La linea che delinea il bene e il male, non può definirsi retta. Piuttosto, essa è segnata da sussulti. Quest’ultimi, più che creare confusione, rendono più reali due concetti molto frequentemente stereotipati, intrappolati in confini pericolosi da varcare. Lo facciamo tutti, più o meno inconsapevolmente. Nel momento in cui conosciamo una persona nuova, cerchiamo di fare una netta distinzione tra le sue caratteristiche. Alcune di queste, le poniamo nella casella del bene, altre in quella del male. Ovviamente, spesso agendo in base ai nostri personalissimi parametri. Facciamo così non solamente con le persone con le quali facciamo conoscenza nel mondo reale, ma anche attraverso lo schermo televisivo. Solo che, esistono personaggi che mettono duramente alla prova questa nostra abitudine. Un esempio, è la psicologia di Walter White, protagonista assoluto della serie televisiva Breaking Bad, disponibile su Netflix.
Chi è Walter White? La storia in breve
Walter White, come riportato nel paragrafo precedente, è il protagonista della serie pluripremiata Breaking Bad, creata da Vince Gilligan. Il personaggio principale, è interpretato dall’attore Bryan Lee Cranston. La psicologia di Walter White, subisce un netto cambiamento in corso d’opera. Infatti, all’inizio della serie, il protagonista, originario di Albuquerque nello stato del New Mexico, è un semplice professore di chimica di un liceo americano. Padre di famiglia, con un figlio disabile a carico e una bambina in arrivo, egli lavora in un autolavaggio per arrotondare le entrate mensili.
Di punto in bianco, questo apparente equilibrio familiare viene completamente stravolto da una notizia shock. L’uomo, è stato colpito da un cancro ai polmoni. Ora, teniamo a mente che negli Stati Uniti D’America, non esiste un sistema sanitario nazionale, dunque le spese mediche sono a carico dei cittadini, che spesso si ritrovano a sborsare decine di migliaia di dollari per esse. In particolare, quando si tratta di sottoporsi a terapie pesanti, i prezzi vanno decisamente alle stelle.
Dunque, per far fronte alle spese mediche che lo aspettano, Walter White capisce che i suoi due lavori non sono più sufficienti. L’occasione di un nuovo mestiere, gli si presenta davanti agli occhi a pochi giorni dalla diagnosi. Egli, incontra un suo ex studente, Jesse Pinkman, interpretato da Aaron Paul. Caso bizzarro: non è il ragazzo a rivolgersi al suo vecchio professore, bensì l’esatto contrario. E la proposta, è alquanto assurda: cominciare insieme una vera e propria attività di produzione e spaccio di metanfetamina. “You know the business, I know the chemistry” , “Tu conosci gli affari, io conosco la chimica”.
Dunque, da questo momento in avanti, la psicologia di Walter White comincia a subire modifiche a dir poco inaspettate.
Inizia l’avventura
Il primo incontro tra Walter e Jesse dà il la all’inizio della storia. Da qui, i due cominciano a lavorare a stretto contatto ogni giorni. All’inizio della serie, sembra che il professore abbia totalmente in mano le redini della situazione, e che voglia sinceramente educare il suo socio. Tuttavia, i ruoli tenderanno poi a invertirsi, e sarà il protagonista a svestirsi dei suoi panni borghesi per poi trasformarsi in un vero e proprio malfattore.
Naturalmente, la psicologia di Walter White non può che essere in linea con questo drastico cambiamento. Di fatti, se all’inizio dello show ci troviamo di fronte a un uomo fragile, forte nel suo darsi da fare, cittadino onesto e sicuramente preoccupato per la sua situazione familiare ed economica, adesso le cose cominciano a prendere una piega diversa.
Netflix: stop agli account condivisi
Tuttavia, noi spettatori, anche durante gli sviluppi della serie, siamo ancora legati al personaggio di partenza. Quindi, il male delle sue azioni lo vediamo solo in parte. Tendiamo a giustificare il suo comportamento. Anche perché, nel momento in cui la moglie Skyler verrà a conoscenza della sua doppia vita, egli le spiegherà che il motore di tutto ciò è l’amore per la sua famiglia. Innanzitutto, egli deve pagarsi le cure mediche, e, in seconda battuta, in caso non ce la facesse, vuole lasciare i suoi cari in una situazione finanziaria florida.
Dal nostro punto di vista
Dunque, agli occhi dello spettatore, il male esiste, ma è giustificabile. La psicologia di Walter White, gioca proprio su questo aspetto della psiche umana. Essa, ci fa capire quanto, talvolta, l’affetto può servirci da giustificazione anche per le azioni più disumane. In fondo, se ci pensiamo bene, può succedere a tutti noi. Nel momento in cui un estraneo compie un gesto sbagliato, riconosciamo immediatamente il male; ma quando a compiere quella stessa azione è qualcuno a noi caro, o magari siamo proprio noi, ecco che la mente si riempe di ragioni e motivazioni prima del tutto inesistenti.
Un finale machiavelliano?
La psicologia di Walter White, si sviluppa insieme al nostro pensiero nel corso della serie. Arrivati verso la fine del telefilm, ci troviamo davanti a un protagonista nettamente cambiato rispetto a quello di partenza. Di certo, alcuni suoi valori non si sono modificati. Egli, continua a voler bene alla famiglia, specialmente ai suoi figli. Tuttavia, si scopre che la vera ragione delle sue azioni, è un’altra. Non si tratta della famiglia.
“I did it for me. I liked it. I was good at it. And, I was really… I was alive“
“L’ho fatto per me. Mi piaceva. Ero bravo. Ero davvero… ero vivo”
Giunti alla quinta ed ultima stagione della serie, il protagonista rivela una realtà che ha cercato di mascherare fin dall’inizio. Tutto quello che ha fatto, lo ha fatto per lui. Le azioni più spregevole che ha compiuto, non avevano veramente come fine quello di sostenere la sua famiglia. Certo, magari in parte è stato realmente così. Tuttavia, il motore centrale di tutta la situazione, è sempre stato solo il protagonista stesso.
Ed ecco che, ancora una volta, la psicologia di Walter White colpisce nel segno. Ci troviamo di fronte all’ennesimo colpo di scena, nonché insegnamento, di questa straordinaria serie televisiva. Quante volte, ognuno di noi, agisce proprio come Walter White? Se ci pensiamo bene, la risposta non è così scontata. Naturalmente, non si tratta necessariamente di azioni così gravi come quelle alle quali assistiamo nel corso della serie.
Un auto referenza
Ciononostante, sovente anche nella vita reale si tende ad agire in questa maniera. Il punto, è che raramente l’essere umano si accontenta di se stesso. Ognuno di noi, ha dentro di se un animo egoista. Non in senso negativo, ma in senso oggettivo. In quanto persone, tutti aspiriamo alla felicità. E tutti noi abbiamo un’idea diversa di felicità. Un ideale che solo attraverso i nostri mezzi possiamo realizzare, e che rischia d’incepparsi nel momento in cui incrociamo il cammino altrui, che sta procedendo verso una felicità diversa dalla nostra.
Tuttavia, viviamo nella società nel quale l’altruismo, anche quando solo apparente, è comunque sempre visto meglio dell’egoismo. Ecco perché, per procedere nel nostro cammino lungo la felicità, abbiamo bisogno di un appiglio. O meglio, sentiamo di averne bisogno. Questo perché, non è mai un bene, agli occhi degli altri, confessare che si sta agendo esclusivamente per il proprio bene. Secondo bon ton comune, è comunque meglio giustificare il nostro agire, se non la nostra stessa esistenza, menzionando qualcun’altro.
Cambiare si può
“Lo faccio per la famiglia”, “vivo per i miei figli”, “senza di lei/lui non vivrei”. Non si tratta di scuse. Sono semplicemente espressioni totalmente umane, che spesso pensiamo e pronunciamo con totale sincerità. Solo che, se analizzate approfonditamente, contengono comunque un fine umanamente egoistico. Nel momento in cui ci sentiamo talmente tanto attaccati affettivamente a una o più persone, tanto da sostenere che la nostra stessa vita non possa continuare senza la loro presenza, ci stiamo in realtà preoccupando di noi stessi.
Ci preoccupiamo di come possa proseguire il nostro cammino verso il raggiungimento della felicità. Solo che, delegare la nostra felicità, e dunque la nostra vita, a qualcun’altro, può rivelarsi parecchio pericoloso. Si rischia di non vivere a pieno la vita, di comunicare amore agli altri senza comunicarlo mai a noi stessi. Ecco perché, la psicologia di Walter White, è estremamente onesta. Ed ecco perché, più frequentemente dovremmo anche noi il coraggio di confessare che “l’abbiamo fatto per noi stessi”. Poiché felicità dev’essere sinonimo di libertà, mai di oppressione.