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Grappa, intervista con Alessandro Marzadro

Grappa:tutti conosciamo questo distillato tipico prodotto con uve italiane. Una tradizione plurisecolare prevalentemente artigianale che nasce dall’accurata selezione delle vinacce da avviare alla distillazione. Poco forse  conosciamo le dinamiche di mercato della grappa. Possiamo parlare di un settore che, a dispetto della crisi, conosce momenti di vivacità. E questo grazie a innovative strategie di posizionamento sui mercati anche nazionali, grazie alla pubblicità, al marketing, al placement. Molto ha contato anche  l’ingresso nella Grande Distribuzione Organizzata.
Le imprese, sebbene al nord abbiano una connotazione più industriale, sono comunque realtà che pur non avendo raggiunto dimensioni multinazionali operano nella direzione della competitività. Questo per soddisfare un consumatore esigente che non beve grappa solo per riscaldarsi. La grappa si eleva a distillato che attrae tutti i consumatori svecchiandosi rispetto all’idea di un superalcolico robusto e grezzo.

La grappa dunque, non conosce mode e nel suo essere prodotto di nicchia con quota di mercato minore rispetto ad altri distillati. Ed è comunque un simbolo importante della produzione nazionale. Fiore all’occhiello dei prodotti tipici artigianali, la grappa sta diventando un prodotto sempre più elegante. I consumatori sono attenti al packaging, alla marca, al formato.

La grappa sotto l’occhio del riflettore, dunque. Piace anche ai giovani ed è un prodotto esclusivamente italiano che oggi conosce una stagione di successi anche nella gastronomia essendo impiegata da grandi chef. Per non parlare anche dei percorsi didattico – ricreativi che si possono fare nelle distillerie. Tanto che potremmo parlare di grappa – turismo e dunque di identificare i grappa – turisti come quei turisti che vanno alla scoperta dell’identità territoriale. Un’eccellenza italiana tutta da scoprire o riscoprire. Conosciamo allora ancor più da vicino il mondo della grappa. Ne abbiamo parlato con Alessandro Marzadro, produttore di grappe trentine. Alessandro è anche autore del libro Assaggi di grappa. Per conoscerla, sceglierla, abbinarla (Trenta Editore).

Grappa
La copertina del libro di Alessandro Marzadro
La grappa: si beve… e si mangia?

Sì, stiamo parlando di un prodotto assolutamente “versatile”. Si tratta di un distillato nato dalle vinacce, dalle bucce che vengono eliminate dalle cantine dopo la vinificazione. Si ricava da una materia di scarto che, se trattata e lavorata bene, può dare ottimi risultati. Un distillato di qualità ha aromi intensi e un gusto pieno, alcolico ma non “irritante”. Queste caratteristiche sono l’insieme di una trasformazione attenta che parte dallo stoccaggio delle vinacce, passa per l’alambicco. Per poi arrivare al taglio della testa e della coda per conservare la parte più preziosa, il cuore.

Da sempre si beve come distillato per il fine pasto, per accompagnare il caffè (il ben noto caffè corretto) oppure per accompagnare un buon sigaro o un buon cioccolato. Negli ultimi anni sta recuperando importanza anche nella miscelazione dei cocktail, così da essere più attraente per un pubblico giovane. Allo stesso modo anche in cucina può essere usata per la marinatura di carne e pesce, per la preparazione dei dessert. Ma anche  per sfumare piatti caldi, proprio come già avviene per altri distillati.

  1. Come è nata questa passione per la Grappa?

Oltre a essere una passione è una storia di famiglia giunta alla terza generazione. La Distilleria Marzadro nasce nel 1949 per mano della prozia Sabina che ha ceduto l’azienda a mio nonno Attilio. Un’attività nata in un periodo difficile ma che ha saputo farsi strada rispettando le tradizioni del Trentino e l’obiettivo di fare sempre  qualità. Oggi la Distilleria, che ha sede a Nogaredo (Tn),  può vantare prodotti importanti come la Grappa Le Diciotto Lune, la linea monovitigno Le Giare. Senza contare le linee con produzioni limitate come Affina e Le Espressioni. Negli ultimi anni abbiamo aggiunto anche Anfora  e Le Diciotto Lune invecchiata in botti di vino Porto.

  1. La Grappa italiana quanto è competitiva nel panorama internazionale?

La Grappa italiana, purtroppo, ha vissuto anni non molto facili, spesso relegata a un prodotto di “serie B”. Fortunatamente questo periodo è terminato e tutto il settore sta lavorando per dare al distillato Made in Italy il giusto riconoscimento. Non ha nulla da invidiare ai grandi distillati mondiali, anzi! Si sta ritagliando una fetta significativa di sostenitori è sta crescendo con ottime prospettive. Certo, è un prodotto che deve essere presentato e fatto conoscere, solo così si può continuare il percorso intrapreso in modo sensato.

  1. Una ricetta veloce veloce …

Propongo non una ma due ricette, una di cucina e una di cocktail. Millefoglie di gamberi aromatizzati con grappa alle olive, mele granny smith e stracciatella pugliese, un piatto adatto anche per l’estate. Come cocktail ecco Le Diciotto Julep, pochi ingredienti miscelati nelle dosi corrette, quali 5 cl di grappa le Diciotto Lune, 6-7 foglie di menta, frutti di bosco, 2 cucchiaini di zucchero d’uva, 5 cl di acqua delle Dolomiti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Wannabe a guru: storie di vita vissuta sui social

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Numeri da capogiro ed evento sold out per Wannabe a guru: storia di vita vissuta sui social. Al secondo appuntamento,  quello datato 15 maggio al cospetto di 150 super selezionati partecipanti all’evento, tra cui professionisti del mondo della comunicazione, studenti e professori di marketing ma anche manager di aziende multinazionali. Si sono susseguiti professionisti che non hanno lesinato in parole e hanno condiviso con i presenti tutta la loro passione.andrea roberto bifulco

I numeri da capogiro sono non ufficiali, ma stimati in cifre da far girar la testa:  circa 20 mila sorrisi, più di 5 mila strette di mano, più di 2 mila selfie e oltre 500 post presenti sui social. Un successone che si prevede bisserà la serata numero uno, la Prima dell’evento Wannabe a guru: storie di vita vissuta sui social presso Google Italia.

La seconda fortunata serata è stata ospitata  dall’IQOS Embassy di Milano (se vi state chiedendo cosa sia e dove sia ubicato IQOS Embassy, ve lo spiego in poche righe: è il sistema rivoluzionario sviluppato da Philip Morris International che scalda e non brucia il tabacco. E non avendo combustione va da sé che non ci sia produzione di fumo, cenere o odore di fumo. Grazie alla Heatcontroltm Technology consente ai fumatori di assaporare il gusto del vero tabacco)paola turani

Chi si è succeduto sul palco? Guru ed esperti del calibro di Eleonora Rocca  Founder del Mashable Social Media Day Italy , Clio Zammatteo (in video da NYC), Elena Dominique Midolo, Paola Turani modella, attrice e pittrice, Maddalena Corvaglia Founder di Maddyctive & Sky View L.A., Francesco Sole Conduttore & Creator, Christoph Kastenholz Founder di Pulse Advertising, Ivan Lurgo Dietista & Personal Trainer. Ecco, nomi noti e professionisti che hanno condiviso il palco raccontandosi, condividendo con i presenti  progetti, ambizioni, sogni in un caleidoscopico susseguirsi di momenti importanti da cui trarre insegnamento.

Nome d’eccezione anche per il Direttore d’orchestra Andrea Roberto Bifulco, Founder di Wannabe A Guru e Director di Startup Grind Milano, la più grande community di Imprenditori e Startupper in Italia con più di 3000 partecipanti agli eventi mensili con Venture Capitalist, Imprenditori di Successo e CEO.wannabe a guru

Tra gli sponsor della seconda serata Wannabe a guru: storie di vita vissuta sui social, Machiavellico, Mashable Social Media Day Italy, S.M.I Star Management Italia, Bazery, Rex e Mobile pro.

E ora? Ora Wannabe a guru apre al mercato internazionale, a settembre Amburgo poi si torna in Italia, a Torino, altre storie, altri guru d’eccezione. Io sono curiosa e non me lo perderò, e voi?i guru di wannabe a guru

 

Rosy on Twitter @rosybalzani

“Sulle tracce di Aldo Moro. Una storia da raccontare” di Davide Gravina.

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Tante domande irrisolte sull’uccisione dell’onorevole Aldo Moro.

 

 

Il 9 maggio uscirà il libro “Sulle tracce di Aldo Moro. Una storia da raccontare” di Davide Gravina, una sorta di saggio – inchiesta scritto con passione e con la volontà di giungere a quella verità che molti illustri rappresentanti dello Stato e dei poteri in senso lato sembrano sapere, ma che preferiscono tacere per non rompere labili equilibri politici costruiti a fatica. L’uccisione dell’onorevole Aldo Moro fu un avvenimento che scosse la coscienza di tutto il popolo italiano e lasciò una ferita che ancora adesso, a distanza di trentanove anni da quel triste 9 maggio 1978, non si è ancora rimarginata e ha lasciato molti interrogativi insoluti.

Ed è a molti di tali quesiti che l’autore prova a dare una risposta attraverso le pagine del suo libro. “Sulle Tracce di Aldo Moro. Una storia da raccontare” è il primo libro di Davide Gravina, nato a Cosenza e residente a Fuscaldo, città di cui è stato sindaco per ben due mandati uno nel 1997 e l’altro nel 2006. Ha sempre militato nelle file del partito democristiano, sin dai tempi in cui frequentava l’Università degli Studi della Calabria seguendo il corso di laurea in Storia Moderna e Contemporanea, e dal 22 aprile 2017 è Presidente Provinciale dell’UDC.

Dall’intervista con l’autore, qui di seguito, sono emersi alcuni aspetti estremamente interessanti sulla “questione Aldo Moro” per la quale si spera un seguito da parte di Gravina.

 

 

Carena:Dott. Gravina ci spiega il perché ha deciso di scrivere un libro sul caso Aldo Moro?

Gravina: Frequentavo la quarta elementare, nell’anno 1978, quando due avvenimenti furono, sin da subito, da me percepiti come elementi che avrebbero condizionato il prossimo futuro. Certo non avevo l’età giusta – nove anni appena- e la maturità per capirne la portata storica, ma la sensibilità era già dentro di me. Questi due fatti furono: la strage di via Fani il 16 marzo 1978 ed il ritrovamento del corpo senza vita dell’onorevole Aldo Moro a Roma in via Caetani il 9 maggio del 1978. Ricordo che, il giorno dopa la barbara uccisione dello statista democristiano, il mio maestro a scuola ci fece svolgere un tema sull’accaduto. Io ero molto ben informato sui fatti, perché tutto il pomeriggio e la sera del giorno del ritrovamento di Aldo Moro, dentro la Renault 4 rossa, rimasi a casa incollato alla televisione, a quell’epoca c’era solo il canale RAI, e alla radio. Quel tema fu la mia prima relazione politica. Da quel giorno il “caso Moro” è entrato a fare parte di me e non ho mai smesso di “indagare”, a fasi alterne ed in modi diversi, i motivi di quella strage. Oltre al rapimento e all’uccisione di Aldo Moro, morirono in quella circostanza  dei servitori dello Stato innocenti: Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Raffaele Iozzino, Francesco Zizzi, Giulio Rivera. Nel periodo degli studi universitari ripresi ad approfondire la vicenda, attraverso l’acquisto di libri e attraverso le ricerche nelle biblioteche, dove reperivo i quotidiani e le riviste dell’epoca. Con il passare del tempo sono venuto in possesso anche della documentazione delle commissioni parlamentari d’inchiesta sul “caso Moro” e delle sentenze giudiziarie. Una mole impressionante di documenti che si fa fatica a leggere e studiare tutti. Ho dedicato tanto tempo a queste carte, ma avvertivo dentro di me la necessità di trasmettere anche agli altri quello che leggevo e capivo. Recentemente la possibilità concreta di fare tutto questo mi è stata offerta dalla rivista online “Periodico Daily”. Devo ringraziare il presidente ed il direttore responsabile della rivista, in quanto appena sottoposi l’idea di scrivere dei frammenti quotidiani sul “caso Moro”, non solo mi hanno autorizzato ed approvato il progetto, ma anche sollecitato a farlo subito. Il libro “Sulle tracce di Aldo Moro. Una storia da raccontare” nasce da tutto questo ed è sostanzialmente la raccolta dei primi 111 articoli pubblicati sul sito www.periodicodaily.com . “Sulle tracce di Moro” vuole rappresentare una “indagine” ancora in corso, condotta dal sottoscritto, sulla quale si vogliono costantemente informare le persone ancora attratte dalla vicenda, le quali ritengono che non tutto è stato detto o chiarito. Mentre l’indagine si sviluppa in cinque direzioni: prima della strage di via Fani, via Fani, tra via Fani e via Caetani, via Caetani, dopo via Caetani; la pubblicazione cronologica degli articoli si è basata su esigenze editoriali. Uno Stato civile e democratico non può assolutamente permettersi il lusso di accettare “mezze verità” rispetto ad una vicenda che ha cambiato il corso della politica non solo italiana. Uno Stato – quello italiano – che non ha accettato la trattativa con i brigatisti rossi per liberare Aldo Moro, ed invece fin da subito dopo l’uccisione del leader democristiano (uno dei padri fondatori della Repubblica Italiana) accetta ogni tipo di dichiarazione di parte brigatista. Probabilmente concordando con loro alcune dichiarazioni e prevedendo tutta una serie di agevolazioni per non farli rimanere in carcere. Uomini e donne assassini, è opportuno ricordarlo, che attraverso le loro azioni hanno provocato tantissimo dolore a numerosissime famiglie italiane. Continuerò a rimanere sulle tracce di Aldo Moro, le “indagini” non sono finite, il caso non è chiuso.

 

Carena: In base alle sue approfondite conoscenze dei fatti e delle relazioni delle commissioni d’inchiesta, per quale motivo venne rapito l’onorevole Aldo Moro. Chi o cosa si voleva colpire?

Gravina: Il caso Aldo Moro è una vicenda che con il passare del tempo, anziché essere archiviata negli scaffali della storia, diventa sempre più attuale, tale da giustificare la costituzione nel 2014 di una nuova commissione d’inchiesta parlamentare. Ciò significa che il caso non è assolutamente chiuso. La strage di via Fani, dove persero la vita cinque servitori dello Stato, e la successiva barbara uccisione del leader democristiano (9 maggio 1978) hanno radicalmente cambiato il cammino “autonomo” intrapreso dalla politica italiana.  Tutto è potuto accadere perché in contrasto con l’equilibrio mondiale stabilito a Yalta?  Si è fatto di tutto, fin da subito, per cancellare le impronti digitali dei veri autori del delitto, ovvero quelli che lo hanno commissionato, ma con il trascorrere del tempo tutta l’opera di depistaggio pian piano è stata rimossa per dare spazio a quella verità dei fatti che non solo l’opinione pubblica italiana ha il diritto di conoscere. Nel libro trovano spazio le lettere scritte nel “carcere del popolo” dall’onorevole Aldo Moro,  i comunicati delle Brigate Rosse, le iniziative del Vaticano, il memoriale Moro, le inchieste giornalistiche, le dichiarazioni dei protagonisti dell’epoca in commissione parlamentare,  i memoriali dei terroristi, gli autori dei libri sulla vicenda. Una serie di tracce da seguire per giungere alla verità dei fatti. Perché Aldo Moro? Perché non andò a buon fine la trattativa che poteva salvare la vita ad Aldo Moro e restituirlo alla libertà? Perché la proposta dello scambio dei prigionieri o il riscatto in denaro fallì miseramente? A queste e ad altre domande cerco di dare delle risposte riportando alla luce anche documenti passati inosservati o sottaciuti all’opinione pubblica. Nell’anno 1978, sul suolo italiano, succedono due avvenimenti che sconvolgeranno l’ordine mondiale pensato e voluto da due potenze, quella americana e quella sovietica: l’uccisione di Aldo Moro e l’elezione al soglio pontificio di Giovanni Paolo II. Idealmente c’è uno scambio del testimone. Il leader democristiano sono riusciti a fermarlo, uccidendolo. Bloccando ancora una volta il processo reale e concreto del rinnovamento politico. Il pontefice hanno tentato di ucciderlo il 13 maggio 1981. Avendo fallito nell’operazione, un blocco del sistema, quello sovietico, è stato travolto dalla forza del cambiamento. Una forza che ha fatto crollare i muri e disintegrato imperi. Aldo Moro aveva anticipato troppo i tempi.

 

Carena:  Dalle lettere che Aldo Moro scrisse durante la sua carcerazione quali sono i pensieri e i sentimenti che principalmente emergono: fiducia che si stia effettivamente trattando per la sua liberazione o consapevolezza della non volontà

di arrivare ad un buon esito finale? Quale è l’interlocutore principale delle lettere: la sua famiglia, i suoi compagni di partito o lo Stato italiano in generale?

Gravina:  La famiglia è l’interlocutore di cui si fida. La strada della trattativa, con scambio di prigionieri, è quella da Moro individuata come soluzione fin dall’inizio delle sue lettere dal carcere del popolo. Soluzione per avere salva la vita e la libertà, sottoposta all’attenzione di tutti, ma che nessuno ha voluto intraprendere.

 

C.: Secondo Lei, dott. Gravina, si arriverà mai a conoscere la verità sulle motivazioni dell’ uccisione di Moro e quali furono i mandanti effettivi? O forse è una verità che qualcuno delle alte sfere politiche conosce, ma preferisce tacere per vergogna o per non incrinare labili equilibri politici?

G.: Il mio libro inizia con una citazione biblica, tratta dal Vangelo di Luca, capitolo 12, 2-3: “Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Pertanto ciò che avrete detto nelle tenebre, sarà udito in piena luce; e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne, sarà annunziato sui tetti”. Si, ne sono certo, arriveremo alla verità dei fatti.

 

 

Loredana Carena

Info: Davide Gravina, Sulle tracce di Aldo Moro.Una storia da raccontare. Acquistabile sia nelle librerie che online [email protected]

Elia Caprera racconta il suo romanzo “La piccola Poesia”

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La piccola Poesia” è un breve romanzo, edito da Davide Ghaleb Editore, di Elia Caprera, alla sua prima esperienza come autore. Nell’opera racconta gli stati d’animo di un ragazzo che, in attesa di diventare padre, compie un percorso personale volto alla conoscenza di se stesso, un viaggio in una dimensione onirica che lo porta alla scoperta della sua realtà.

La scrittura per l’autore è stata un’esigenza:

Vivi la tua vita nella sua naturalezza, giorno, dopo giorno, collezionando esperienze e rapportandoti con il mondo; Presto o tardi – capita a tutti -, ci si ritrova a collezionare domande e alle volte a temere di non trovare risposte. Questa confusione è stata la causa scatenante del mio avvicinamento alla scrittura – la mia esigenza? la sete di risposte-; ho imparato così ad osservare e ben presto a scrivere per ricordare: ogni emozione, ogni sensazione indistintamente bella o brutta. La penna è più sincera delle parole, una memoria a lunghissimo termine. Ho iniziato così a scrivere spinto dall’esigenza di comunicare tutte quelle idee che altrimenti, avrei trovato difficili da condividere. La scrittura è un’ottima terapia di analisi, i conflitti interiori sono un ottimo carburante per la creatività

Elia Caprera racconta così l’espediente del viaggio:

La vita stessa è un viaggio pieno di possibilità; A volte difficili da interpretare ma concesse a tutti. Ciascun istante è padre di un pensiero, ogni pensiero una potenziale rivoluzione. Tengo a precisare che l’utilizzo del termine “rivoluzione” vuole identificarsi nell’immagine di una apertura mentale, una libertà intellettuale. Esiste un solo limite a questa “rivoluzione”: è direttamente proporzionale alla vita di ognuno di noi; Per questo non va sprecato il tempo! Da diverso tempo mi diverte cercare possibili risposte ad una domanda: quanti pensieri lasciamo incompiuti? E’ difficile rispondersi, ma, se prendiamo in considerazione il regime di vita e la caoticità che affrontiamo quotidianamente, viene da se: credo, almeno l’ottanta percento; un’enormità, un vero spreco di potenziale! Questo accade, perché non si è educati alla visione del futuro e pertanto non si sente l’esigenza di voler lasciare una traccia di sè; siamo troppo abituati a vivere il presente con la convinzione infondata di costruire un futuro del tutto personale. Basterebbe pensare con un’ottica più ampia mirata ad una visione generazionale. Allora le cose cambierebbero; potremmo dare la possibilità di vivere quella “rivoluzione” ai nostri figli e allo stesso tempo di condividere con loro e con altre generazioni il nostro personale viaggio. La realtà è il costrutto mentale di un sognatore; la vita è il raggiungimento di un obiettivo, una porta di accesso all’immortalità

Sebbene il racconto non sia autobiografico, inevitabilmente alcuni spaccati del vissuto dell’autore hanno influenzato l’andamento della scrittura del viaggio:

Il libro vuole essere una riflessione ed un elogio alla vita; il protagonista: lo specchio del lettore. L’idea che ho sposato in corso d’opera è stata quella di portare il lettore stesso a vivere il viaggio e a riflettere in primis sulla propria personale visione; l’opera diventa così: il racconto di un milione di racconti, vissuti, storie; ognuna con un finale differente. ” confido d’essere riuscito ad instaurare un rapporto empatico con il mio lettore”. Ogni opera, direttamente o indirettamente porta con sé parte di un vissuto. Per quanto immaginaria e fantasiosa possa essere è per natura, necessariamente frutto dell’esperienza dell’autore. “La piccola Poesia” non è un’opera biografica ma l’estensione di tutti i miei ideali. Cosa mi accomuna al protagonista é del tutto comprensibile: quanto di naturale e umano riusciamo ad immaginare nella storia di un uomo “paure, emozioni, perplessità, voglia di esserci, sete di risposte

Elia Caprera racconta di avere diversi progetti: la prossima presentazione del romanzo è in programma a Viterbo, la città in cui attualmente vive e lavora e per la quale nutre un profondo affetto. Per conoscere le date precise si consiglia di consultare i vari canali e social:

 

http://www.ghaleb.it/home.htm

http://www.ghaleb.it/home.htm

http://eliacaprera.altervista.org/?doing_wp_cron

https://m.facebook.com/lapiccolapoesia

https://m.facebook.com/eliacaprera

 

 

Bullismo e cyberbullismo: conoscere e riconoscere. INTERVISTA ALLA PROF.SSA LAURA OCCHINI

Il bullismo e il cyberbullismo sono fenomeni sempre più diffusi tra i banchi di scuola e nel mondo virtuale di bambini e adolescenti. Si parla di bullismo fin dalle scuole materne e ha delle conseguenze gravissime a livello psicofisico nella vittima e degli esiti psicopatologici nel bullo. Conoscere e riconoscere è l’arma vincente per contrastare questo fenomeno.

Ne discutiamo insieme alla prof.ssa Laura Occhini, Ricercatrice e Professoressa aggregata di Psicologia dello sviluppo e Psicologia del lavoro del Dipartimento di Scienze della formazione, scienze umane e della comunicazione interculturale dell’Università di Siena.


Quali sono le caratteristiche comportamentali di un potenziale bullo?


Molte ricerche elencano specifici fattori di rischio che individuano nel clima familiare del bullo (clima ostile, trascuratezza/abuso, povertà, divorzi conflittuali e figli contesi) una delle caratteristiche che accomuna un ampio numero di individui che potremmo definire bulli. Un ambito di ricerca molto interessante, invece, prende in considerazione lo stile educativo genitoriale come criterio che influenza la partecipazione ad azioni di bullismo. I dati delle indagini compiute dal gruppo di lavoro dell’università di Warwick dimostrano, ad esempio, che uno stile parentale “iperprotettivo” (overprotective parent) mette il bambino a rischio bullismo. E’ lo stile educativo in cui il genitore tende a rimuovere dalla sfera esistenziale del figlio qualsiasi elemento di frustrazione. Per semplicità: è il genitore che insegna al figlio che qualsiasi fallimento non dipende dalle sue attitudini o dal livello di impegno ma dalla &cattiveria&, dall’&invidia& e dall’inferiorità degli altri (compresi gli insegnanti). Come a dire: in fondo se sei una vittima è perché te lo meriti, perché non reagisci, perché non ti sai difendere, perché non sei abbastanza competitivo, perché sei un po’ diverso dalla maggioranza… perché sì! Suppongo che qualcuno così vi sia capitato di incontrare,soprattutto se fate gli insegnanti!

In un bambino o ragazzo ci sono dei comportamenti che devono far suonare un campanello d’allarme per i genitori? Si può capire se il proprio figlio sia un bullo?

Per le vittime il campanello di allarme è il brusco cambiamento di comportamento: scoppi d’ira, pianto in aula e fuori, chiusura, isolamento e comparsa di disturbi psicosomatici, rifiuto dell’ambiente scolastico e ritiro sociale.
Per il bullo è un po’ più difficile e per vari motivi. Molto spesso il “bullo” proviene da un ambiente in cui l’atteggiamento aggressivo è pensato e vissuto come “sicurezza in se stesso” e come elemento di orgoglio per la capacità di imporsi o – come comunemente si dice – come riflesso di una personalità che “non si fa mettere i piedi in testa da nessuno”. Pare quindi evidente che anche se vi è consapevolezza dell’aggressività questa non viene considerata come un comportamento da estinguere o come un comportamento lesivo dei diritti degli altri.
La famiglia del bullo tende generalmente a considerare i comportamenti del figlio come &ragazzate& e la tendenza a minimizzare è condivisa non raramente anche dai genitori dei bambini non coinvolti negli atti di bullismo ma che ne sono solo spettatori.
Il bullo è spesso circondato  da una spirale di silenzio e di superficialità che lo rende inconsapevole della gravità dei suoi gesti e questo dipende spesso dalla leggerezza e dalla inconsapevolezza della famiglia.

L’avere subito a propria volta storie di bullismo può essere una causa?


Può esserlo. Può non esserlo. Ma anche in questo caso l’epidemiologia del fenomeno è vasta e non ha i contorni netti con cui ci piacerebbe avere a che fare quando trattiamo un fenomeno di così forte impatto sociale e psicologico. L’essere oggetto di violenza (verbale, fisica e anche virtuale), soprattutto nel periodo dello sviluppo, segna indelebilmente la personalità di un individuo. Non si torna indietro. E come un individuo reagisce, dopo che ha imparato la violenza, dopo che l’ha sperimentata sulla sua pelle, dopo che ha provato la potenza dell’umiliazione e della vergogna, non è cosa che possiamo prevedere se non in termini molto generali. Sì: può reagire a sua volta con violenza per reazione, per riscatto, per vendetta. O no: può chiudersi per paura, per vergogna. Può negarsi alla vita fino alle conseguenze estreme o può realizzare se stesso nonostante la violenza subita. Dipende tutto – e in larga misura – dal contesto educativo, dal supporto familiare, dalle alternative sociali che il ragazzo ha oltre l’ambiente in cui subisce il bullismo.

Perchè un ragazzo diventa un cyberbullo?


Questa è una domanda che temo sempre: anche in aula con i miei studenti. Innanzitutto vorrei chiarire che bullismo e cyberbullismo sono fenomeni che hanno contorni comportamentali completamente diversi come completamente diversi sono i comportamenti con cui vengono attuati.
Ma tornando alla domanda: se avessimo una risposta certa con molta probabilità potremmo affrontare il bullismo ed il cyberbullismo in termini preventivi invece che in termini riparativi.
Potremmo infatti attribuire la responsabilità a molti elementi: alla carenza di educazione all’empatia e al rispetto; all’allentamento del controllo genitoriale; al lassismo educativo… ma io posso assicurare che in una percentuale ampia di casistica riusciremmo sempre a trovare dei casi che non potremmo far rientrare in nessuna categoria. Sono propensa a credere che le cause non siano da ricercare nel soggetto che compie il gesto bullizzante ma nel contesto in cui questo avviene.

Che ruolo dovrebbero svolgere la scuola e la famiglia per combattere questo fenomeno?


L’educazione alla consapevolezza è fondamentale. Tanto per chi applica il bullismo quanto per chi lo subisce. Essere consapevoli significa imparare che le mie azioni non sono neutre, che ciò che faccio ha effetti nella esistenza di un’altra persona: sia nel bene che nel male. E questo può essere insegnato. Ma serve anche l’esempio pratico: se in famiglia il bambino sente deridere o insultare gli altri per il loro orientamento affettivo, per la loro posizione economica e sociale, per la loro provenienza geografica o per la loro appartenenza religiosa, per le dimensioni del corpo, per il genere a cui appartengono, perché sono ammalati, perché hanno una disabilità o un disturbo dell’apprendimento… se il bambino è esposto a tutto questo e se ha la percezione (trasmessa dai genitori iperprotettivi) di essere al di sopra di qualsiasi giudizio negativo nessuna forma educativa contro il bullisno avrà mai la stessa forza del messaggio di impunità trasmessogli dai genitori.


Che consiglio si sente di dare a chi è vittima di episodi di cyberbullismo?


I consigli da dare alle vittime di bullismo e a quelle di cyberbullismo non sono gli stessi. Sono due fenomeni – ripeto – che non possono considerarsi uguali come diverse sono le caratteristiche dei protagonisti. Il controllo sul cyberbullismo è difficile laddove la virtualità diventa un aspetto della vita reale. Posso solo immaginare di chiedere alle vittime di non assecondare le spirali di silenzio e di superficialità e di nonc redere che l’isolamento porti alla soluzione. La soluzione è nella denuncia del fenomeno. Sempre!