Kate Miller-Heidke, Child In Reverse | La Recensione

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Kate Miller-Heidke, copertina di Child In Reverse

Quasi due anni dopo un ottimo Eurovision, Kate Miller-Heidke è di ritorno sulla scena con Child In Reverse. Abbandona il suo strambo pop dalle atmosfere fiabesche per un sound mainstream e minimale, ma sarà una bella idea?

Eurovision, chi c’era due anni fa?

Australia: terra di surf, film fantasy, animali ad alto tasso di letalità e musica pop, tra la più bella del mondo. E oltre ai nomi più facili alla mente, quali Sia Furler, le sorelle Imbruglia e le Minogue, si scopriranno numerosi volti e album di qualità immensa, ma sovente trascurati. Ma è possibile scoprirli all’Eurovision Song Contest, quando concorrono a rappresentare il loro paese. E l’ultima concorrente di fatto è stata lei, Kate Miller-Heidke – sicuramente la ricorda ancora qualcuno.

Capelli, volto e abito bianco, sospesa su un cielo pieno di stelle, un’acuta voce da bambina che cantava Zero Gravity. Si è classificata nona al gran finale, con un totale di 284 punti. Un buon punto da cui ricominciare la sua carriera musicale, soprattutto in un anno privo di Eurovision. Un lavoro annuale e più, dunque, che si è finalmente concretizzato in un nuovo album. Child In Reverse non contiene Zero Gravity, ed è stato rilasciato il 30 ottobre. Su una linea sonora molto più pop, molto più chart-friendly, e… insolita.  

L’elemento di forza della Miller-Heidke è sempre stata la sua voce sottile, con performance che suonano quasi infantili. Nulla di male in ciò, la scena indie è ricca di cantanti la cui voce sottile e delicata rappresenta un punto di forza nel sound. Prima tra tutti nella categoria Regina Spektor, i cui album hanno mantenuto una consistenza di qualità nella sua carriera più che decennale. Un tipo di pop stravagante e grottesco in cui si era scavata una nicchia vasta e comoda. Performance che non si percepiscono affatto in Child In Reverse, sostituite da un sussurrato alla Julia Michaels. Ed è lo stesso per il sound, molto più pulito e troppo sintetico per funzionare nella direzione che si vorrebbe da Kate Miller-Heidke. Troppo sottile, troppo sintetico. 

Kate Miller-Heidke: un pop blando per Child In Reverse

Si potrebbe supporre una direzione strambo-fiabesca, come era stato per Zero Gravity – eccetto che Miller-Heidke non fa nemmeno quello, scegliendo invece di mantenere il sound in un generico e onestamente stantio indie-pop con accenni di tropical. Annacquato, questa è la parola giusta per descrivere il sound di Child In Reverse. Suona sgradevole paragonare in negativo la musica di una cantante rispetto a quella delle origini, ma bisogna ammetterlo anche se fa male: Kate Miller-Heidke ha perso la sua scintilla, e in Child In Reverse non si sente nulla del suo fascino consueto.

L’elemento peggiore sono i sunnominati accenni tropical, come nel visto e rivisto empowerment anthem Twelve Year Old Me. Là è anzi difficile capire cosa sia più datato, il sound o il contenuto: che nel 2020 girino ancora canzoni come queste è impossibile da concepire, nonostante sia chiaro che Miller-Heidke mette a nudo la sua anima e racconta qualcosa di vero. Questa canzone era molto meglio quando si chiamava Little Me e la cantavano le Little Mix; citazione non casuale, perché il processo sonoro dei successivi album della girl band inglese è molto simile a quello di Kate Miller-Heidke e del suo sound sempre più povero e meno speciale. 

Ma anche escludendo quella particolare caduta in basso, Kate Miller-Heidke ha mancato il bersaglio con Child In Reverse, realizzando un lavoro che entra da un orecchio ed esce dall’altro. Realizzato da una debuttante qualunque avrebbe potuto risultare inoffensivo, ma da una cantante speciale ci si aspetta musica speciale. Se c’è da ricordare e ascoltare una Kate Miller-Heidke è quella di Curiouser, Night Flight, O Vertigo e Zero Gravity. Assolutamente non quella di Child In Reverse, che dopo un’uscita così blanda dovrebbe riesaminare le proprie uscite passate e rimettere insieme la sua carriera

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