Il Signor Diavolo – recensione e spiegazione del finale

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Dopo anni di sole commedie e drammi, nel 2019 Pupi Avati è ritornato ad un genere che in passato ha abbracciato saltuariamente con film come “La Casa Dalle Finestre Che Ridono” e “Zeder”: l’horror. Lo fa con un “Il Signor Diavolo”, un film ambientato in un Veneto del dopoguerra che, immerso completamente in una cultura arcaica e religiosa, mette in scena vicende in cui avvenimenti che oggi potrebbero sembrare insignificanti hanno risvolti terribili perché visti attraverso l’occhio distorto di un cattolicesimo a dir poco fanatico. Il cast include Filippo Franchini, Lino Capolicchio, Cesare Cremonini (omonimo del cantante), Gabriel Lo Giudice, Massimo Bonetti, Ludovica Pedetta, Chiara Caselli, Lorenzo Salvatori ed altri.

Di seguito troverete una divisione in tre sezioni: trama, recensione e spiegazione del finale. Se interessati solo all’ultima, scendete in fondo all’articolo.

Trama de “Il Signor Diavolo”

In un paesino in provincia di Venezia un ragazzino ne ha ucciso un altro perché convinto, in questo modo, di eliminare il demonio: il ragazzo ucciso aveva del resto un aspetto anormale, tutti in paese sostenevano avesse denti più simili a quelli di un maiale che a quelli di un uomo e soprattutto che da piccolo avesse sbranato la sua sorellina. La madre della vittima si oppone però a questa narrazione, sostenendo a gran voce che la chiesa sia responsabile di oscurantismo e mistificazioni della realtà che causano tragedie di questo genere: il governo del momento, filocattolico, teme che l’influenza della donna possa allontanare voti dalle proprie schiere ed incarica un avvocato di indagare sulla faccenda così da dimostrare a tutti che il ragazzino non è stato istigato da alcuna figura facente parte della chiesa

Recensione de “Il Signor Diavolo”

“Il Signor Diavolo” è un film che entra completamente nell’ottica del “classico” horror all’italiana, genere che in realtà non ha più rappresentanti da un bel pezzo, che è fiorito principalmente nello scorso decennio per mano di cineasti ormai molto anziani come Dario Argento e Lucio Fulci: si tratta quindi di un genere che resta legato a metodi di regia datati, a ritmi abbastanza lenti, ad una quasi totale assenza di jump-scares e alla capacità di montare una forte ansia che anche non esplodendo ti accompagna anche in seguito alla visione.

Si tratta per questo di un film che non può piacere a tutti gli amanti attuali del genere horror, ma che incontra sicuramente i gusti di chi apprezza appunto le particolarità tecniche che il genere ha da sempre: in particolare, se si ama un certo modo di usare la macchina da presa, una certa fotografia ed una certa gestione della narrazione si potrà godere immensamente di un film che dal punto di vista tecnico è semplicemente perfetto, in cui l’ambientazione tetra e le inquadrature fanno da soli gran parte del lavoro. Ci sono, però, alcuni buchi nella trama che lasciano in ogni caso la sensazione che il film potesse essere fatto meglio: nulla toglie che l’idea di base sia fenomenale, che il messaggio finale sia anche meglio, ma il tutto dal punto di vista strettamente relativo alla trama poteva essere fatto meglio.

La questione del rapporto fra chiesa e raziocinio, fra visioni superstiziose di animali, avvenimenti e malattie e quelle naturalistiche e razionali di tutto ciò, è la base ben solida su cui si basa il film. Secondo la prima visione, il giovane Emilio è un indemoniato figlio di un rapporto terribile, macchiatosi di un reato incredibile e che causa uno dopo altro degli atti sacrileghi che offendono il Signore; secondo la seconda, invece, egli è semplicemente un ragazzino con svariati problemi di salute, un adolescente molto malato che ha semplicemente per questo comportamenti strani ed un aspetto altrettanto alienato. Lo stesso “dubbio cosmico” c’è circa il sagrestano, un aspetto su cui tuttavia non diciamo altro per non spoilerare il film. Si tratta appunto di uno spunto ottimo, ed in alcuni frangenti molto ben sfruttato, ma su troppi aspetti Avati lascia allo spettatore il compito di completare l’opera, di aggiungere tasselli mancanti: il risultato sono buchi che possono infastidire molti spettatori.

Il problema principale è che ci sono due fattori in completo disaccordo fra di loro: la durata breve del film, che dura meno di mezz’ora, ed il suo ritmo molto lento. Al fine di raccontare per bene una trama così complessa, con tanta carne sul fuoco fra avvenimenti direttamente collegati alla vicenda, antefatti ed eventi collaterali, sarebbe servito obbligatoriamente un ritmo più rapido o una decina/ventina di minuti in più di film. Oltretutto, appare abbastanza assurdo che Avati abbia scelto di dare così tanta importanza ad una love-story così slegata dalla trama principale invece di spiegare meglio alcuni frangenti di quest’ultima: certo, la storia d’amore riesce a spiegare meglio la psicologia del protagonista, ma questo non giustifica il darle un’importanza davvero eccessiva.

Le parti più efficaci del film sono quelle in cui vengono mostrate mentalità ed avvenimenti tipici di un paese dei primi anni ’50, credenze e quotidianità che non sarebbero affatto compatibili coi giorni nostri; seguono le scene ad alto carico d’ansia, le quali fanno percepire la mancanza di un genere che a parte questo revival ormai non esiste più. Una maggiore attenzione ai dettagli della trama, però, sarebbe stata gradita: speriamo comunque questo sia un primo passo affinché l’horror italiano si organizzi di nuovo e ci dia altri capolavori come “Suspiria”, “Demoni” e lo stesso “La Casa Dalle Finestre Che Ridono”.

Spiegazione del finale del film

Il tasto forse più dolente de “Il Signor Diavolo” è un finale forse troppo enigmatico, che lascia troppo spazio alle riflessioni e può essere compreso appieno solo da chi continuerà a discutere dell’opera dopo la visione, magari insieme alle persone con cui l’ha visto. Nel finale scopriamo che la leggenda di Emilio che aveva smembrato la sorellina con la sua dentatura straordinaria era falsa, che la bambina è intera ma, appena il protagonista scopre ciò, viene condannato a morte certa dagli impassibili sagrestano e Carlo, bambino che alla fine si rivela effettivamente un carnefice.

Il messaggio che il finale vuole dare, quindi, è che in realtà nulla di sovrannaturale è successo: quello che diabolico abbiamo visto e sentito erano o racconti del sagrestano ai ragazzini, o illusioni percepite: dopo la morte del suo amichetto, Carlo è impazzito ed ha avuto allucinazioni in cui si palesava il fantasma dell’amico, oltre a diventare capace di uccidere; il pianto del bambino poteva invece essere inscenato, o se proprio vogliamo è l’unica cosa davvero sovrannaturale dell’opera, magari segno dato da un divino davvero buono che vuole salvare il protagonista; potrebbe anche essere che nella dimensione in cui si trova il film i fantasmi effettivamente esistano, ma sarebbe un po’ incoerente con il resto della spiegazione finale.

In tutto ciò, quindi, il sagrestano si rivela un pazzo che convince i bambini a fare cose terribili in relazione alle sue convinzioni: vuole far sì che tutti credano fermamente nel sovrannaturale che sta dietro alla religione cattolica, e racconta dunque ai bambini cose ad hoc in modo da plagiarli. Il risultato è quello che vediamo, e nel finale il suo piano diabolico funziona: ad aiutarlo, certo, la fortuita malattia di Paolino, ma per il resto tutto è stato escogitato da lui, che a suggerito sia ad Emilio e Carlo come comportarsi. Probabilmente Emilio credeva davvero di essere il demonio perché il sagrestano aveva convinto tanto lui quanto Carlo, e proprio per questo ha compiuto azioni che hanno fatto il gioco del perfido uomo: “Il Signor Diavolo”, se proprio deve essersi reincarnato, l’ha fatto in lui.

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