La chanteuse inglese non perde colpi vocalmente, ma rilascia un album che manca della sua splendida impronta. Paloma Faith torna con il suo quinto album Infinite Things, un po’ meno “faith” del solito.
Cosa perde Paloma Faith in Infinite Things?
Che cosa si fa nella scena della musica alternativa in uno dei periodi più caotici? Chiedetelo a Paloma Faith, la dama inglese dalla voce possente, o scopritelo direttamente ascoltando il suo ultimo album Infinite Things. Già solo guardandolo si coglie che c’è qualcosa di fuori posto, che la direzione artistica della Faith si sta allontanando dagli album che l’hanno preceduta. Una copertina grigia, pulita, niente capelli vermigli e sfondi blu profondi. Si sente puzza di deviazione, e una deviazione mainstream. Una deviazione che la conduce lontana da violini e corsetti e più vicina alle luci stroboscopiche.
Non che alla signora Faith faccia male un po’ di successo, ma non è mai un sacrificio che si fa alla leggera. Qualche anno fa Marina & The Diamonds aveva tentato una deviazione simile col suo quarto album, Love + Fear. Un lavoro discreto, perché c’è dietro Marina Diamandis, ma pallido in tutti i sensi paragonato a The Family Jewels e i due succedanei. Paloma Faith è un’altra donna in gamba, ma basterà la sua ottima reputazione a proteggere Infinite Things da un calo qualitativo?
Una Faith senza scintille rosse
Il rischio c’era, e la collisione non c’è stata – nulla più che una strisciata, molto da vicino, che ricopre di sbavature un album comunque ottimo. L’impronta di Paloma Faith permane forte e profonda su Infinite Things, e in linea di massima gli elementi che la rendono così amata ci sono ancora. A cominciare dall’iconica voce stridula, con la quale la Faith sa giocare senza perdere mai un battito. Le performance forti e teatrali, dalla forte impronta vaudeville, spiccano in tracce come il singolo Gold e fanno di essere degli instant favourite. Come vocalist, la signora resta così sottovalutata da far male. Ma farà sicuramente più male sentire quelle tinte nu-disco sparse per tutto l’album, quei veli di elettronica, quel sound più spiccatamente mainstream che di Paloma Faith ha poco, ma che in Infinite Things si sente più o meno dappertutto.
Per quello che vuole essere è tutto fuorché brutto. Funziona alla perfezione, e scorre dall’inizio alla fine trainato dalla presenza potente della Faith. Eppure le manca qualcosa, quella scintilla, l’elemento perfetto di una formula collaudata e amata. Molte di queste tracce cadrebbero nella più completa dimenticanza se a cantarle non fosse l’ugola d’oro e diamanti di Paloma Faith – prima tra tutte proprio Infinite Things, la nebulosa title track.
Ci si ferma a immaginarle come sarebbero se provenissero da uno dei vecchi album. Con meno luci stroboscopiche e più violini, appunto. Più lente, più stravaganti, più kooky. Qui è come vedere una bellissima signora del vaudeville esibirsi a cappella senza trucco e con i capelli legati. La voce c’è ancora, il carisma non manca: ma non è la stessa cosa. Eppure vale la pena sentirla almeno una volta, perché è così brava. Paloma Faith piace ancora, anche se Infinite Things un po’ meno.
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