Kesha: “High Road” – Recensione album

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Non c’è dubbio che Kesha abbia dominato la sfera pop a partire dall’anno 2010. Stabilendosi attraverso la sua musica ai piani alti delle classifiche di vendita e dell’airplay radiofonico, creando un suono che solo lei poteva tirar fuori.

Il suo quarto album in studio, “High Road“, trova un perfetto equilibrio tra le sue radici pop e le interpretazioni gospel ispirate al paese che hanno formato il suo precedente disco, “Rainbow”. A pochi secondi dall’apertura del disco, Kesha ricorda la migliore serata della sua vita su un riff di pianoforte così strenuamente morbido che è come essere caduto in una macchina del tempo nel 2012 quando “Die Young” era al massimo del suo successo radiofonico. Questo non vuol dire che il suono si sente rigurgitato, in realtà, è l’esatto contrario come nel caso di  ‘Tonight’ dove si sente Kesha nella sua forma più pura.

La traccia si basa sui versi stravaganti di Kesha a metà rap prima di esplodere in un canto celebrativo che ricorda il ritorno a casa da una grande serata fuori. Il primo singolo dell’album, “Raising Hell”, potrebbe apparire un pò datato in alcuni punti con la sua caduta straziante, ma la sua energia e il suo messaggio sono pieni di gioia. La title track “High Road” vede Kesha trasudare con un nuovo atteggiamento spensierato, prima di scoppiare in un ironico rap.

Tracce come “Shadow” e “Honey” contrastano con i tagli di apertura del disco e dimostrano la capacità di Kesha di presentare in modo coerente tutte le sfaccettature del suo talento. La prima mette in primo piano la sua voce mentre costruisce la sua terra senza sensi di colpa, mentre “Honey” funge da crossover tra l’accettabile accettazione di “Rainbow” e l’arguzia che ha formato i suoi precedenti dischi. È un udibile colpo d’occhio per chiunque cerchi di duplicarla, costruita su un semplice riff di chitarra supportato da voci di coro.

Il riferimento di Game Boy in “Birthday Suit”, sembra una ricetta per un disastro completo ma è stranamente la cosa più brillante che abbia mai fatto. L’eccentrico versetto ispirato a Ke $ ha ispirato le parole (“Ti piace il modo in cui guido, vroom vroom vroom / Scuoto il mio bottino come boom, boom boom”) contro il pre-coro martellante raffigura un tiro alla fune tra di lei l’ego archetipico delle feste e il suo nuovo suono maturo.

Questo incontro segue lo straordinario “Kinky”, un numero di danza scintillante che ti lascerà accecato dalla sua melodia euforica e dalla linea di basso. Nonostante alcuni filler che non riescono a mettere insieme tanto pugno quanto i loro coetanei (“Cowboy Blues” e “Father Daughter Dance”), nel loro insieme contribuiscono all’obiettivo del disco: una felice via di mezzo che manifesta Kesha in tutti i suoi le forme.

Questo obiettivo è echeggiato dappertutto, in particolare sulla teatrale “My Own Dance” a cui Kesha boicotta i suoi demoni interiori e dà alla luce la sua nuova visione della vita: “Abbiamo capito che hai passato un sacco di merda / Ma la vita è una puttana, quindi dai, scuoti le tette e fottiti”.

Il “BFF” riflessivo – con la sceneggiatura dell’album Wrabel – è così sfarzoso e diligente che puoi praticamente vedere i cantanti che si guardano negli occhi, ricordando la loro amicizia. E mentre inclusioni come “Potato Song (Cuz I Want To)” sembrano apparentemente divertenti (anche se confuse), rafforzano l’attitudine di Kesha ad attaccarsi alle sue pistole. Perché sta cantando sulla coltivazione di patate in cima a una tromba?.

“Rainbow” è stato mentalmente – e molto probabilmente, fisicamente – estenuante per Kesha, dovendo occupare i diversi spazi della testa riflessi nei suoni contrastanti del disco, mentre iniziava a rimettersi insieme. Su “High Road”, cerca in profondità ed emancipa l’incarnazione del puro piacere. Nulla di questo disco sembra forzato, ma invece incapsula la visione di Kesha sulla folle e strana montagna russa che è la vita stessa. Voto 4/5

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