Il Re Cremisi compie 50 anni

Era il 1969 quando Woodstock pullulava di hippie, la musica scorreva libera e passionale, il surrealismo era a portata di mellotron e i King Crimson si esibivano a Hyde Park con brani alquanto realistici e ancora attuali.

0
6056
Il Re Cremisi compie 50 anni

Suoni dell’Eden, fumi psichedelici e parole graffianti. Il 10 ottobre del 1969, fra Abbey Road (26 settembre 1969) e Led Zeppelin II (22 ottobre 1969), esce l’album “In The Court of the Crimson King” (An Observation by King Crimson), il quale, nonostante gli altri due colossi musicali ebbe un successo immediato. Alcuni per udito e altri seguendo le fantasie innescate dalla copertina si radunarono intorno al vinile, trasformandolo in un cult già all’epoca.

Chi sono i King Crimson?

king crimson 1969

La band nasce nell’ottobre del 1968 e viene ufficializzata il 13 gennaio 1969 con Michael Giles alla batteria, Greg Lake alla voce e al basso, Ian McDonald multistrumentista, Peter Sinfield ai testi e Robert Fripp alla chitarra. Si esibiscono nel loro primo live show nell’aprile del 1969 allo Speakeasy, club di Londra e, tre mesi dopo a Hyde Park, qui, fanno parte della scena secondaria come gruppo di supporto ai Rolling Stones in memoria del fondatore Brian Jones, venuto a mancare qualche mese prima. Di fronte a 250000 spettatori, il concerto si ricorda come polarizzante, se da un lato ha onorato la figura del chitarrista Jones, dall’altro ha fatto da terreno fertile per la fioritura dei King Crimson.

La musicalità eterea dei brani la si deve al mellotron, il precursore dell’attuale sintetizzatore nonché strumento preferito della band. La prospettiva di rimanere insieme, purtroppo, non ha trovato un filone in cui spiegarsi, alcune divergenze hanno portato allo scioglimento della struttura iniziale, Ian McDonald aspirava a musiche dai toni romantici mentre Robert Fripp era incentrato sulla sperimentazione. L’ultima esibizione è quella del dicembre 1969, poi, Greg Lake, Michael Giles e Ian McDonald abbandonano i King Crimson e Lake forma gli Emerson Lake and Palmer, McDonald diviene un membro dei Foreigner, mentre Fripp pubblica altri 12 dischi sotto il nome dei King Crimson.

Le melodie della band spostano l’attenzione dal blues all’hard rock, risultato di una mixture di jazz, musica classica e sinfonica. Nei 43 minuti dell’album “In the Court of the Crimson King” si alternano paesaggi fantastici a testi meditati dal significato profondo.

L’urlo di Barry Godber

L’urlo di Barry Godber è diventato un simbolo tra i giovani nonché stilema del rock progressive, fu ideato da Barry in persona, un programmatore di computer che morì d’infarto al cuore a soli 24 anni, appena dopo la pubblicazione dell’album. L’uomo della copertina ha un orecchio sproporzionato, o in gergo, “ha l’orecchio lungo” e tale è la schizofrenia scandita dal suo volto. A dir la verità e, con un po’ d’immaginazione, la copertina assomiglia anche ad un gambero dal volto umano. Al suo interno, ci troviamo un uomo luna, dagli occhi sornioni e un po’ malinconici, è il Re Cremisi, eponimo sia dell’album che del gruppo.

re cremisi

Queste sono le parole di Robert Fripp nell’intervista a Rock & Folk: « Peter ha portato questo dipinto e il gruppo lo adorava. (…) La faccia esterna è quella dell’uomo schizoide, e quella interna è del Re Cremisi. Se si nasconde il suo sorriso, gli occhi rivelano una tristezza incredibile. Cosa potremmo aggiungere? Esso riflette la musica.»

Di cosa parlano i testi?

Il disco si apre con fervore, su note incalzanti e con la voce pungente di Greg Lake in: “21st Schizoid Man”. Un brano all’avanguardia per le note heavy metal e non a caso, è stato riprodotto da Ozzy Osbourne nell’album Under Cover. Le prime parole che s’incontrano sono: “Cat’s foot iron claw” o “la zampa del gatto, artiglio di ferro”, il che lascia sottindere come il mondo vada distruggendosi per mano dell’uomo. Erano gli albori di un tempo ancora giovane, in cui l’ascesa al potere aveva messo le prime radici, il mondo andava procedendo verso una dimensione incentrata sul monopolio e, il simbolo “Pace e amore” non sarebbe rimasto che un’utopia.

Citiamo alcuni versi: “Un tormento di sangue, filo spinato / Un rogo di politici / Innocenti stuprati con il fuoco del napalm / Uomo schizoide del ventunesimo secolo.” Il filo spinato, il napalm, la sostanza acida usata per costruire le bombe in Vietnam e principale causa di morte, rispecchiano la psicosi dell’uomo che sfocia nella pazzia della guerra, tanto che nell’ultima frase “Lui non ha niente che gli serva sul serio / Persona schizoide del ventunesimo secolo”, cresce una sorta di profezia che dona all’album una veridicità nascosta, attuale, nonché ai tempi, futuristica.

Sul ruolo del potere si era già espresso Pasolini, denigrando la manipolazione mentale sulla coscienza dell’uomo che sostituisce i valori naturali con valori falsi e alienati. É l’illusione del ventunesimo secolo, subdola e meschina che non ti guarda in faccia come Hitler, ma ti prende a braccetto e cammina con te. Se la si guarda da vicino c’è da urlare forte, ma forte, proprio come l’uomo in copertina. La musica tra i due testi sembra fare i gargarismi ed è ricca di note mistiche che sembrano coinvogliare in loop psichedelici.

L’atmosfera caotica viene prosciugata dal ritmo soave e fatato della seconda traccia: “I talk to the wind”, sembra uno sprazzo di sole, una ballata solitaria carica di energia, sentimento e surrealismo. Suoni fantasmagorici stuzzicano l’udito e scandiscono una melodia magica per le orecchie e la mente. L’atmosfera irreale lascia il posto ad un tragico realismo, crudo come la guerra, è quello di: “Epitaph”. Citiamo alcuni versi: “La conoscenza è un amico mortale / Quando nessuno fissa le regole / Il destino dell’intera umanità, per quel che vedo / È nelle mani degli idioti”. Ho sempre pensato che il troppo sapere può nuocere gravemente all’essere umano, ma ancor di più il sapere freddo, quello metallico, come un rapinatore che ti deruba della tua anima, del tuo senso.

Ebbene, La conoscenza è un arma a doppio taglio. Cosa la salva? L’empatia signori. E cito la seguente: “ Confusione sarà il mio epitaffio / Mentre striscio per un cammino crepato e sfasciato / Se ce la facciamo possiamo sederci tutti, e ridere / Ma ho paura che domani piangerò / Sì, ho paura che domani piangerò / Sì, ho paura che domani piangerò”, perché dovresti piangere se ce l’hai fatta? Perché il farcela non ti basta, lo senti il dolore in fondo al cuore di tutti quelli uguali a te a cui il destino gli ha sottratto la vita, e tu, adesso, piangi per tutti loro.

É questo un mondo in confusione, non si sa perché si muore né perché si vive, e allora mi chiedo dalla mia umile sedia in plastica dell’Ikea, l’uomo ha forse perso il lume del buongiorno? La morte ci ha già attorniati? La risposta è no. Siamo ancora in tempo a riprenderci ciò che è nostro e a scrollarci il mantello delle psicosi, guardando con occhi sinceri e puri il senso delle cose.

Inizio secondo atto

Moonchild” è la traccia che apre il secondo atto, una ninna nanna magica che conferma il classico surrealismo dell’album. Il “bambino/a luna” è un’anima danzante che vive nel mondo paranormale dei suoi sogni e si rifiuta di tornare alla dura realtà. “Chiamala Figlia della Luna / Che danza nel letto d’un fiume / Solitaria Figlia della Luna / Che vaga per l’onirico reame / sotto le ombre d’un salice”, immagino una sequenza di immagini in cui la bambina luna vaga per le porte degli astri, cammina sulle nuvole e si dondola sulla luna, aspettando il sorriso di un figlio del sole…

Il suono ipnotico si tramuta in qualcosa di inaspettato, è l’ultima traccia: “In the Court of the Crimson King”. La melodia è solenne e sembra celebrare l’arrivo del giorno, la voce di Greg Lake preannuncia l’eco dei compagni che lo seguono con un tono corale e rigoglioso, che si apre alla luce del sole. Il popolo si riunisce alla corte del Re Cremisi.

“Nelle dolci mattinate bigie / le vedove versano lacrime / L’uomo saggio prende parte al gioco / Corro per afferrare divini simboli / Per soddisfare la burla / Il Giullare Paglierino non canta / Ma gentile tende i fili / E sorride davanti alla danza dei burattini / Alla corte del Re Cremisi”, personaggi fiabeschi si riuniscono in un unico grande momento, al venire del giorno le follie dell’uomo non rimangono che sogni spezzati, le genti tornano alle proprie usanze e lo stupore cosciente, lascia il posto all’assolo a flauto di Ian McDonald, suoni leggiadri e dolci colmano il vuoto iniziale, ci donano una sorta d’identità danzante e infantile, ecco che note mistiche tornano a fare da protagoniste, annunciando la fine.

Immaginate un maestro d’orchestra che racchiude il palmo della mano creando un cerchio invisibile dopo un’assonanza di melodie surreali, ci si sente scossi e un po’ turbati, come al risveglio da un sogno.

Conclusioni

Oggi sono cinquant’anni dall’uscita di una delle pietre miliari del rock e vorrei celebrarla in tutta la sua grandezza. La sensibilità che porta è quasi straziante, i presagi già avvertiti a quel tempo non fanno che rimodellarsi nel presente cercando di nascondersi, ma io l’urlo di Barry Godbert lo sento sonoro, è così ridondante che vorrei piangere, strapparmi le vesti di dosso e urlare al mondo intero che un sorriso vale più di mille denari. Eppure, prendo in mano l’involucro, sfilo lentamente il vinile, lo poggio sul giradischi e sfumo con i riff di chitarra di Robert Fripp, le parole magnetiche di Peter Sinfield e la voce pungente di Greg Lake.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here