Corasan: “Uso una comunicazione psichedelica”

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Corasan:

Corasan non ha paura di esplorare strade poco battute e condividere la propria ispirazione. Il suo primo album si intitola “Hey”, ed è un gradito ritorno allo slowcore di fine anni ’80 e alle più datate atmosfere della musica psichedelica.

Dopo aver ascoltato il disco voglio sapere com’è cominciata la tua carriera e da quali segrete sorgenti le tue radici musicali attingono.

“Sono sempre stato un fissato, un musicologo. Facevo parte di una band, i Granada, e per 10 anni abbiamo condiviso belle esperienze. Io vengo dall’alternative rock, ma col tempo mi sono appassionato anche all’elettronica, e questa passione per generi diversi si riflette anche nella fase creativa. Cerco sempre di trovare un’ispirazione che metta d’accordo tutte queste influenze”.

Sono sempre molto curioso di conoscere le influenze musicali di un artista, perciò ti chiedo quali sono i musicisti che ti hanno accompagnato in questo viaggio alla scoperta del tuo sound.

“Sono un fan della musica anni ’60, quella psichedelica. Artisti in particolare… Posso dirti che il primo grande amore sono stati i Nirvana, poi i Pink Floyd e da lì ho continuato ad esplorare, saltando tra passato e presente”.

E dopo un lungo viaggio hai deciso di metter su il tuo progetto.

“Avevo la necessità di creare e ho iniziato a registrare. Ho scoperto questo nuovo mondo e sono cresciuto mentre lo esploravo. L’approccio con la scrittura in lingua italiana è stata una bella sfida. Stessa cosa per la melodia”.

Alla fine ne è venuto fuori “Hey”, un ritorno al passato con atmosfere slowcore che disegnano paesaggi malinconici. Ad ascoltarlo pare quasi una celebrazione dei tempi andati.

“È sicuramente una celebrazione dei tempi andati che, comunque, sono sempre presenti nella nostra memoria. Anche il titolo rientra nel gioco. ‘Hey’ è il titolo di un brano dei Pixies, che mi è stato di compagnia per molto tempo. Con questo disco ho tirato fuori un lato emotivo. È un tributo alla nostalgia e a quelle radici musicali che mi hanno ispirato”.

Come i brani, anche la copertina è straniante. Sembra quasi che tu voglia scioccare l’ascoltatore sin dal primo impatto.

“La copertina è stata frutto della casualità e della naturalezza. Ha preso forma grazie all’illustratrice, Zoe, che è stata molto brava a catturare il concept del progetto. Il bianco e nero strizzano l’occhio al minimalismo e c’è anche una buona dosa di caos”.

Il tuo essere in controtendenza si riflette anche sulla scelta di produrre un disco, quando oggi si preferisce andare avanti per singoli.

“Qualcuno potrebbe definire questa scelta come un suicidio discografico, anche se grazie ai social c’è possibilità di espandere l’ascolto, ma secondo me si è perso un po’ il valore di fare quello che senti come giusto. Ci imprigioniamo in troppe paranoie e invece dovremmo sentirci liberi di esprimerci, senza la paura di sbagliare o di essere giudicati. Non è facile, mi rendo conto, ma bisogna crederci. Le strategie, quelle ci sono e molti le usano, ma non sono sempre la scelta migliore”.

Il singolo estratto “Dorme il sole” e relativo videoclip sono un po’ la sublimazione del tuo amore per la musica psichedelica.

“Il videoclip è venuto fuori in maniera molto naturale, come il brano. È nato dall’incontro con Edmondo Annoni, videomaker e producer. Mentre ascoltavamo il disco ci è venuta l’idea di creare qualcosa di particolare, usando un’intelligenza artificiale. Nell’aria viaggiava qualcosa dal sapore esoterico e psichedelico. Edmondo è stato bravissimo a catturare l’essenza del brano, pescando spezzoni di film del passato. Siamo contenti del risultato. Ci ha stupiti”.

Non hai paura di toccare temi controversi, come accade in “Ron Jeremy”, che è un po’ un inno al porno da videocassetta. Non sei preoccupato che gli ascoltatori, molti dei quali non affini a un certo sound e a certi argomenti, possano in qualche modo boicottarti?

“Avevo la forte sensazione che ce ne fosse bisogno, per molte persone, e mi sono convinto ancor di più quando ho ascoltato l’insieme dei brani. Mi rendo conto che quella che uso è una comunicazione molto psichedelica, che potrebbe essere non compresa, ma fa parte di una visceralità che la nostra generazione si porta dentro e ha bisogno di esprimere”.

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