New York, 1968. L’elemento fondamentale di The Boys in the Band è proprio questo, il contesto storico e l’ambientazione. Trasposizione cinematografica dell’ opera teatrale del 1968 del compianto Mart Crowley, il film prende le mosse dal revival che lo stesso regista Joe Mantello ha diretto a Broadway. Il cast è lo stesso e la trama è fedelmente riproposta. E’ forse proprio questo il grande punto di forza della pellicola. La voglia di riproporre fedelmente una storia di ormai 52 anni fa, porta il pubblico a creare confronti con l’attualità. E’ possibile che l’ omosessualità nel 2020, sia vista ancora come un tabù?
The Boys in the Band: trama
La trama di The Boys in the Band è molto semplice e lineare. Una festa di compleanno. 8 uomini omosessuali. Un ‘intruso’ e un gioco che in poco tempo diventa un gioco massacro. Tutto parte da Michael, proprietario dell’appartamento che diventa l’ unica vera ambientazione del film. L’ uomo durante i preparativi per la festa di compleanno dell’amico Harold, viene contattato dal compagno di college Alan (Brian Hutchison). L’ uomo non sarà altro che la scusa, durante la festa, per avviare un crudele gioco. Il gioco consiste nel fare una telefonata all’unica persona che si abbia mai amato nella propria vita. L’alcool e le tensioni interne al gruppo porteranno a galla problemi personali e segreti del passato della maggior parte dei personaggi. Emergono dinamiche irrisolte, segreti mai svelati, difficoltà nell’accettare la propria condizione.
The Boys in the Band, è un grande invito ad accettare la propria condizione ed abbracciare i propri problemi e dissidi interiori.Su questo fronte è Fondamentale la frase, tratta dalla pièce teatrale, che Michael pronuncia a fine film.
“Mostrami un omosessuale felice ed io ti mostrerò il cadavere di un gay“
Il remake di una rivoluzione
La particolarità di The Boys in The Band è avere personaggi totalmente diversi tra di loro, capaci però di incastrarsi in maniera perfetta. Abbiamo l’ambiguo Michael (Jim Parsons), l’ intellettuale Donald (Matt Bomer), l’esuberante Emery (Robin de Jesus), il dolce Bernard (Michael Benjamin Washington),il promiscuo Larry (Andrew Rannells), il fedelissimo Hank (Tuc Watkins) e il cinico Harold (Zachary Quinto).
La pellicola non provoca quel senso di claustrofobia che suscitava il primo adattamento del 1970. Non ha neanche quella stessa portata rivoluzionaria. Lo storico Festa per il compleanno del caro amico Harold, ebbe un valore fondamentale nel cinema hollywoodiano. Fu il primo lungometraggio per il grande pubblico a parlare apertamente di omosessualità. Anche questo remake del 2020 ha però il suo piccolo valore soprattutto per quanto riguarda il tabù dell’ omosessualità ad Hollywood. Avendo ripreso il cast presente a Broadway, è una delle prime volte in cui abbiamo un cast composto interamente da attori omosessuali. Questo può essere definito un grande passo avanti per le major, che ormai da anni ghettizzano sempre di più gli interpreti a causa del loro orientamento sessuale.
The Boys in The Band e l’incapacità di esprimere i sentimenti
The Boys in The Band è una pellicola emotivamente molto complessa. Se la prima parte ironizza ed è molto leggera sul tema, nella seconda diventa impegnativo da seguire, soprattutto per le emozioni che riesce a suscitare. Si percepisce la solitudine dei diversi protagonisti, il loro sentirsi inadatti e la loro incapacità di esprimere veri sentimenti. Unici a riuscirci sembrano essere Hank e Larry, che diventano un pò la rappresentazione delle difficoltà di una relazione con vedute totalmente differenti. C’è l’omofobia, incarnata dal personaggio di Alan; la paura di invecchiare, che diventa il terreno di scontro tra Michael e Harold; il rapporto complicato di Michael con la religione. Come nel testo teatrale, The Boys in The Band, sviluppa un perfetto affresco della comunità omosessuale degli anni 60 e delle difficoltà fisiche ed emotive di cui tutt’ora tante persone soffrono.
Da Brodway al grande schermo…
Il film è arricchito da interpretazioni eccezionali dell’ intero cast. Jim Parsons riesce, finalmente, a distaccarsi da Sheldon Cooper (The Big Bang Theory) per donarci un personaggio profondamente ambiguo e tratti disturbante. Ma è l’ Harold di Zachary Quinto a rubare totalmente la scena. Con il suo tono mellifluo, l’ atteggiamento cinico ed aristocratico, la camminata felpata. Il suo personaggio in poche parole o semplici movimenti impercettibili cattura l’attenzione dello spettatore monopolizzandola completamente.
Il rapporto amore/odio tra Michael e Harold è probabilmente uno degli elementi più interessanti di The Boys in The Band insieme all’amore sincero ma caotico di Hank e Larry. Tuc Watkins e Andrew Rennells hanno una chimica invidiabile, per due ruoli che vanno di pari passo. Magnifici anche Matt Bomer e Charlie Carver, il primo nel ruolo silenzioso Donald, intellettuale e depresso amico di Michael, il secondo nei panni del prostituto ‘Cowboy”, infantile nella sua dolcezza e bellezza.
The Boys in the Band: l’affresco di una comunità
The Boys in The Band, è un meraviglioso affresco delle difficoltà della comunità omosessuale newyorkese degli anni 60. Riesce a raccontare in modo eccellente come un loft in un palazzo della New York “bene” possa diventare una gabbia da cui diventa quasi impossibile scappare. Forse la durata è eccessiva per un film di questo tipo, ma essendo la trasposizione di un revival teatrale,sarebbe risultato molto difficile eliminare qualcosa. Il cast funzionale benissimo, rodato dal lavoro fatto ad Broadway, ed è forse questo il vero punto di forza del film (oltre alla produzione di Ryan Murphy e alla presenza alla sceneggiatura dell’ autore storico della pièce).
Dove vedere The Boys in the Band?
The Boys in The Band è disponibile su Netflix dal 30 settembre.