Le nuove generazioni lo hanno riscoperto grazie al film campione d’incassi Bohemian Rhapsody. Ma la leggenda di Freddie Mercury comincia molto prima, a Zanzibar, dove il futuro frontman dei Queen era nato, il 5 settembre 1946.
Gli inizi
Il vero nome di Freddie Mercury era Farrokh Bulsara. Di origini parsi, all’età di 18 anni dovette trasferirsi con la famiglia in Gran Bretagna per via dei tumulti politici in atto nel paese d’origine. Qui, Freddie ebbe modo di terminare gli studi d’arte e di dar sfogo alla propria creatività, ad esempio creando una propria linea d’abbigliamento.
La principale passione di Freddie rimaneva tuttavia la musica. Dopo il diploma, si unì agli Ibex, un gruppo rock di Liverpool, in qualità di cantante. Ma è con la storica band Queen, fondata nel 1970 insieme al chitarrista Brian May e al batterista Roger Taylor, che raggiunse il successo che l’avrebbe reso un’icona pop per i decenni a venire.
I Queen
Fu lo stesso Freddie a pensare al nome Queen. A proposito dichiarò: <<Anni fa pensai al nome Queen. È molto regale e suona sfarzoso. È un nome forte, universale e immediato. Aveva un sacco di potenziale visivo ed era aperto ad ogni tipo di interpretazione. Ero certamente consapevole delle connotazioni gay, ma quella era soltanto una delle sue facce.>>
Anche il logo della band fu disegnato da Freddie. L’artista si basò sullo stemma reale del Regno Unito, al quale aggiunse i segni zodiacali dei quattro membri della band (al gruppo si era unito, nel frattempo, il bassista John Deacon). Due leoni rampanti: Taylor e Deacon. Cancro, Brian May. Due fate bianche a rappresentare la Vergine, il segno di Mercury.
Un’icona gay
Non fu soltanto la musica a portare al successo la band. Lo stile di Freddie, il suo carisma, contribuirono certamente ad attirare l’attenzione del pubblico. Il frontman non aveva timore di mostrarsi per ciò che era, di sfoggiare look eccentrici, e nemmeno di dichiarare apertamente la propria omosessualità. Nel 1974, in un’intervista si definì <<gay come un narciso>>. Inutile dire quanto un simile atteggiamento attirasse critiche e pettegolezzi. Come le voci riguardo alla presunta love story con il celebre ballerino russo Rudolf Nureyev; voci, peraltro, mai confermate.
Il Live Aid
È probabile che la più celebre esibizione dal vivo dei Queen sia quella del 13 luglio 1985, durante il Live Aid, un grande concerto umanitario che vide esibirsi i maggiori artisti musicali dell’epoca. Organizzato dal cantante e attivista Bob Geldof, l’evento si tenne al Wembley Stadium di Londra. Lo scopo era quello di raccogliere fondi destinati alle popolazioni etiopi, colpite da una grave carestia. L’esibizione dei Queen, della durata di venti minuti, fu così memorabile che consacrò definitivamente la band, ed è ancora oggi considerata una delle migliori performance musicali di tutti i tempi. Freddie Mercury e il suo gruppo erano definitivamente entrati nella leggenda.
Il riserbo sulla malattia
Freddie fu portato via da una malattia all’epoca ancora poco conosciuta: l’AIDS, contratta probabilmente intorno al 1982. La diagnosi definitiva giunse però solo nel 1987. Tuttavia, per anni l’artista tenne segreto il proprio stato. Sebbene le voci su di una sua presunta malattia si facessero sempre più insistenti, Freddie rese pubbliche le proprie condizioni soltanto nel 1991. <<Spero che tutti si uniranno a me, ai dottori che mi seguono e a quelli del mondo intero nella lotta contro questa terribile malattia>> dichiarò.
La sua lotta terminò appena il giorno dopo, il 24 novembre 1991, a soli 45 anni. Ma la sua tragica fine contribuì certamente a sensibilizzare le persone sul terribile male che l’aveva colpito. Non solo: i rimanenti membri della band, insieme al manager Jim Beach e a Mary Austin, forse l’amica più cara dell’artista, fondarono poco dopo la Mercury Phoenix Trust, organizzazione che si occupa di combattere l’AIDS, anche nei paesi in via di sviluppo, e di diffondere il più possibile l’informazione in merito. Gli amici di Freddie, insomma, si erano uniti a lui nella battaglia, come egli si era augurato, e ancora oggi la portano avanti per lui.
Non solo Bohemian Rhapsody
I Queen furono una band piuttosto prolifica, e sono numerosi i brani che, ancora oggi, vengono ascoltati e apprezzati anche dagli appassionati più giovani. Oltre alla già citata Bohemian Rhapsody, probabilmente il capolavoro di Freddie, ricordiamo We are the Champions, divenuta in seguito quasi un inno per la comunità LGBT. I Want to Break Free, il cui esilarante video, dove Freddie e gli altri membri della band appaiono travestiti da donna, fu censurato per ben 7 anni negli Stati Uniti. Ma anche We Will Rock You, Don’t Stop Me Now, Another One Bites the Dust: pezzi che, ad oltre 40 anni dalla loro uscita, continuano a risuonare nelle discoteche, consegnando ancora una volta la band all’immortalità.
Citarli tutti è impossibile, e probabilmente non necessario: tutti, più e più volte, abbiamo ascoltato queste canzoni, e quasi tutti, nel sentirle, immaginiamo immediatamente il volto, dai grandi denti e dall’ancor più grande carisma, di Freddie Mercury.