Quando quest’anno “I Miserabili” è uscito, è arrivato al momento giusto, toccando i punti adatti e smuovendo le domande più attuali. Il lockdown si era concluso da poco mentre il mondo ancora era scosso per la morte di George Floyd. Il film di Ladj Ly è francese solo nei dialoghi e nelle vesti, per il resto racconta una storia mondiale. Soprattutto in un momento storico che si può riassumere nel motto “I can’t breath”.
Il film, anticipatore di un movimento che ha paralizzato il mondo già bloccato in quarantena, è stato presentato al Festival di Cannes nel 2019 mentre in Italia è uscito a circa un anno di distanza, battendo il tempo al suo stesso gioco. Ispirato al corto del regista stesso del 2017, “I Miserabili” racconta una giornata nel paese di Montfermeil, vicino Parigi, dove a regnare è la criminalità. Stéphane, nuovo arrivato, si unisce alla squadra anticrimine del posto, da cui dovrebbe imparare a gestire la criminalità radicata fino a dentro il municipio e impersonata dal sindaco stesso.
La lotta alla criminalità e gli abusi del potere
I temi sono chiari: la lotta alla criminalità, che spesso riesce a scendere a compromessi con le autorità, gli abusi di potere che i poliziotti non hanno paura a mostrare, e gruppi di bambini costretti a crescere tra malavita, pistole e flash ball.
In una storia schizofrenica, soggetta a improvvisi colpi di scena, i protagonisti sono tre poliziotti: Gwada, Chris e Stéphane. Tre figure che dovrebbero ambire allo stesso ruolo ma che nella realtà rappresentano tre diversi modi dell’essere poliziotto. Specialmente in un paese di periferia degradato come Montfermeil.
Chris è il classico poliziotto cattivo, quello che impersona la legge come un prete la fede, che nasconde dietro il distintivo la vergogna per le sue azioni. Quello che perquisisce senza permesso, che governa una città che non è sua. L’opposto di Stéphane. Il nuovo arrivato infatti è scettico nei confronti del collega, titubante, a tratti scontroso. Stéphane è quella giustizia giusta, quel perseguire la causa, privo ancora dell’esperienza che invece contraddistingue Gwada, la terza faccia della medaglia. Di origine africana, cresciuto in quel quartiere, è cosciente del fatto che, in un paese come quello, sia necessario qualcosa in più della giustizia. È necessario guadagnare il rispetto e il timore dei cittadini per non lasciarsi sommergere dalla loro sete di vendetta contro “le guardie”.
“I Miserabili” è un film che agita gli animi, che fa incazzare, che fa urlare, catturando l’attenzione fissa sullo schermo. Lo spettatore vuole sapere cosa succede, dove vuole arrivare il regista, scoprire fino a dove si spingerà il suo occhio voyeuristico. Nonostante la doppiatura possa, a tratti, lasciar desiderare, scenografia e montaggio trascinano lo spettatore dentro la storia, portandolo tra le rovine di una città studiata dal drone, quarto protagonista della pellicola, come in una città svuotata dal virus.
Ed ecco che una piccola telecamera volante diventa soggetto di una diatriba tra clan, e oggetto di contesa e tensione. Ed ecco che la trama piatta improvvisamente si smuove, esce dagli argini e cambia. “I Miserabili” è fatto di momenti inaspettati, di istanti di calma prima della tempesta e di silenzi che non lasciano ben sperare.
La storia si ispira a fatti realmente accaduti e citati come le rivolte del 2005 nelle banlieue francesi, iniziate nel comune di Clichy-sous-Bois ed estese poi in altri quartieri, fino al paese di Montfermeil appunto. Rivolte scatenate, tra le altre motivazioni, anche a causa delle violenze da parte della polizia nei confronti delle minoranze.
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