Nel saggio, “Being Cary Grant”, Martine Reid esamina la spietata fabbricazione di un mito del cinema americano.
Cary Grant: qual è il prezzo dell’immortalità?
Negli anni ’20, quando Archie Leach firmò il suo contratto con la Paramount per diventare Cary Grant, dovette rinunciare a tutto quello che era stato prima. Un acrobata, un accompagnatore a New York, un ragazzo di Bristol. Hollywood si espropria secondo passaggi obbligati: chirurgia plastica, lezioni di eleganza e dissimulazione di qualsiasi orientamento sessuale contrario al decoro dell’epoca. A Beverly Hills, Cary condivide una villa con l’attore Randolph Scott, ma entrambi gli uomini sono presentati come gentiluomini incalliti. Gli studios hanno orchestrato le sue uscite tra le braccia delle dive più belle della città, perché l’icona non deve perdere la sua virilità fuori dal set. Fedele al seduttore che interpretò di commedia in commedia, Grant ebbe cinque mogli, tra cui l’attrice Betsy Drake e l’ereditiera Barbara Hutton. Tutte testimoni della discrepanza tra il fascino apparente dell’attore e la virulenza del suo comportamento privato.
Il vero Cary Grant
Violento, ossessionato dalla necessità assoluta di piacere, il divo trova nei suoi ruoli una meta. Ma anche un rimedio alla menzogna del padre, che lo insegue da tempo e che il sole californiano non è riuscito a fargli dimenticare. Sua madre, Elsie Leach, che lui pensava fosse morta d’infarto l’anno in cui ha compiuto 10 anni, è in realtà viva, internata dal marito in un manicomio per una grave depressione. La donna risorta e suo figlio condividono alcune crepe che l’attore cerca di curare a porte chiuse. Percorrendo la sua filmografia mozzafiato, Martine Reid ci invita a riflettere su Hollywood. Attraverso il personaggio di Cary Grant, ha plasmato i costumi di diverse generazioni imponendo la mascolinità trionfante e il matrimonio come esito inevitabile di ogni storia d’amore. Più profondamente, rivela lo specchio bifronte di un mondo che ingrandisce gli esseri divorando la loro individualità.