Jihad Rehab: come riabilitare i jihadisti pentiti al Sundance

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Jihad Rehab

Guantanamo, al suo apice, la prigione, nota come Campo X-Ray, conteneva quasi 800 detenuti, di cui 39 sono rimasti oggi. Il resto di loro – a parte quelli che non sono sopravvissuti – sono rimpatriati nelle loro terre d’origine a partire dal 2005, più o meno nel periodo in cui la guerra al terrorismo di Bush iniziò a svanire.

Cosa ha detto George W. Bush su Guantanamo?

“I terroristi che hanno dichiarato guerra all’America non rappresentano una nazione. Non difendono alcun territorio. E non indossano uniformi”, è il modo in cui George W. Bush descrive gli uomini che sono stati detenuti illegalmente e soggetti ad abusi e torture a Guantanamo Bay quando gli Stati Uniti invadono l’Afghanistan sulla scia dell’11 settembre. (Jihad Rehab)

Il centro di Riyad

Questo è il caso di tutti i prigionieri tranne quelli dello Yemen, a cui è rifiutato il rilascio ma si sono trovati su un curioso percorso verso la libertà quando il principe Muhammad bin Nayef dell’Arabia Saudita li ha accolti in un centro di riabilitazione da lui costruito a Riyadh. Da oltre 15 anni esiste in Arabia Saudita, un centro di riabilitazione per terroristi, il Mohammed Bin Naif Conseling and Care Center di Riyad: una struttura dove 3000 persone hanno già terminato il programma e sono tornate in società.

Jihad Rehab: Meg Smaker

Le richieste dei media occidentali di visitarlo sono state respinte. E’ riuscita per la prima volta a visitarlo la documentarista Meg Smaker, ex viigle del fuoco con alle spalle 10 anni di vita nei Paesi arabi (compresi alcuni anni come istruttrice dei Vigili del fuoco in Yemen): un viaggio che racconta in Jihad Rehab, il documentario che debutta in prima mondiale al Sundance film Festival.

La brutta esperienza

L’autrice (che nel 2003 aveva vissuto di persona un’esperienza profondamente traumatica, essere rapita con alcuni amici, durante in viaggio al confine tra Panama e Colombia, dai ribelli, che l’hanno tenuta come ostaggio per alcune settimane) grazie alla sua conoscenza della lingua e della realtà araba, riesce ad andare oltre la dimensione del semplice reportage. Il racconto del funzionamento del centro di riabilitazione si unisce alle testimonianze di alcuni prigionieri yemeniti accettati nel centro e arrivati da Guantanamo.

I detenuti

Fra questi ci sono Nadir (detenuto per oltre 16 anni nella prigione Usa) e Abu Ghanim, ex guardie della scorta di Osama Bin Laden, o Ali, jihadista finito a Guantanamo sedicenne e fratello del capo di al Qaeda in Yemen, Quassim al Raimi (morto nel 2020, ndr). Dalla diffidenza e i silenzi si passa a spazi di verità, come quando il 30enne Mohammed, che all’inizio aveva negato di essere un jihadista, qualche mese dopo ammette di aver combattuto in Afghanistan e di fronte alla domanda, se sarebbe pronto a tornare a combattere per i talebani, risponde: “sono troppo vecchio, la jihad è per adolescenti”.

Dr Hameed

Quando “parliamo dei terroristi la prima risposta che abbiamo è la punizione da infliggere, ed è giusto, ma dopo che l’hanno scontata, qual è il modo giusto che la società deve avere per relazionarsi a loro? Quello che vogliamo insegnargli è il pensiero critico, iniziando ad eliminare l’idea estremista che li ha alimentati – spiega il Dr Hameed psicologo criminale che è fra i docenti nel centro -. Per confrontarsi con un’idea non serve la forza”.

Jihad Rehab: Khalid

Ex fabbricatore per al Qaeda di bombe, che dopo aver completato il programma del centro 10 anni fa, si è ricostruito una vita diventando imprenditore, come produttore di allarmi per le auto: “Non è facile ricominciare – spiega – abbiamo fatto errori terribili, ci sono state vittime da entrambe le parti. Non è facile convincere gli altri che non sei più un terrorista. In questa nuova vita non sei più prigioniero, ma non sei neanche veramente libero”.

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