Probabilmente non tutti sanno chi è Dick Cheney o che ruolo ha avuto nella politica Americana. Nessun problema, a ricostruire la storia di questo personaggio ci pensa Adam McKay. Il regista di Vice – L’uomo nell’ombra, ne da in poco più di due ore una chiara immagine ripercorrendo quella che fu l’amministrazione di George W. Bush e la conquista del potere di un normale cittadino benestante nonché operaio elettrico nel Wyoming sconosciuto ai più.
Uscito in Italia all’inizio di quest’anno, la pellicola conta otto candidature agli Oscar 2019 tra cui la nomination come miglior attore protagonista ad un eccezionale Christian Bale, uomo di grande successo nonché personaggio principale della trilogia di Christopher Nolan che iniziò con Batman Begins (2005). Il regista ha addirittura ammesso: “Se avesse deciso di non farlo, probabilmente non avrei realizzato il film.” Bisogna oggettivamente riconoscere infatti la bravura del candidato alla statuetta, un uomo che apparentemente sembra ispirarci fiducia, comprensione, amore ma che sotto tutto quel trucco e quella maschera che lo rende irriconoscibile – non a caso la candidatura agli Oscar comprende il miglior trucco – è un uomo spietato. Bale ci mostra infatti tutti i lati “oscuri” della vita del suo personaggio, dall’oscurità entro la quale agisce a quella che si porta sotto la pelle.
Il film, prodotto tra gli altri da Brad Pitt e distribuito dalla Eagle Pictures, racconta la vita dell’ex vicepresidente americano del 43° Presidente degli Stati Uniti d’America affrontando temi quali l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre, la guerra in Iraq e la nascita dell’ISIS; mostrandoci una lieve e pacata critica nei confronti di quelle amministrazioni che agirono scontrandosi con il parere del popolo.
Per coloro che avesse visto nel 2016 il film La grande scommessa, un misto tra un documentario e una commedia sulla crisi finanziaria del 2008, risulterà semplice il collegamento tra le due pellicole – senza contare che la mano registica è la stessa.
A fare da sottofondo a entrambe le pellicole abbiamo infatti una voce narrante, la voce di un normale cittadino americano che da nostro pari prova ad aiutarci nella ricostruzione dei fatti che accaddero durante la vita di Cheney, nello svelamento di elementi nascosti alla prima informazione. Una voce sostenuta da schemi, parole, frasi che possano darci una mano a capire ciò di cui stiamo parlando.
E’ infatti un film che va oltre il semplice racconto. Non è considerabile come una commedia, non è considerabile come un film drammatico né disponibile ad uno sguardo leggero; nonostante molte delle sue scene presuppongano il contrario.
McKay infatti, frantuma, un’altra volta, quello che è lo stile di regia classico, il montaggio lineare di un puro racconto – degno di una nomination. Passa da momenti di dramma, di racconto storico, alla vita familiare di qualunque persona. Vice ci spara davanti agli occhi una continuità di video sulla caduta delle Twin Towers, momenti di guerra e di terrore dei primi anni duemila, per poi interromperli con scene di pausa, momenti neri, conversazioni lente e a volte comiche.
E’ dunque il resoconto dell’ascesa al potere di colui che controllò all’oscuro dagli occhi del mondo, lo sfondo politico e sociale non solo di un’intera amministrazione, ma di gran parte della storia statunitense.