Mitezza e colori, talento e semplicità: Spinozo è una voce rara e un ragazzo alla mano. Parlare con lui è come passeggiare in un dipinto e contarne i colori.
Come è nata la passione per la musica?
“In generale la musica l’ho sempre coltivata. Quando andavo alle scuole elementari frequentavo una sorta di corso pomeridiano. Suonavamo la ritmica con dei pezzi di legno e ci insegnavano un po’ di teoria musicale. Il maestro che mi insegnava musica d’insieme mi disse: ‘Guarda che sei portato’. Io volevo far batteria, ma poi imbracciai la chitarra, anche se non ricordo bene il perché [ride]. Il terzo anno di chitarra è stato traumatico, volevo mollare, ma poi sono andato avanti e la cosa mi ha ripagato. E al liceo ho continuato. La mia compagna cantava e io suonavo. Facevamo cover. Alla fine del liceo andavamo in giro per locali a suonare e da lì ho cominciato a prenderla più seriamente e a intravedere orizzonti professionali”.
Ricordi la tua prima canzone?
“Non ricordo bene il testo, ma ricordo che era inventatissimo. All’epoca ero in quarta elementare, e quindi non avevo ancora avuto una relazione. La canzone faceva tipo ‘perché non ci sei, perché sei andata via’, o qualcosa del genere, e avevo scritto il testo su un foglio. E ricordo che le vocali che volevo allungare le avevo scritte proprio così, allungate, quindi tantissime ‘ooooo’ e tantissime ‘eeeee’. Quando la cantai ai miei genitori… loro mi vogliono bene e non risero, ma io so che avevano tanta voglia di ridere. Ricordo che non ho avuto in quel momento nessun timore di scrivere qualcosa di mio, anche se inventato. Ed è una cosa, questa, che mi è rimasta. Mi succede spesso di parlare con amici o persone che amano la musica, e mi rendo conto che hanno paura a buttar fuori quello che sentono. Io questa paura non l’ho mai provata. Quando si tratta di musica non provo paure di questo tipo”.
Ascoltando il tuo singolo “All my love” mi è venuto in mente Jeff Buckley. Ti chiedo quindi: quali sono le tue influenze musicali?
“Jeff Buckley, sicuramente. Ho ascoltato, e mi ha molto formato, John Mayer. Poi in realtà io mi sono formato ascoltando il blues del Mississippi e il soul. Ultimamente sto ampliando il mio panorama musicale e ascolto un po’ di tutto. Sono molto aperto.”
Molti tuoi brani hanno un forte impatto emotivo (penso ad All my love, Down like stone e Forgotten Grace). Possiamo dire che la tua è una musica emotiva o tu avresti una definizione più calzante?
“Penso che una cosa emotiva sia diversa per ciascuna persona, però ‘emotiva’ è una bella parola. Io in realtà la sento molto colorata la mia musica”.
Tu componi soprattutto in inglese. Come mai questa scelta?
“La cosa è dovuta principalmente alla mia formazione musicale. Mi è entrato molto nella testa il linguaggio. È un po’ più facile in inglese, le parole sono più corte e il linguaggio si presta bene. Ultimamente, ampliando i miei orizzonti, sto anche cominciando a scrivere in italiano. In realtà è una questione molto istintiva. Quando ho sentito la necessità di scrivere una canzone in italiano, ecco, mi è venuta, non mi sono imposto di scriverla”.
Parliamo della tua esperienza a X Factor. Se dovessi riassumerla in poche battute?
“Istruttiva e un po’ estraniante. È stata una bella esperienza, che mi ha insegnato varie cose. Mi ha messo davanti a delle cose che non mi aspettavo, ma non ho vissuto brutte esperienze. Resta il fatto che l’esperienza televisiva è un po’ alienante, e questa cosa mi è servita per capire anche che preferisco più il mondo prettamente musicale”.
Pensi che i talent show come X Factor siano un bene per gli artisti in erba o credi che rischino di farli deragliare dal binario musicale?
“Il talent show ha come principale fine quello degli ascolti televisivi. Non dico che la musica sia secondaria, però un po’ lo è. Penso che dipenda molto da come uno la vive. Una persona può vivere l’esperienza di modo che, una volta conclusa, questa diventi un trampolino di lancio. Allo stesso tempo è facile venir risucchiati anche dalla macchina televisiva. Penso comunque che sia un’esperienza fertile”.
Progetti futuri all’orizzonte?
“Sto realizzando un album. Mentre i pezzi precedenti rispecchiavano il mio lato indipendente di cantautore (voce e chitarra, quindi) e ci lavoravo io, ora mi sto affidando a un tecnico del suono e mi sono rivolto a delle persone che sono diventate la mia band. Le idee alla base delle canzoni sono sempre mie, ma si stanno arricchendo di colori grazie anche a queste persone, pur mantenendo il disegno originale delle canzoni e l’emotività che le contraddistingue. Poi c’ho in canna un po’ di live. Siamo stati fermi due anni per il covid e sono contento che torneremo a far concerti”.