni quaranta (la città natale di Zafòn), una Barcellona fumosa ricca di fascino, di segreti e oscurità.

Ho amato quella biblioteca dal primo momento, amo talmente tanto la scrittura e i libri che non poteva che essere così… quella biblioteca, questa tetralogia, era destinata a toccarmi il cuore, proprio come poche righe dopo Zafòn mi svelava attraverso la voce di uno dei suoi personaggi.

Ma quella biblioteca non esiste, seppur a me come a molti altri lettori pare impossibile tanto nella nostra mente la abbiamo immaginata, respirata e ascoltata in ogni angolo, scrutata in ciascuno scaffale. Il profumo del tempo impregnato sulla carta di quei libri resterà solo lì, proprio dove Zafòn vuole che resti: nella nostra mente.

Perché non ci sarà mai nemmeno una pellicola cinematografica a rendere in qualche modo reale la biblioteca, né a far vivere oltre la carta Daniel, Martin o Fermìn. “Ho fatto lo sceneggiatore per molti anni – rivela sicuro Zafòn – e il cinema mi piace. Ma questa opera è stata scritta per rimanere un’opera scritta e basta. Ho voluto creare un intreccio di storie (un labirinto appunto) che insieme sarebbero state un’ode alla letteratura. Per me la tetralogia del cimitero dei libri dimenticati è una storia d’amore che ho scritto alla letteratura. Forse sarò uno degli ultimi romantici, ma credo nel profondo d me stesso che nulla più di un romanzo possa raccontare una storia con la stessa profondità, fatta di immagini, profumi, colori, emozioni… Sono nati come libri e libri devono rimanere; è coerenza con il loro essere e con me stesso, con ciò a cui ho voluto dare vita”.

Ho provato una forte emozione a quelle parole, perché tra le righe de L’ombra del vento lessi e sottolineai la frase “I libri sono specchi: riflettono ciò che abbiamo dentro”. È un regalo straordinario quello che Carlos Ruiz Zafòn ci ha fatto: ogni lettore riflette qualcosa di sé nei suoi libri e nessuna sceneggiatura cinematografica potrebbe rispecchiare ciò che nella nostra mente si è delineato. Sarebbe come un po’ distruggere l’immaginario di tutti i lettori che si sono appassionati e persi e poi ritrovati nelle parole scritte di Zafòn, perché “ogni libro, ogni volume possiede un’anima, l’anima di chi lo ha scritto e l’anima di coloro che lo hanno letto; di chi ha vissuto e di chi ha sognato grazie ad esso. Ogni volta che un libro cambia proprietario, ogni volta che un nuovo sguardo ne sfiora le pagine, il suo spirito acquista forza”.

È questo che l’autore vuole rimanga per sempre: “Sono orgoglioso che siano libri!”.

Francesca Orlando

Non sapevo se avrei fatto il musicista o lo scrittore. A un certo punto mi sono detto: io punto alle stelle e da qualche parte arriverò! E ho scelto di scrivere!” (Carlos Ruiz Zafòn a Pordenonelegge, 13 settembre 2017)

Signor Distruggere eccolo a voi

0

Per chi non mastica di social e pagine virali questo nome sarà sconosciuto ma Il Signor Distruggere è un vero e proprio PERSONAGGIONE, di quelli che ami o odi, segui o non segui. Il segreto del suo successo, e dei 229.482 fan, è chiaro: la verità.

La verità di vomitare tutto, mostrando il dito medio al falso conformismo, al politically correct e alla diplomazia a tutti i costi. Il Signor Distruggere è sincero, in maniera brutale, crudele e cattiva. Insomma, è l’amico che ti dice tutto in faccia e non sai se ringraziarlo o non invitarlo al prossimo Pigiama Party. La differenza è che il suo mondo è permeato da Mammine Pancine (quelle che mettono l’utero al centro di ogni cosa), antivaccinisti della domenica, complottisti dalla condivisione facile, vegani nazisti e tutto ciò che di peggio si possa trovare sui social. Vincenzo Maisto, questo è il suo vero nome, si presenta in maniera onesta anche quando i vari haters del momento minacciano denunce, querele e cuggini della Postale. Eppure quello che lui compie non è mai illegale e né tanto diverso da quello che fa un comunissimo blogger. Perché tanto odio? Perché tanto seguito? Leggete l’intervista e capirete.

-Come nasce il Signor Distruggere, chi è e qual è il suo obiettivo?
-La storia del personaggio è raccontata nel libro, non riveliamola qui.
L’obiettivo è arrivare a un milione di followers e campare reclamizzando creme per il viso, grazie ad atroci istantanee promozionali.
-La tua pagina ha migliaia di fan ed è diventata virale in poco tempo, eppure non hai fatto altro che riproporre link provenienti da altre pagine. Perché ha così tanta attenzione secondo te?
-In realtà la pagina è stata fondata nel 2011, sei anni fa. E’ cresciuta maggiormente negli ultimi due anni, vale a dire da quando ci ho messo la faccia. Non mi limito comunque a proporre link provenienti da altre pagine, spesso, essendo la pagina rappresentativa del blog, vengono condivisi i post del blog stesso. La pagina scova idiozie sempre nuove, la gente lo nota e ci si affeziona.
-Dalla pagina virtuale alle pagine di un libro, hai scritto due libri “Distruggere i sogni altrui esponendo la realtà oggettiva” e “Mamme vegane contro l’invidia”. Parlacene.
-“Distruggere i sogni altrui esponendo la realtà oggettiva” è un libro che parla del precariato giovanile, raccoglie i post che condividevo sulla pagina Facebook quando, durante il Governo Monti, introdussi la rubrica “Il mio essere choosy”. Racconta la vita del Signor Distruggere prima di prendere consapevolezza di sé. “Mamme vegane contro l’invidia”, che invece è un ebook, racconta una battaglia social tra il mio blog e un gruppo segreto su Facebook di mamme singolari. Lo si può considerare come uno sguardo sull’estremismo materno evidenziato dai social network.
-Ti sei mai pentito di aver condiviso un post?
-Certamente sì, ma aggiornando ogni giorno e da anni, non mi viene in mente nessun episodio particolare.
-Nel virtuale appari come un tipo irriverente, cinico, cattivello e indisponente. Sei così anche nella vita reale o ti sei solo creato un personaggio?
-Mi dicono di essere peggio dal vivo.
-Chi credi siano le persone che ti seguono?
-Persone intelligenti a cui piace leggere, visto che i miei post non sono quasi mai brevi, persone che colgono l’ironia e il sarcasmo, che si fanno domande, che cercano l’obiettività.
-Qual è il tuo rapporto con i fan e con gli haters?
-Pessimo con i fan, ricevo molta posta che non posso smaltire per mancanza di tempo. Anche 300 messaggi al giorno. Il lavoro che mi permette di mangiare è un altro e quindi ha la priorità. Purtroppo c’è chi pensa che io lo faccia di proposito per “tirarmela”, ma non è così. Gli haters sono ancora pochi, cosa che mi rattrista, perché il successo sul web viene quantizzato dal numero di haters.
-Da architetto a blogger, come è nata l’idea di aprire un blog e cosa fai attualmente?
-Mi sono laureato alla facoltà di architettura, ma il mio corso di laurea non era architettura, quindi non sono un architetto. Era: disegno industriale. Sulla carta sono quindi un designer. Gestisco, invece, uno store online di beni di lusso grazie al quale ho una mia indipendenza. Questo è il terzo blog che apro, gli altri due, ormai chiusi, si occupavano di “Telefilm & Tv” e, quello più personale, della mia vita universitaria. Il Signor Distruggere è solo quello che ha avuto maggior successo.
-Cosa vorresti che pensassero le persone di te?
-Che sono magro.
-Quali sono attualmente i tuoi progetti? Entro l’anno uscirà un nuovo libro. Spero entro Natale. Il blog a settembre subirà anche un grosso cambiamento, chi vivrà vedrà.
-Un’ultima battuta per le persone che ti stanno leggendo in questo momento
-In questi quattro minuti avreste potuto cucinare qualcosa.
Dove trovarlo: http://ilsignordistruggere.com/
Su Facebook: https://www.facebook.com/ilsignordistruggere/
Su Twitter: https://twitter.com/sirdistruggere