La storia di Primo Levi ad Auschwitz al Parenti di Milano
Se questo è un uomo, di Primo Levi. Il classico di Levi torna a teatro, in occasione del centenario della nascita del partigiano, ebreo, chimico e soprattutto scrittore torinese. Levi è stato diretto testimone del campo di concentramento di Monowitz, lager satellite del complesso di Auschwitz e sede dell’impianto Buna-Werke proprietà della I.G. Farben. Parliamo della rivisitazione drammaturgica di uno dei libri più belli, intensi, commoventi e sentiti della letteratura. Lo spettacolo è interpretato e ideato da un intenso e infaticabile Valter Malosti, in scena al Franco Parenti di Milano fino al 20 ottobre. La “condensazione scenica” è a cura di Domenico Scarpa e dello stesso Malosti. Sul palco, oltre a Malosti, recitano anche Antonio Bertusi e Camilla Sandri.
“è già domani”, la nuova stagione del teatro Parenti di Milano
Se questo è un uomo: un capitolo di Storia di incomprensibile disumanità
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo,che lavora nel fango,
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane ,
che muore per un sì o per un no…
Primo Levi: Se questo è un uomo
Lo spettacolo
Un uomo vestito in modo elegante, signorile, in completo, con una valigia, è appena tornato da un lungo viaggio. La scena è buia, dark, la luce illumina l’uomo davanti al pubblico. Ecco arrivare la sua voce calma, pacata, che incalza poco alla volta, ma senza drammaticità a raccontarci la sua storia. È Primo Levi.
La parola diventa evocazione di un orrore vissuto dall’uomo che ha commesso la grave colpa di essere partigiano e ebreo in un momento storico in cui gli ebrei vengono braccati, caricati su treni come bestie, derubati dei loro averi, svestiti e rinchiusi nei lager nazisti. Levi si domanda appunto: Se questo è un uomo; ma il riferimento forse non è solo alla sua condizione, ma anche a chi l’ha creata. Afferma Malosti a proposito della “condensazione scenica”: «Volevo creare un’opera che fosse scabra e potente, come se quelle parole apparissero scolpite nella pietra. Spesso ho pensato al teatro antico mentre leggevo e rileggevo il testo. Da qui l’idea dei cori tratti dall’opera poetica di Levi detti o cantati».
Dalla normalità al lager
Se questo è un uomo. L’attore evoca la partenza, la deportazione, le relazioni con i compagni di campo, l’importanza vitale di un pezzo di pane trovato per caso a terra e prezioso come un diamante. Diventa Levi. La dignità è resa macerie, in un incessante e continuo racconto fatto di analessi e flash back, di evocazioni, di riflessioni e considerazioni.
Si tratta di un monologo difficile che dimostra l’abilità dell’attore, che recita senza sosta, per quasi due ore. Lo spettacolo sintetizza, ma non sufficientemente (ovviamente) il racconto dell’esperienza più devastante che possa vivere un essere umano: la perdita dell’ identità, il divenire un semplice ingranaggio di una macchina infernale che non è possibile comprendere. Se si è utili si diventa manodopera, se non lo si è si passa prima alla camera a gas e poi al forno crematorio e le ceneri volano via in una fredda giornata polacca lontano dalle radici, dagli affetti, lontano nel cielo. Si è polvere.
Ogni giorno è regalato, i momenti sono senza fine, in uno spazio temporale incerto. Finirà prima o poi? Da lontano però si sentono i carri armati russi che avanzano. L’Armata Rossa sta arrivando, ma non c’è gioia o emozione in questa constatazione. La stanchezza ha preso il sopravvento, come la consapevolezza che l’umanità può raggiungere una crudeltà incomprensibile. Non tutto però è inferno dantesco. C’è ancora la solidarietà di chi è, come Levi, prigioniero e privato della dignità, disposto a dividere un pezzo di pane, per contenere la fame che attanaglia le viscere. L’unico gesto che scalda un po’ il cuore, ormai gelido.
La morte dell’anima
Improvvisa giunge la liberazione con l’arrivo dei russi, intravisti a cavallo, che hanno lo sguardo impietrito e basito alla vista del lager, dove campeggia la scritta Arbeit Macht Frei (il lavoro rende liberi: una beffa). Levi ritorna a casa e raggiunge Torino a guerra finalmente conclusa, dopo mesi dal 27 gennaio del 1945, giorno della memoria e della tangibile certezza dell’orrore, che però già si sapeva.
Lo scrittore riprende la sua vita, ma qualcosa in lui si è definitivamente spezzato, non può essere recuperato, è irrimediabilmente distrutto. Levi non avrà più, con il trascorrere degli anni, la forza di vivere, di superare quella fase lunga anni, in cui è sopravvissuto, ma che ha lacerato l’anima, la cui eterna memoria è anche un codice numerico tatuato sul braccio.
Musiche, scenografia e organizzazione
Nello spettacolo, le musiche intercalano la narrazione. Protagonisti sono anche dei madrigali di Carlo Boccadoro che riportano all’oscurità del medioevo. Guizzi di luce stellare arricchiscono poi la scena apparendo ogni tanto a ricordare le stelle o il caos dell’anima, come alcune scritte che scorrono in tedesco o frasi di Levi che aggiungono pathos alla narrazione di Malosti.
Se questo è un uomo è parte del progetto Me, mi conoscete. Primo Levi a teatro, ideato da Valter Malosti per TPE – Teatro Piemonte Europa di cui è direttore. Lo spettacolo si avvale della collaborazione del Centro Internazionale di Studi Primo Levi e Comitato Nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Primo Levi e il Polo del ‘900.
Per informazioni e prenotazioni: https://www.teatrofrancoparenti.it/spettacolo/se-questo-e-un-uomo/