Sweet Home: recensione della serie horror coreana di Netflix

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Sweet Home è una serie horror apocalittica tratta da un webcomic coreano. Uscita prima di Squid Game, è un altro buon esempio di qualità proveniente dalla corea. Assieme alla più recente Non Siamo più vivi, Sweet Home è la prova che il bastone del comando nel business dell’intrattenimento non è più un esclusiva del vecchio Zio Sam. Per chi non l’avesse già fatto il consiglio è di recuperarla!

Sweet Home: una storia già raccontata

Sweet Home non è una serie che emerge per la particolare originalità. La struttura del racconto, molto derivativa, attinge in maniera evidente dai classici tropi propri degli horror di sopravvivenza. Un gruppo eterogeneo di persone, un pericolo mortale, la necessità di collaborare per sopravvivere. Unisci a questi tre elementi i conflitti umani derivanti dallo stare segregati forzatamente in uno spazio chiuso e Voilà!! Abbiamo l’ossatura tipica di un qualsiasi horror a tema zombie. Ma la poca originalità di una storia può considerarsi un fattore decisivo nella valutazione di un prodotto? Nel mondo postmoderno di sicuro no. Nessuno inventa più nulla (o quasi)! La qualità va cercata nella realizzazione, e da questo punto di vista questa serie presenta elementi che permettono di considerarla una serie molto valida.

Perchè guardare Sweet Home?

Se l’originalità della storia non è il punto forte di questo drama horror coreano, Sweet Home presenta però altre qualità in cui eccelle e che ne giustificano la visione. Il primo plauso va indirizzato alla creatività propria degli aspetti spiccatamente horror. Se la forma del racconto ricalca la classica struttura da survival horror, i mostri della serie presentano un originalità estetica ben più sviluppata rispetto ai più classici e abusati zombie. Alla fantasia macabra si aggiungono una buona dosa di tamarraggine amalgamata ad una variegata colonna sonora, capace di quadruplicare il pathos delle scene più intense.

I mostri

In Sweet Home i sopravvissuti non fuggono dalle solite orde di mangiacarne. Per una causa non ben precisata le persone si trasformano in mostruosità deformi che possiedono una certa fantasia estetica tipica del genere body horror. Ogni mostro è diverso dall’altro, con caratteristiche particolari. Lingue dentate allungabili, masse muscolari sovrumane, arti spinosi, sembianze ragnesche, sono alcuni esempi dei tratti variegati che presentano i mostri della serie . Questo vivace assortimento di caratteristiche rendono più interessanti le creature e permettono alla serie di emanciparsi dal solito e troppo usato zombie. Questi tratti fantasiosi oltre a rendere più frizzante ed accattivante la serie, permettono anche di farla emergere dalla massa. I mostri sono identificabili ed evitano a Sweet Home di diventare l’ennesima copia stampino di un film di Romero. Se si cerca un punto di riferimento per la caratterizzazione visiva dei mostri è inevitabile il rimando alla serie videoludica di Resident Evil, che è sempre stata molto fantasiosa sul piano estetico orrorifico.

Un pò di tamarraggine

Sweet home si discosta dal tono più realistico che si ritrova, ad esempio, nella recente coetanea serie Non Siamo più Vivi. In quella serie la maggior parte delle situazioni sono verosimili. In questo drama horror invece alcune situazioni sfociano in un iperbolica tamaraggine. Certi momenti sono visibilmente sopra le righe, come d’altronde lo sono i mostri che vessano i protagonisti. La serie alterna ad eventi più credibili, circostanze decisamente esagerate. Questo aspetto però non scade mai nel troppo, come accade nelle trasposizioni cinematografiche di Resident Evil. Le scene fuori dal comune sono forse gli istanti più divertenti e gustosi della serie. Senza andare troppo nello specifico basti avvisare che in Sweet Home è presente una scena che vede lo scontro tra un camion e un mostro che ricorda un Hulk zombificato; il tutto accompagnato dalla incalzante canzone Warrior degli Imagine Dragons (che si sono fatti recentemente notare per la sigla della bellissima serie Arcane).

Umani o Mostri?

Sweet home ha uno sviluppo che può essere diviso in due parti. Nella prima parte della serie sono i Mostri ad essere i protagonisti. Per un fan dell’horror è forse la parte migliore. Percepisci un senso di paura costante. La paura per qualcosa che non si riesce a spiegare. Tuttavia l’aspetto migliore è la curiosità di scoprire quali altre strane creature salteranno fuori . Una volta che si è capito che non si tratta dei soliti zombie, non si aspetta altro che veder comparire qualche altra bestiaccia deforme. Fino a circa metà serie è quello che accade. Dal settimo episodio però si ha un cambio di rotta e piano piano i mostri escono di scena, perdendo i riflettori. Nella seconda parte è l’uomo che diventa centrale. I rapporti tra i sopravvissuti vengono sviluppati e sul finale sorge la domanda se i veri mostri siano le creature mostruose o gli esseri umani. Una interessante riflessione che però conduce ad una svolta umanista che potrà far storcere il naso ai fan horror più accaniti. Forse è vero. la serie perde un pò sul finale. Ma niente di troppo grave. Resta un buon prodotto,e voi fan dell’horror non fatevelo scappare.

Conclusione

Sweet Home è una serie da guardare! Non sarà il prodotto più originale al mondo, ma è un buon prodotto. Nonostante il ritmo non sia sempre incalzante, e sul finale è ravvisabile un cambio di rotta che potrebbe non piacere ai fan dell’horror, nel complesso è una serie che funziona. Presenta delle scene un pò tamarre ma memorabili, un incalzante colonna sonora che rende tutto più epico, e una fantasia creativa che rende i mostri decisamente originali e caratteristici. Una seconda serie non è ancora stata annunciata, ma visto il finale aperto e i quesiti relativi alla natura delle mutazioni, si auspica un prosieguo. Quindi in attesa di un rinnovo, amanti dell’orrore di tutto il mondo unitevi e recuperate Sweet Home! (se non lo avete già fatto).

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