Oliver Stone ha introdotto ieri la proiezione del suo film “The Doors”, film del 1991 dedicato alla vita e alla carriera di Jim Morrison, all’interno della rassegna “Sotto le stelle del cinema”, durante la quale vengono mostrati i film restaurati dalla cineteca di Bologna.
Il successo della rassegna bolognese
Presentando il regista, l’Assessore Lepore ha fornito alcuni dati circa la partecipazione alle serate organizzate in piazza, evidenziando come, ad oggi, dopo solo poche date dall’inizio della rassegna, ci siano già state più di 800.000 persone in piazza. Il numero acquista un peso ancora maggiore, se si confrontano i dati con quelli dello scorso anno quando il milione di spettatori è stato raggiunto solo a settembre.
Jane Campeon e Francis Ford Coppola
A far lievitare il numero delle presenze ha sicuramente contribuito la ricchezza dell’offerta, sia per quanto riguarda i film selezionati che per gli ospiti che hanno impreziosito, con la loro presenza il calendario. Prima della serata di ieri dedicata a Oliver Stone, preceduta sabato dalla proiezione di “Wall Street”, un altro suo film restaurato a Bologna, sul palco di Piazza Maggiore erano saliti Jane Campeon che ha introdotto “Lezioni di piano” e soprattutto per Francis Ford Coppola, che presentando la versione director’s cut restaurata di “Apocalypse now” ha “costretto” gli organizzatori ad aprire altre due sale in città per poter consentire a tutti di assistere alla proiezione del film.
Director’s cut
Tornando a “The Doors”, anche nel film proiettato ieri in piazza il regista ha operato un taglio, di tre minuti per la precisione, nella parte finale della pellicola, rimuovendo la fase “sturm und drang”, come l’ha definita Stone, che si dice ironicamente dolente che questo possa dispiacere al pubblico, ma che, per la sua parte ha ritenuto, a distanza di quasi trent’anni che quelle scene nulla aggiungessero alla rappresentazione del personaggio, anzi che in una qualche misura appesantivano il film.
Gli anni ’60
Parlando del personaggio, nella sua introduzione al film, Stone ha ricordato come i Doors siano apparsi in un periodo importantissimo, tanto per le vicende mondiali e quanto per la storia stessa della musica. Erano gli anni che avrebbero portato alla contestazione giovanile a cui i Doors con i loro testi, le loro melodie “bizzarre” e le performance “estreme” di Jim sul palco, avevano dato un enorme contributo. Erano anche gli anni della Guerra Fredda e del Vietnam.
La band dell’epoca e “The Doors”
Ricorda il regista come la prima volta che ascoltò i Doors si trovasse proprio nel paese del sud-est asiatico dove era arrivato come volontario al seguito delle truppe americane. In quegli anni sul panorama musicale mondiale c’erano i Beatles, i Jefferson Airplane, i Rolling Stones, moltissima musica nera e moltissimi altri. In questo lussureggiante giardino popolato da musicisti e cantanti quasi mitici nel ripensarci oggi, arrivarono improvvisamente Jim Morrison ed i Doors, un “re lucertola” che poteva fare qualsiasi cosa volesse, tre ragazzi che avanzavano sulla scena con le loro note striscianti come rettili ed avide nei versi come rapaci, un’esperienza che da subito, per i fan, tra cui lo stesso Stone che subito ne rimase affascinato, e per chi li contestava, sconvolto le coscienze imponendosi come uno specchio che mostri a ciascuno, con occhi limpidi, attraverso “le porte della percezione” il proprio vero volto.
Un gruppo con un messaggio
Questa fascinazione investì anche Stone dal primo riff di “Light my Fire” e non solo per la stranezza e l’originalità del suono, ma soprattutto per la voce e le parole di quel cantante che aveva come unica amica la morte e che voleva andare “dall’altra parte”. Probabilmente il regista avrebbe ammirato il cantante anche se non avesse fatto della musica. Stone sostiene che Morrison non era nato per fare la rockstar, pur essendo stato un incredibile performer, ma che si sentisse molto più profondamente un poeta, che volesse aprire gli occhi delle anime dei suoi ascoltatori e non solo agitarne e liberarne i corpi. A differenza di altre band dell’epoca i Doors, ed in particolar modo il loro frontman, volevano diffondere un messaggio, cambiare il mondo nel quale si trovavano a vivere.
La fine di Morrison e l’inizio della leggenda
Nel pensare a Morrison, dice Stone, è evidente la sua necessità di essere poeta, sacerdote della parola, il suo fastidio quasi per la fama come cantante. L’universalità e la profondità della sua voce sono le ragioni fondamentali per cui ancora oggi la sua tomba a Pere Lachaise a Parigi, dove morì per un arresto cardiaco nel 1971, è una delle più visitate del cimitero parigino e sicuramente quella dove è più profondo e diretto il contatto tra gli ammiratori e l’idolo.
Morrison regista
Stone parla da fan, parlando di Morrison, ma anche da cineasta. Ricorda, come ricordato anche nelle prime scene del film, che il cantante era molto più interessato al cinema inizialmente, ma che abbandonò gli studi in questo campo dopo che i suoi esperimenti tra poesia e Nietszche, non vennero compresi, quando non apertamente criticati, dai suoi professori e compagni. Erano gli anni di Godard, del cinema “improvvisato”, della ricerca continua, al di là delle direttive formali delle accademie. Figlio di un ammiraglio da cui si sentì sempre scarsamente amato, Morrison rifiutava anche nei suoi esperimenti cinematografici, di seguire delle regole e non permetteva alcuna etichettatura né si lasciava irreggimentare in alcun modo.
Un incontro mancato
Il regista americano racconta, poco prima di assistere alla proiezione del suo film restando in mezzo al pubblico, che già durante gli anni del Vietnam, quando ancora non era una star di Hollywood (lontana comunque da Hollywood) aveva inviato una sceneggiatura a Morrison, già idolo delle folle, un’allegoria della guerra nella quale avrebbe sperato di poter far recitare il cantante. Dopo alcuni contatti iniziali, però, il progetto non venne ulteriormente portato avanti ed in un certo qual modo “The Doors” è diventato non solo il tributo al “re lucertola”, ma anche un modo per rimediare a quell’appuntamento mancato, un riconoscimento ad un artista che molto volentieri Stone avrebbe seguito anche in una sua potenziale carriera di regista. Come racconta Stone, Morrison parlava spesso di un film in bianco e nero che avrebbe voluto realizzare quando oramai la carriera della band era finita e quando oramai “il rock era morto”.
I meriti della cineteca di Bologna
Prima della proiezione l’ospite della serata ha elargito sentiti ringraziamenti per il certosino lavoro della cineteca di Bologna che ha “lavorato su ogni singolo fotogramma”, apprezzando in particolar modo quanto i restauratori sono riusciti a fare sull’audio. Il suono, infatti, durante la proiezione arriva nitido, graffiante in alcuni casi, in profondità. La “modalità concerto” soprattutto è esaltata dall’elaborazione dell’impianto sonoro della pellicola.
Stone, l’America e lo spirito di Morrison
Stone, che nei giorni scorsi è stato anche ospite del Taormina Film Festival, dove ha presentato il suo film “Revealing Ukraine” sulla difficile situazione del paese dell’est europeo, si è offerto ancora una volta come uno dei più grandi “ritrattisti” della storia del cinema e come acuto osservatore della realtà contemporanea. L’autore di film politici dedicati a vari presidenti americani, da “JFK” a “Gli intrighi del potere” su Nixon o “W” su George W. Bush, impegnato, da quanto dichiarato di recente nella realizzazione di un film su Trump, sogna che il messaggio di Morrison illumini le menti dei leader del suo paese, costantemente impegnati in una guerra e che lo spirito del “re lucertola” aleggi, come gli par di sentire sulla piazza di Bologna e sempre e comunque in qualche parte del mondo.