La Corea continua a “sfornare” prodotti di altissima qualità. Dopo il gran successo di Squid Game, giunge su Netflix “Non siamo più Vivi“, una serie di zombie che può solo fare invidia alle produzioni americane. Non sono molti i prodotti a tema zombie che raggiungono un livello alto di qualità (come il conterraneo Train to Busan). Ma conclusi i dodici (lunghi) episodi si può dire che Non siamo più vivi sia il prodotto a tema zombie migliore degli ultimi anni. Con un ritmo serrato e una violenza senza perdono, è una serie che va vista da tutti gli amanti dell’horror.
Non siamo più Vivi: Una serie di qualità
Non siamo più vivi dimostra di essere il risultato di una produzione di altissimo livello. È una serie grande, che si sviluppa nell’arco di dodici episodi della durata di un ora. La grande qualità di questa serie horror si trova sia nei contenuti che dal punto di vista formale. Non Siamo più Vivi dice al pubblico che il dominio qualitativo non è più egemonia americana. Questa serie Netflix soverchia in termini qualitativi altre serie con lo stesso tema, come The Walking Dead ( che nelle ultime serie ha perso mordente). Presenta una certa freschezza narrativa (pur presentando i classici elementi del genere) e un accuratezza registica di gran pregio.
Finezza registica
Da un punto di vista registico Non Siamo più Vivi gode di ottime prestazioni qualitative. Ad un montaggio frenetico si aggiungono alcuni virtuosismi con la cinepresa che dimostrano una solida conoscenza del linguaggio cinematografico. Un esempio lampante si trova nel secondo episodio, quando l’epidemia inizia a diffondersi nella scuola. Gli autori scelgono di descrivere l’assalto degli zombie alla mensa con un “delizioso” piano sequenza ( ripresa in continuità). La scena è molto caotica, ma la cinepresa si muovo sinuosamente nel caos provocato dagli zombie. Guida lo spettatore, immergendolo nel panico più totale. Questa scena è solo una delle tante ( ma la più emblematica) che dimostra l’alto livello tecnico della serie.
Non Siamo più Vivi: Freschezza narrativa
In Non siamo più Vivi ritroviamo tutti i principali tropi tipici della narrativa zombie. Ormai è difficile trovare una serie che sappia inventare qualcosa di nuovo. Sono pochi i titoli che danno un taglio originale a questo genere molto abusato (un esempio sono The end? L’inferno fuori o Train To Busan). Non Siamo più Vivi ci riesce. In più di dodici ore è in grado di sviluppare con creatività i temi principali degli zombie movie. La lotta alla sopravvivenza del gruppo di adolescenti è raccontata magnificamente. Senza sfociare nell’esagerazione, la serie ci mostra le abilità e l’inventiva che hanno i giovani ragazzi. Si configura una struttura Coming of age, che segue dei giovani studenti che crescono troppo in fretta per necessità. Non siamo più Vivi presenta allo spettatore un gruppo di ragazzi che imparerà a collaborare e sfrutterà l’ingegno e la furbizia per tentare di sopravvivere. I momenti migliori della serie sono proprio quelli che mostrano lo spirito di collaborazione e unità che instaura tra i ragazzi. È un elemento che non sempre viene raccontato con cognizione nei prodotti con gli zombie. Qui viene fatto, e anche con una certa bravura.
Un ritmo martellante
Non Siamo più Vivi è una serie che non da tregua allo spettatore. Il primo episodio, che possiede alcuni tratti da Teen Drama, presenta i principali protagonisti e il luogo principale dove si svolgeranno i fatti (la scuola). Ma già dalla seconda metà della puntata il ritmo si impenna e da quel momento in avanti non si fermerà più. I primi sette episodi presentano uno sviluppo al cardiopalma, pregni di situazioni altamente tese che trasmettono angoscia e ansia costanti. Nonostante la lunghezza (forse un pò eccessiva), lo spettatore nella prima metà della serie viene trascinato in un mondo di orrore con il fiato sospeso. L’elevato numero di morti aumenta con un ritmo arrembante e, si arriva a metà serie soverchiati dalla brutale realtà presentata. Questa serie non annoia, soprattutto in questa prima fase, e tiene incollati allo schermo.
Una decrescita intimista
Gli episodi otto e nove rallentano l’inarrestabile cavalcata della serie, che fino ad ora viaggiava ad un ritmo serrato. In questi due episodi avviene una svolta intimista; si da valore ai rapporti umani tra i membri del gruppo di superstiti. Troviamo in questo frangente un paio di scene significative sul piano emotivo. Si tratta di momenti di grande impatto che permettono al pubblico di riprendere il fiato. La scena ambientata sul tetto della scuola, attorno al falò, è un bellissimo esempio di umanità. Il gruppo coltiva un rapporto, diventa unito rivelando alcuni segreti e cantando insieme. È un momento che da valore ai personaggi e crea una sintonia emotiva con lo spettatore. Da questo punto, fino alla fine, il ritmo sarà più frammentato,alternando scene più lente a situazioni nuovamente incalzanti. Il rallentamento si percepisce molto (a causa della frenesia della prima parte) ma non rovina la serie. Anzi permette di stratificare la storia e i suoi personaggi, che risultano tridimensionali.
La violenza di Non siamo più Vivi
Non siamo più Vivi non è una serie per tutti. Oltre alla lunghezza impegnativa, è una serie stracolma di violenza. Niente è lasciato all’immaginazione, la brutalità più estrema viene sbandierata in faccia allo spettatore. Non si risparmia su nulla: interiora che escono, cervelli che si spappolano, sangue ovunque. Le mura del liceo Hyosan si tingono di rosso. Quindi la visione non è adatta ad un pubblico sensibile. Chi risulta infastidito alla vista del sangue, stia alla larga da questa serie. Di contro, Non siamo più Vivi è un gioiello horror consigliatissimo per gli amanti del genere. Questa serie Netflix diventa un must da non perdere per gli adoratori del cinema d’orrore. È destinata a diventare un Cult che resterà nell’immaginario comune.
I morti come metafora
Quando si parla di zombie, si pensa a George Romero e al suo cinema politico. I suoi zombie rappresentavano una critica al consumismo. Non sempre i prodotti di zombie seguono la strada del Maestro. Spesso l’uso dei “mangiacarne” è un espediente gore, per far perno sulla violenza gratuita e sul Trash. In questo caso però si può leggere una profondità che in altri prodotti non è presente. Chi crea il virus è spinto da una visione nichilistica dell’umanità. Nella nostra società vince il più forte e più deboli vengono schiacciati. Il Virus si configura come un tentativo di combattere la forza con la forza, rendere i deboli più forti. Una sorta di rivisitazione del concetto Homo Homini Lupus, ossia la natura umana intesa come egoismo e senso della sopraffazione. Il virus nasce quindi da un pessimismo intrinseco,diventando una metafora. Gli zombi rappresentano la vera natura umana, violenta e soverchiante.
Conclusioni: un finale intimo
La serie si chiude con un finale molto intimista. la conclusione denota una certa dose di malinconico romanticismo. I pochi ragazzi sopravvissuti decidono di fare ritorno al luogo dove tutto ha avuto inizio. Con la neve che cade (fatto quasi simbolico), il gruppo si riunisce attorno alle macerie del liceo distrutto. Qui onorano i morti e ritrovano un amica lasciata indietro. Il finale è conclusivo ma lascia alcuni spiragli per un futuro sviluppo. Tirando le somme, Non Siamo più Vivi si può considerare un ottima serie, capace di dare respiro ad un genere abusato. È una serie faticosa e lunga ma che sa dare soddisfazioni a chi la guarda. Ci vuole impegno ad arrivare in fondo, avvolti da una violenza dilagante e trascinati da un ritmo senza freni. Sebbene la serie rallenti nella seconda parte, questo non rovina la qualità. L’intimismo della seconda parte permette anzi di arricchire la serie, rendendo i personaggi più tridimensionali e profondi. Quindi questo prodotto Netflix è promosso a pieni voti, e lo si consiglia caldamente agli amanti dell’horror.