Scuola di Eugenio Finardi, ovvero un mondo che per fortuna non c’è più

Il brano "Scuola" contenuto nell'album "Diesel" del 1977 è uno dei più belli della produzione italiana ma non più espressione autentica dell'istituzione scolastica.

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Il 1977 non è oggi

Il voler universalizzare i valori è un giochino molto rischioso. Contestualizzare valori, miti, pensieri e qualsivoglia produzione intellettuale umana è di vitale importanza se non si vuole incappare in pesanti strafalcioni interpretativi e di conseguenza storici. Dicendo questo non si vuole certo negare che alcuni valori siano incontrovertibili, dopotutto uccidere o rubare rimangono due azioni deprecabili tanto oggigiorno quanto lo erano secoli fa. Poi che l’uomo decida di seguire effettivamente i dogmi che si impone rimane sempre qualcosa tutta da dimostrare. Il “predicare bene ma razzolare male” resta pur sempre lo sport più diffuso nell’umanità.

Il tentativo di universalizzazione rischia però di smontare messaggi di livello culturale piuttosto notevole. È il caso della canzone che ci proponiamo di analizzare in questa nuova uscita de “La forza delle parole in musica”. Il brano in questione è Scuola di Eugenio Finardi, canzone che non nascondo essere tra le mie preferite in assoluto. L’album Diesel, classe 1977, dal quale la canzone in esame è tratta, è uno dei più belli della produzione musicale italiana.

Si tratta di un concentrato di rock, jazz, alternative, folk e pop confezionato attorno a testi diretti, profondamente impegnati socialmente e mai banali. Il contenuto musicale è di pregevole fattura, dopotutto alla Cramps (storica casa discografica milanese) gravitavano i migliori musicisti della scena meneghina dell’epoca come Alberto Camerini, Ares Tavolazzi e Walter Calloni solo per citarne alcuni. E che dire poi delle liriche? Le tematiche forti di fine anni settanta ci sono tutte: il coinvolgimento politico di Tutto subito, Non diventare grande mai o Giai Phong; l’introspezione sentimentale in Zucchero e Non è nel cuore fino ad arrivare alla drammatica piaga dell’eroina con Scimmia.

Copertina del disco “Diesel” del 1977

Un bel disco è figlio del suo tempo

Insomma, stiamo parlando di un disco affine a un’autentica opera d’arte. Allora cosa c’è di sbagliato in Scuola? Di per sé assolutamente nulla, se non fosse che spesso si tende a rendere ancora attuale il suo messaggio, e da docente questo mi sento di escluderlo. Per argomentare al meglio le posizioni che questo articolo vuole mettere in evidenza risulta di grande aiuto leggere attentamente il testo della canzone. Non si tratta di un componimento ermetico, Finardi si contraddistingue per un lirismo volutamente poco poetico e più “pane al pane, vino al vino” ma non per questo di minor valore. Questa caratteristica lo rende però molto meno oscuro di altri cantautori che hanno celato spesso e volentieri il proprio messaggio sotto una spessa coltre di enigmaticità.

«Ci dicevano, insistevano, di studiare

Che da grandi ci sarebbe stato utile sapere

Le cose che a scuola andavamo a imparare

Che un giorno avremmo dovuto lavorare.

E c’è chi è stato promosso, c’è chi è stato bocciato

Chi non ha retto la commedia ed è uscito dal gioco

Ma quelli che han studiato e si son laureati

Dopo tanti anni adesso

Sono disoccupati.

Infatti mi ricordo, mi sembrava un po’ strano

Passare quelle ore a studiare il latino

Perché allena la mente a metter tutto in prospettiva

Ma io adesso non so calcolare l’Iva.

Io volevo sapere la vera storia della gente

Come si fa a vivere e cosa serve veramente,

Perché l’unica cosa che la scuola dovrebbe fare

E’ insegnare a imparare.

Io per mia fortuna me ne son sempre fregato

Non facevo i compiti, non ho quasi mai studiato

Ma ascoltavo dischi, mi tenevo informato

Cercavo di capire e adesso me la so cavare.

Perciò va’ pure a scuola per non far scoppiar casino,

Studia matematica ma comprati un violino

Impara a lavorare il legno

Ad aggiustar ciò che si rompe

Che non si sa mai nella vita

Un talento serve sempre.»

Eugenio Finardi in concerto nel periodo di uscita di “Diesel”

Il contesto storico di Scuola

Si parlava del dover mettere in evidenza il giusto contesto. Ebbene, la canzone risale al 1977, periodo storico in cui da pochi anni sono entrati in vigore i cosiddetti Decreti Delegati della scuola italiana. Se ci si immedesima in uno studente italiano dell’epoca, per di più incanalato in un contesto geografico frizzante e culturalmente fertile come era Milano a quei tempi, la canzone c’entra proprio nel segno. Si trattava ancora di una scuola profondamente selettiva, incentrata più sullo svolgimento dei programmi che nella salvaguardia emotiva del singolo studente. Il concetto di inclusione non era ancora stato minimamente contemplato, per non parlare del classismo che imperava ancora tra gli studenti. Risulta dunque comprensibile come un giovane o una giovane dell’epoca faticasse a riconoscersi in questa istituzione.

Il classismo palpabile dell’Italia dell’epoca

Il riservare un occhio di riguardo al figlio del Dottore o dell’Avvocato era ancora pratica comune, così come lo scoraggiamento patito quotidianamente dai ragazzi e dalle ragazze provenienti da famiglie meno abbienti. All’epoca poi la Sinistra faceva ancora il suo dovere (oggi assistiamo a una pallida imitazione di ciò che dovrebbe essere) cavalcando la voglia di rivalsa di questi utenti penalizzati dalla scuola, luogo dove non venivano affatto avvalorate le singole capacità e/o aspirazioni dei singoli studenti ma dove si operava spesso e volentieri una seria selezione molto sociale e poco didattica. Aggiungiamo poi che il ricordo del ’68 era ancora molto forte e capiamo che tutto questo torto a dire “io per fortuna me ne son sempre fregato” il nostro Finardi non lo aveva. 

Una recente foto di Eugenio Finardi

Scuola è veramente oggi ancora attuale?

Ma è ancora così oggi? Possiamo veramente prendere il testo di Scuola come bandiera verso il sistema? I giovani di oggi sono paragonabili a quelli degli anni ’70? Oppure qualcosa è cambiato? Personalmente propenderei per rispondere affermativamente all’ultima delle domande poste. La scuola oggi, almeno negli intenti, è profondamente mutata. Lo scopo della didattica non è più quello di inculcare generalmente un unico programma a tutti i componenti di quella meravigliosa platea chiamata “classe”. Quello che conta non è più il generale bensì il particolare. La parola d’ordine è diventata “inclusione” e noi docenti la rivendichiamo con estremo orgoglio. Che poi l’inclusione abbia messo un po’ di zizzania sulla questione dell’effettivo merito scolastico non lo si può negare, ma questa è altra tematica che non ci preme di affrontare in questa sede. La scuola italiana ha enormi problemi, il Covid19 li ha messi ulteriormente in evidenza, ma questi problemi non c’entrano assolutamente con i suoi intenti. Se mai uno dei crucci più grandi che incontra oggi la nostra scuola è il progressivo distacco della società da essa, e questo non sempre per colpa della scuola medesima.

C’è qualcosa che non va nella scuola oppure nella società?

Basta prendere i dati statistici recenti per rimanere abbastanza shoccati dalle basse percentuali di scolarizzazione nel nostro paese. Rimaniamo ancora più colpiti se paragoniamo questi dati con i medesimi provenienti da altri paesi dell’UE. Oggi abbiamo il problema di ristabilire il contatto della scuola con il territorio, di combattere con energia la pesante dispersione scolastica non più appannaggio solo delle classi meno abbienti o dei figli di immigrati. In sintesi, dobbiamo tornare a far capire ai nostri ragazzi che lo studio è l’unico e vero mezzo di avanzamento sociale in questo mondo, anche se il mercato del lavoro sembra mostrare il contrario. Ecco perché voler inserire un brano come Scuola nel 2020 è estremamente pericoloso. La scuola di cui parla Finardi semplicemente non esiste più, e mi viene da dire per fortuna.

Nel 1977 criticare gli sterili programmi ministeriali votati (almeno secondo il pensiero del cantautore) allo sterile indottrinamento poteva avere un senso. Così come aveva senz’altro senso invitare i giovani a scoprire e avvalorare i propri talenti secondo vie alternative come l’ascolto dei dischi, lo studio di uno strumento musicale e la quotidiana informazione personale. Oggi le vie alternative sono predominanti, e non sono minimamente paragonabili ai centri sociali che comunque ravvivavano l’aria culturale di quella Italia. L’ansia dell’arricchimento facile, del voler apparire a discapito dell’essere sono i pilastri principali su cui poggia il pensiero dei giovani, ragazzi e ragazze affatto privi di capacità ma terribilmente demotivati dal contesto sociale in cui si trovano a dover crescere.

Che se ne renda conto o meno la politica è sempre responsabile

È innegabile che questa spinta al benessere estremo, scevro però da qualsiasi sforzo per ottenerlo, sia figlia del ventennio berlusconiano ma anche la recente dialettica da bar di Matteo Salvini ha ignobilmente avvalorato la tesi che i “sapienti” (da lui spesso definiti “professoroni radical chic”, sempre ammesso che tale definizione abbia una qualche senso) siano lontani dalla vita reale. Per non parlare poi del Movimento 5 Stelle, vero elogio ontologico all’effetto Dunning – Kruger. A noi docenti piacerebbe essere gli unici influencer dei nostri studenti, in parte lo siamo anche ma non si può far finta che il tessuto politico-sociale dell’Italia odierna non abbia la meglio. 

Anche le frasi sullo studio del latino e sul calcolo dell’IVA, se estrapolate dal proprio contesto storico e catapultate a oggi, risultano infelici. Davvero il latino è così inutile? Ci terrei solo a ricordare che anche le lingue germaniche, e non solo le lingue romanze alle quali la nostra appartiene, hanno al loro interno diverso lessico di derivazione latina, per non parlare delle strutture grammaticali che in lingue come ad esempio il tedesco sono rimaste molto più simili al latino di quanto non si sia invece verificato nell’italiano o nel francese. Inoltre il latino ha generato una propria letteratura, a sua volta di discendenza greca e progenitrice delle future letterature romanze.

Eugenio Finardi

L’inutile è la cosa più utile

Ci si rende conto dell’importanza dello studio umanistico nella formazione degli studenti? Evidentemente no, visto che si ritiene ancora che l’insegnamento del calcolo dell’IVA sia di maggior interesse e praticità rispetto a Catullo, Platone o Leopardi. Mi permetterei di consigliare a Finardi e a tutti coloro che ritengono a torto che il sapere tecnico-pratico debba essere prevalente il seguente libro: Non per profitto – perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica della Professoressa Martha C. Nussbaum, docente di Law and Ethics presso la Chicago University. 

Mi trovo perfettamente d’accordo con una frase della canzone di Finardi: “l’unica cosa che la scuola dovrebbe fare è insegnare a imparare”. Non è assolutamente l’unica cosa ma senza dubbio una delle più importanti. Finardi però si dimentica che tale insegnamento si persegue proprio attraverso tutta quella serie di materie che lui sminuisce nel testo, ovvero latino, matematica e la cultura umanistica. Perché le materie scolastiche non sono solo un ricettacolo di nozioni ma sono la palestra fondamentale per sviluppare l’amore per l’apprendimento (“studio” vuol dire proprio “amore”) e una mente trasversale che aiuti ad apprendere qualsiasi cosa per l’arco dell’intera vita, anche il calcolo dell’IVA tanto caro al cantautore milanese. Allo stesso tempo la scuola ha la perenne responsabilità di aggiornarsi: il non comprendere, a volte persino condividendolo, l’orizzonte culturale e metodologico dei nostri studenti additandolo come negativo a priori è uno sbaglio madornale che non possiamo più permetterci.

I tempi che viviamo sono tra i più oscuri che personalmente ricordi, ma non riemergeremo dal baratro economico se non ci rendiamo conto dei nostri pesanti limiti culturali. La scuola è il luogo dove la vera rivoluzione può avverarsi, rivoluzione anche più potente e incisiva di quella francese del 1789 o del fin troppo avvalorato ’68. Invece che affossarla e continuare ad accusarla di ogni nefandezza possibile, impariamo a sostenerla la nostra scuola e a darle il valore che merita. La cultura rimane il solo modo per avere un domani i mezzi necessari a sopravvivere in questa selva sempre più oscura, e sarebbe ora che anche la politica se ne rendesse contro e facesse qualcosa per migliorare la situazione. Ma anche questa è un’altra storia, per ora sarei personalmente già molto soddisfatto se avessi mosso qualche coscienza sperando di non aver offeso Finardi che rimane uno dei miei artisti preferiti e a cui tributo tutta la mia stima.

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