Su Fabrizio De Andrè e la sua poetica si sono spese molteplici parole, sia scritte sia semplicemente pronunciate, e certamente non si smetterà mai di aggiungerne, quando probabilmente il modo migliore per avvicinarsi alla sua figura e alla sua capacità espressiva consiste nel lasciar parlare lui stesso nelle interviste ancora in nostro possesso nonché, forse prima di ogni altra cosa, lasciare che a esprimere a pieno ogni concetto siano in primis le sue canzoni. In una delle suddette interviste, girate nella sua tenuta in Gallura da Vincenzo Mollica a fine anni ’80, il cantautore genovese dichiarava come la canzone forse a lui più somigliante potesse essere senza particolari dubbi Bocca di Rosa, brano contenuto nell’album omonimo di esordio di De Andrè e raffigurante una delle figure umane più a lui congeniali e da lui maggiormente descritte nella propria opera: le donne cosiddette di malaffare, in realtà figure in cui l’allora giovane poeta della canzone vedeva un’immensa umanità laddove gli odiati benpensanti trovavano al contrario motivi di licenziosa e nauseante critica.
La protagonista della canzone in oggetto è una giovane donna di grande fascino soprannominata Bocca di rosa; il testo non lo specifica in maniera chiara ma i versi in metro preciso e caratterizzati da una sapiente rima baciata lasciano intendere che si tratti di una giovane donna di malaffare che, arrivata per caso nel piccolo paesino di San Ilario, stravolge in maniera roboante la realtà calma nonché profondamente bigotta della provinciale realtà dove è contestualizzata la narrazione. La canzone dice in maniera molto chiara come il “mestiere più antico del mondo” venga svolto da Bocca di Rosa né per noia né solo per professione, ma con un’enorme passione nell’espletare le proprie facoltà; ma, come dice il testo stesso, “la passione spesso conduce a soddisfare le proprie voglie, senza indagare se il concupito ha il cuore libero oppure ha moglie”, ed è così che Bocca di Rosa si trova ad avere incontri intimi con i giovani e meno giovani padri di famiglia del paese causando l’ira delle mogli, delle quali De Andrè, con fare molto ironico ma non certamente cavalleresco nel senso più letterario del termine, fornisce una descrizione non propriamente lusinghiera: “E fu così che da un giorno all’altro Bocca di Rosa si tirò addosso / l’ira funesta delle cagnette a cui aveva sottratto l’osso. / Ma le comari di un paesino non brillano certo in iniziativa, / le contromisure fino a quel punto si limitavano all’invettiva”. Questi ultimi due versi dimostrano come, anche in questa canzone come già avvenuto ne Il gorilla di “brassensiana” origine, le donne dimostrino una marcata differenza tra idea e azione, limitandosi a coprire di ingiurie la malcapitata Bocca di Rosa senza prendere sulle prime provvedimenti di particolare rilievo. Provvedimenti che verrano invece presi in seguito, a causa dell’intromissione di un’anziana “mai stata moglie, senza mai figli e senza più voglie” che “si prese la briga e di certo il gusto di dare a tutte il consiglio giusto”: la vecchia in questione convince le giovani donne tradite dai propri mariti con Bocca di Rosa a recarsi dal Commissario per denunciare l’accaduto, e in questo punto della canzone De Andrè si diverte a mostrare per l’ennesima volta la propria ritrosia verso l’ordine costituito (ricordiamo la formazione intellettuale di estrazione prettamente anarchica del cantautore genovese) nonché la profonda ipocrisia celata sotto il velo della falsa moralità: “ed arrivarono quattro gendarmi, con i pennacchi con i pennacchi, / ed arrivarono quattro gendarmi con i pennacchi e con le armi. / Il cuore tenero non è una dote di cui sian colmi i Carabinieri, / ma quella volta a prendere il treno l’accompagnarono malvolentieri”. La canzone, senza particolari peli sulla lingua, descrive qui la profonda amarezza mostrata dai Carabinieri nell’accompagnare Bocca di Rosa alla stazione onde intimarle di lasciare per sempre San Ilario, mostrando come, senza ombra di dubbio, anche i rappresentanti dell’ordine in divisa debbano aver avuto modo di passare qualche ora felice in compagnia della giovane donna. Tale versione non poteva risultare accettabile alla società dell’epoca, abituata com’era a un rispetto pressoché biblico delle forze dell’ordine, tanto che la Censura impose a De Andrè una rapida modifica dell’ultimo verso in: “Spesso gli sbirri e i Carabinieri al proprio dovere vengono meno, / ma non quando sono in alta uniforme e l’accompagnarono al primo treno”. Lo spunto ironico verso i malcapitati rappresentanti della legge di San Ilario rimane, ma a quanto pare per i benpensanti italiani degli anni Sessanta che sbirri e Carabinieri potessero non rispettare in toto il proprio dovere non doveva rappresentare questo grande scandalo paragonato a una loro presunta abitudine nel frequentare aitanti donne di compagnia.
Un personaggio come Bocca di Rosa, anche se allontanato dal paesino dove ha fatto maggiormente parlare di sé, non può passare per nessun motivo al mondo inosservato in lidi differenti ecco perché, proseguendo il racconto “deandreiano”, “una notizia un po’ originale non ha bisogno di alcun giornale, / come una freccia dall’arco scocca e vola veloce di bocca in bocca. / E alla stazione successiva molta più gente di quando partiva, / chi manda un bacio, chi getta un fiore, chi si prenota per due ore”. Non contento di aver lanciato la propria bonaria e libertaria presa in giro verso i tutori della legge, De Andrè si lancia in un’opera a dir poco dissacrante, per quanto spassosissima nel suo genere, includendo anche il presbitero del nuovo paese nella lista di clienti di Bocca di Rosa: “Persino il Parroco che non disprezza, tra un Miserere e un’Estrema Unzione, / il bene effimero della bellezza la vuole accanto in processione”. Essendo però De Andrè tutt’altro che mancante di rispetto nei confronti non tanto della religione quanto della spiritualità e volendo rimarcare quanto nella sua poetica la lente di ingrandimento venga puntata prima di tutto sull’essere umano, con tutti i pregi e i difetti che concorrono a determinarne l’unicità, e poi sulle figure ultraterrene, nelle ultime battute di questa breve ma significativa canzone la figura bistrattata di Bocca di Rosa viene rivitalizzata tanto da essere accostata a quella della Madonna, anche lei figura femminile condannata dalla storia per aver dato alla luce un figlio non generato dal marito, seppur figlio di Dio: “e con la Vergine in prima fila e Bocca di Rosa poco lontano, / si porta a spasso per il paese l’amore sacro e l’amor profano”.
La canzone è di rara potenza e mostra il proprio autore nell’apoteosi della propria capacità poetica: Bocca di Rosa è un essere umano tra i più puri che esistano al mondo, dominata da un’ardente passione che però non la rende meritevole di tutto il disprezzo subito durante la sua breve epopea. In questo breve ma incisivo componimento, De Andrè mostra per l’ennesima volta come la canzone, pur se arte relativamente breve, possa scuotere gli affetti delle persone indirizzandone le coscienze verso conclusioni dotate di accresciuta apertura, lungimiranza e, forse quello che più interessava lui, pietas. Non ci serve di certo Bocca di Rosa per ricordare la grandezza poetica del messaggio di De Andrè, serve però a ricordarci quanto l’essere umano abbia da riscoprire in termini di empatia, proprio in quest’epoca dove ci riconosciamo sempre meno nell’altro e giudichiamo troppo spesso senza avere i benché minimi strumenti culturali per poterlo fare. Un nuovo personaggio al pari di De Andrè sembra tardare oltremodo la propria venuta, ma questa non è una giustificazione per non riscoprire il messaggio di questo immortale poeta della nostra canzone e per non provare a trarne qualche utile insegnamento, da indirizzare soprattutto alle generazioni più giovani e, proprio per questo, più facilmente ammaestrabili da una classe dirigente che li vorrebbe ignoranti e inclini a temere e combattere il diverso da sé.
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