Sono i ragazzi dagli occhi azzurri per molti dei fan che hanno visto i KeemoSabe sul palco di XFactor. Per molti altri, i primi grandi esclusi dall’ultima edizione di XFactor, che ha visto uscire il gruppo originario del nord Italia ai Bootcamp per la conseguenza di uno switch fatto da Samuel.
Innumerevoli i fischi che Samuel ha ricevuto per la decisione di eliminare dalla competizione i KeemoSabe, nome che loro stessi ci dicono significare fratelli da madre diversa. Mi è sembrata un po’ prematura la scelta di eliminarli dalle scene. Motivo per cui ho pensato di contattarli e fare qualche domanda.
Il gruppo, che all’attivo possiede un solo EP, è infatti pronto a deliziarci con nuova musica. Se volete saperne di più, ecco a voi l’intervista che avuto con Alberto Curtis, il front man dei KeemoSabe.
Innanzitutto, da dove venite esattamente? Qual è il vostro background?
Noi siamo del Lago Maggiore, al confine tra Novara e Varese. Siamo cresciuti tutti nella zona, anche se io ed il batterista, Sebastiano, abbiamo vissuto a New York un paio d’anni prima di rientrare in Europa, con l’idea di andare a Londra. E casualmente abbiamo conosciuto questi due ragazzi, Andrea e Pino, con cui abbiamo iniziato a suonare insieme. La band quindi nasce sì in Italia, ma è sempre stata orientata all’estero.
Le vostre canzoni in inglese sono quindi state pensate per circolare direttamente in quel di Londra?
Si. Noi siamo nati come un progetto per l’estero. E di qui la scelta dell’inglese, che dopo due anni di vita a NY ci veniva anche più naturale perché eravamo abituati a quel tipo di musica. Poi la vita ci ha portato in Italia, dove comunque il nostro lavoro ha un appeal, anche se non siamo un genere da classifica italiana.
Quali sono quindi le influenze che le vostre esperienze all’estero vi rendono una band indie italiana atipica?
Noi siamo nati come band dal respiro largo perché io e Sebastiano abbiamo fatto i musicisti jazz in America per circa 3 anni, quindi veniamo da un mondo fatto di musica improvvisata, che non si sente nella musica rock. Il tastierista, Andrea, ha da sempre lavorato a colonne sonore e musica Hip-Hop. Pino, il bassista, è invece il classico bassista rock, underground. Quindi quando abbiamo iniziato a suonare insieme, così per caso, ci è piaciuto poter prendere influenze da stili diversi, per poterle poi unire in uno stile semplice, così che il progetto fosse molto inclusivo.
Ma quindi è la casa nel bosco in cui avete fatto le prime registrazioni che ha dato poi il lancio al vostro progetto dell’EP che avete inciso negli Abbey Road Studios. Come è potuto accadere?
C’è stato questo nostro ritorno in Italia, tornando dall’America e in partenza per l’Inghilterra, e avevamo bisogno di un posto in cui stare per suonare e comporre. Il nonno del nostro batterista aveva una casa abbandonata in mezzo al bosco, che noi abbiamo ristrutturato e reso uno studio di registrazione grazie anche alle conoscenze di Andrea. Lui è, infatti, ingegnere del suono e ci ha aiutato a rendere la nostra base pronta a rispondere alle nostre esigenze come band. Nonostante ciò, noi volevamo trasferisci a Londra, e quindi ci siamo rinchiusi in questo posto per dei mesi, perché sapevamo che con l’arrivo in Inghilterra ci sarebbero stati i primi concerti, le prime registrazioni.
Questo posto sono le radici da cui avete spiccato il volo per Londra. Ma come avete affrontato il volo?
Noi ci siamo trasferiti, spostando il concetto di casa nel bosco in un appartamento fuori Londra. Una persona ci ha poi invitato a registrare presso gli Abbey Road Studios, ma i costi proibitivi ci hanno richiesto di fare una campagna di crowd-funding che è andata benissimo.
Avete una fan-base, quindi, ben nutrita per far si che un’operazione di finanziamento del genere funzioni.
Assolutamente si. Noi, quando abbiamo fatto uscire l’EP, ci siamo concentrati sul promuoverlo con i nostri mezzi sia in Italia sia in Inghilterra. Questo può risultare dispersivo ma in realtà ci lascia aperte molte molte porte. Noi così non siamo obbligati a seguire una linea sola.
E come credi che l’esperienza di XFactor abbia potuto cambiare la vostra FanBase, considerando l’impatto mediatico di un simile programma?
Sicuramente quando lo abbiamo fatto eravamo molto dubbiosi su molti fronti: innanzitutto non sapevamo come avrebbero reagito i fan che già avevamo, e poi non sapevamo che tipo di fanbase ci avrebbe procurato. Alla fine, parte del pubblico di XFactor sono le casalinghe di 50 anni e i ragazzini liceali, e queste due categorie sono lontane dal nostro classico pubblico. Però è andata benissimo perché sia il nostro pubblico che avevamo in precedenza si è risvegliato e ci ha supportato, sia quello nuovo è molto più definito di quanto potessimo pensare. La nostra gioia è proprio vedere che il nostro messaggio viene recepito anche da persone che non noi non avevano nulla a che fare prima.
Ma qual è quindi il messaggio che i Keemosabe stanno cercando di passare, se dovessi enunciarmelo in una frase?
Una metamorfosi dal normale allo straordinario. Nella nostra storia abbiamo un contrasto tra provincia e città, Italia ed estero. Quindi a me piace pensare che, con un’idea di base che punti davvero ad una qualità del prodotto, si possa arrivare lontano. Il nostro sogno è passare dal locale di provincia al palazzetto. Una persona, per noi, se è davvero convinta, deve potercela fare e noi vorremmo dimostrare che è possibile attraverso la nostra storia personale.
Voi eravate quel tipo di band che criticava i talent prima di parteciparvi, però?
Noi, ovviamente, conosciamo i lati oscuri della cosa e le negatività che si creano dal poter partecipare in un talent. D’altra parte, per tantissimi artisti emergenti, il passaggio al talent dà un’esposizione che uno avrebbe solo con enormi investimenti pubblicitari spesso proibitivi. Abbiamo visto tanti anni di talent in cui il fuoco di paglia che si solleva durante le puntate si spenga subito dopo, e questo è per una mancanza di contenuti e tecnica interna
Sono rimasti dei risentimenti nei confronti di Samuel o comunque di XFactor?
Onestamente no. Non li abbiamo avuti durante la registrazione della puntata e nemmeno ora. La scelta di Samuel ha senso per quello che vuole fare lui e noi non ci dimentichiamo che quello è un gioco. In quanto gioco, determinate offese che Samuel ha ricevuto a causa dello switch effettuato con noi sono completamente fuori luogo. Siamo comunque in un contest che viene vinto da una singola persona.
E ora? Che combinerete?
A brevissimo annunciamo delle date del mini-tour, prima delle quali sarà il 15 novembre al Serraglio di Milano. Poi siamo in trattativa per molte altre città. E il secondo grande progetto è la fine delle 12 tracce che andranno a comporre il nostro primo album, che uscirà presto. L’abbiamo registrato alla Fauna di Varese, anche quello immerso nella natura, ed è stato poi finito a Milano con Tommaso Colliva, il produttore dei Muse. È un disco che rappresenta le nostre prime attività e che schiude il nostro materiale originale.
Ultimissima domanda: ma avete davvero tutti gli occhi azzurro ghiaccio?
Questa è una cosa che ci piacerebbe tenere nostra, ma diciamo che potrebbe essere anche che abbiamo usato delle lenti a contatto affinché il nostro “essere fratelli da una madre diversa” venisse mostrato in una maniera artistica. Alla fine, siamo sempre i KeemoSabe
Questa sera la seconda parte dei Bootcamp