Melanie Martinez debutta nel 2015, e il mondo della musica alternativa viene rivoluzionato dall’arrivo di una nuova reginetta. Riscopriamo, a cinque anni di distanza, il capolavoro che fu il suo debutto Cry Baby.
Cry Baby, la bambina che piange troppo
La storia di una bimba dalla lacrima fin troppo facile e “dal cuore troppo grande per il suo corpo”, che viene da una famiglia disastrata e non riesce a relazionarsi col ragazzo che le piace. Questa è l’avventura raccontata in Cry Baby, e Melanie Martinez la racconta con il linguaggio semplice dei libri illustrati per bambini. La cantante debutta il 14 agosto 2015, con un album alt-pop e trip-hop di quelli che non se ne vedono tutti i giorni. La sua visione è chiara e completa, e la racconta attraverso un personaggio d’eccezione: una strana e triste bambina di nome, appunto, Cry Baby.
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Gli alter ego, nella musica, si sprecano dai tempi dei Beatles. La figura di Cry Baby, essendole dedicato un intero album, è una dei più completi. Esiste persino un libro illustrato in rima, reperibile in una particolare edizione speciale dell’album, che racconta la storia completa come fosse un racconto per bambini. Ma le vicende della piccola sono intuibili anche senza di esso, solo attraverso la musica e gli splendidi e stilistici video musicali. Cry Baby abita in una famiglia disastrata, con un padre fedifrago, una madre depressa e un fratello tossicodipendente. Sogna l’amore, ma il primo ragazzo che incontra la fa sentire costantemente in difetto, e dal secondo non è riamata. Quando organizza la sua feste di compleanno non si presenta nessuno, e ancora una volta finisce tutto in lacrime.
Le immagini riprese dal mondo dell’infanzia sono semplici, ma efficaci nella loro semplicità. La casa per le bambole rappresenta la realtà illusoria di una famiglia molto meno felice di quanto non appare. I giocattoli alfabetici simboleggiano la spocchia del suo primo amore, che la fa sentire stupida con le sue vittorie alle “gare di spelling”. Persino il rapitore e molestatore del quale cade vittima in Tag, You’re It (il nome inglese del gioco per bambini “ce l’hai”) ha le sembianze del lupo cattivo delle fiabe. Stavolta però non arriva nessun cacciatore o taglialegna a salvarla. Se la cava da sola, usando l’arma “femminile” per eccellenza: il veleno, destinato alla colazione del famelico predatore.
Melanie Martinez, estetica e visione
È proprio quella Milk & Cookies la traccia migliore dell’album, nonché una delle più sottovalutate, in cui Cry Baby mostra il suo lato più spietato contro il lupaccio rapitore. La sentiamo (e vediamo) avvelenare felice i suoi biscotti, liberandosi da sola dalle sue grinfie. Il tipo di narrativa che a volte vale la pena raccontare con un po’ di sadismo, in una sorta di Jennifer’s Body raccontato con le bambole di porcellana.
Ma le tracce meno “sanguinarie” non sono da meno, anche solo per la bizzarria che a volte esibiscono. Ancora oggi memorabile il drop di Soap, che riprende proprio il rumore delle bolle di sapone che scoppiano. O il rumore di liquido che scorre nella cupa Sippy Cup, in cui si giunge a parlare di abuso di droghe e morte di neonati. Oppure, ancora, la musica carnevalesca che accompagna Carousel. Quella di Cry Baby è quindi una storia completa, con un setup complicato e una conclusione funzionale e semplice. Ricorda un po’ i racconti bizzarri di certe icone gotiche per ragazzi che andavano di moda a metà del decennio passato. Le varie Mercoledì Addams, Emily The Strange, le ragazze della Monster High, Ruby Gloom. Una delle tante, atipica per i suoi colori delicati e pastello, ma una delle migliori.
Fragile e vendicativa, romantica e sola, e determinata a giungere all’unica conclusione di cui chi vive come lei: l’importante è sentirsi al sicuro come si è. Le situazioni raccontate in Cry Baby sono molto estreme, e risulta difficile entrare in contatto con una storia alla volta. Eppure, almeno una volta, se n’è sentito parlare. Quello di Melanie Martinez diventa dunque un pop spavaldo, che non ha paura di osare e andare anche un po’ fuori dalle righe. Creando uno degli album più iconici e significativi usciti cinque anni fa.
Il sequel di Cry Baby, K-12, racconta dell’arrivo della bambina nel mondo della scuola. Là Cry Baby, accompagnata dall’amica di sempre Angelita e dalle altre ragazze del college, affronta le sue figure d’autorità opprimenti e corrotte. Le immagini e le metafore si allontanano dal personale e dallo psicologico e giungono al sociale, al politico. Si parla del ruolo della donna, dell’immagine sociale di bellezza, del prezzo della fama sulle star. E naturalmente di Donald Trump e delle sue nefandezze, con tutta la giusta rabbia che una giovane donna latinoamericana può dimostrare. Ma non può esistere un K-12 senza Cry Baby, come non si diventa adolescenti senza essere stati bambini. E Cry Baby rimane un lavoro unico nel suo genere, che anche a cinque anni di distanza vale la pena riscoprire.