Blues: le radici della musica afroamericana

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L’uscita recente dell’album di Eric Clapton, “The Lady in the Blacony: Lockdown Sessions”, è una ghiotta occasione per parlare di blues.

Quando nasce il blues?

Il blues ha radici antiche e spietate che affondano nella fertile terra della Cotton Belt, la cintura di Stati meridionali degli Stati Uniti d’America nella quale abbondano le piantagioni di cotone. Prima della guerra civile gli schiavi afroamericani erano la principale forza lavoro dei proprietari terrieri: merce da stiva che solcava l’oceano a bordo di grosse navi e approdava nel Nuovo Continente. Una volta lì, i mercanti vendevano gli schiavi ai possidenti, che li piazzavano nei campi a sgranare cotone. Ed è in quei campi di cotone, nelle notti afose e limpide del sud degli Stati Uniti, che nascono le blue note, così chiamate perché all’epoca il blu era il colore della tristezza. L’espressione “I’ve got the blues”, che tradurremo come “Ho il blues”, indicava uno stato d’animo malinconico che gli schiavi esprimevano attraverso i canti popolari. Canti che, una volta terminata la guerra civile, gli uomini liberi portarono in giro per tutti gli Stati Uniti. E visto che la guerra civile aveva lasciato solchi profondi dietro di sé, il blues non ci mise molto ad attecchire. La musica degli schiavi divenne l’inno di una condizione umana che bianchi e neri condividevano. Il dilagare della povertà spinse gli uomini liberi e disperati a cantare e a suonare le blue note per liberarsi dalla depressione che li opprimeva.

Lo spiritual come antenato

Il blues è il grido straziante di chi stringe pochi spiccioli in un pugno e tutta una vita nell’altro. È la voce della Cotton Belt che racconta la storia diversa, ma sempre uguale, di un’ingiustizia. Non è come uno spiritual, ma ce lo ricorda per intensità e pathos. Nulla di strano, dal momento che gli spiritual erano i “canti degli schiavi”, nati prima che il blues facesse la propria comparsa. Ma mentre gli spiritual tendono l’orecchio a Dio e ai suoi vicini di casa, il blues si occupa di faccende più terrene. Per capirlo davvero dovremmo condividere il vissuto di una generazione che serba nel proprio genoma un retaggio antico come un racconto biblico. Uomini come B.B. King, Muddy Waters, Albert King, Buddy Guy e dozzine di altri, benedetti dal grande dio del blues, raccolgono il retaggio dei propri avi, uomini e donne prestati alle bianche distese di cotone. E a proposito del saper riconoscere lo spirito del blues, c’è un’intervista fatta proprio a Buddy Guy nel 2013, al Guitar Center di Chicago, che riassume un po’ quanto detto sino a questo momento. Buddy Guy parla degli esordi, di una chitarra da due dollari che il padre gli regalò e di cosa significhi per lui il blues. E mentre rievoca i momenti passati, i suoi occhi brillano e la voce trema. Ecco, il blues è quella patina umida negli occhi di Buddy Guy, è la fiacchezza del suo sorriso inclinato e il tremito nella sua voce. Sono i testi gospel delle sue “Everybody’s Got to Go” e “Flesh & Bone” e le melodie blues di “Come Back Muddy” e “Born to Play Guitar”.

Il blues e l’Europa

Il blues è una filosofia di vita che pochi europei sono riusciti ad assimilare e a interpretare. Forse perché è espressione di una dignità per la quale la comunità afroamericana ha combattuto e combatte ancora oggi, e che invece molti europei guadagnano con la nascita. Eric Clapton, Gary Moore, Jeff Beck e una manciata di altri nomi sono riusciti nell’impresa di tradurre la lingua dei bluesman afroamericani e farla propria. Nel caso di Moore e Beck la spina dorsale è quella del blues rock, frutto del matrimonio tra la musica dei bianchi (rock ‘n’ roll) e quella dei neri (blues), ma ciò non sminuisce i meriti di entrambi. Da notare che gli artisti citati sono tutti inglesi. Questo particolare vuol dire poco o nulla, se non che gli inglesi hanno il merito di aver riscoperto il blues per riproporlo al mondo. Clapton e compagni spopolarono anche negli Stati Uniti, che intanto avevano accantonato il blues in favore del più “leggero” rock ‘n’ roll. Gli amici del Nuovo Continente videro l’influenza che la musica nata nei campi di cotone aveva sulle band inglesi e si impegnarono a riscoprirne le origini.

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