La scena punk italiana come fenomeno indipendente
Non si parla a sufficienza della scena punk italiana sorta tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Eppure andrebbe sviscerata a fondo, soprattutto ora che quel particolare periodo storico nel “bel paese” è stato storicizzato. La produzione di questo filone musicale, diffusa in tutta la penisola seppur con una certa preponderanza al Settentrione, non ha mai raggiunto in modo massiccio canali mainstream quali MTV, Allmusic e affini, risultando quindi protagonista di quel giro molto più limitato costituito dalle etichette indipendenti e dai concerti nelle feste all’aperto largamente diffuse nel periodo estivo.
Per un ragazzo della provincia lombarda come me, cresciuto nei primi anni 2000, epoca non tanto distante da noi mai profondamente diversa per canali di comunicazione e consumo, andare a sentire i Punkreas, i Derozer o gli Shandon era un evento di incomparabile scarica di adrenalina. Il viaggio dal luogo di ritrovo fisso tra amici al sito del live veniva svolto inizialmente in motorino per poi passare alla macchina una volta che emergevano i primi patentati. Poco importava in che modo si raggiungesse il concerto, ciò che veramente contava era lanciarsi nel mosh pit (lo chiamavamo “pogo”), respirare l’inconfondibile odore della notte estiva accompagnandolo con le prime birre, rigorosamente nel bicchiere di plastica, e le prime sigarette.
Portavoce di una forte esigenza di libertà
Da adolescenti certi gruppi rappresentavano la libertà, una dichiarata esigenza di indipendenza tutta giovanile che veniva rappresentata ad hoc dalla non appartenenza di tali artisti alle major discografiche. Non ce ne rendevamo conto ma in quella musica c’era molto di più. Riascoltando oggi a Trent’anni suonati quei CD comprati proprio ai live, oltre ad avere ancora la pelle d’oca per i primi ricordi nostalgici di una adolescenza che è ormai irrimediabilmente andata, si può prendere coscienza di quanto raccontino quei primi anni di questo terzo millennio. Sono canzoni dirette, incisive e molto esplicative dell’Italia decisamente marcia che stava sorgendo in quegli anni (innegabile è l’effetto del ventennio Berlusconiano sui nostri costumi sociali) e che ci trasciniamo dietro con fosche conseguenze oggi.
La canzone che vorrei analizzare è Tempi Cupi del gruppo della provincia di Varese Porno Riviste. Il brano è contenuto nell’album Codice a Sbarre, prodotto nel 2001 dalla Tube Records (etichetta oggi non più attiva) e che rappresenta il capolavoro artistico del quartetto di Venegono Superiore. Il brano è in puro stile punk californiano (strizza decisamente l’occhio allo stile di gruppi U.S.A. quali NOFX e Rancid) ed è una impietosa descrizione, in chiave piuttosto metaforica, dell’epoca storica in cui è stato scritto. La voce volutamente roca di Tommi Marson costituisce la fotografia più fedele del mood del brano, sputando in faccia agli ascoltatori un testo all’apparenza nonsense ma invece ricco di significato se letto nella corretta prospettiva.
I Tempi Cupi non hanno mai smesso di esistere
«Tempi cupi stamattina ho sentito delle elezioni
Tempi cupi della tele ce ne abbiamo pieni i coglioni.
Quanti mesi, settimane, c’è un domani
Poi c’è un passato
’68, ’77, chi si chiede cos’è cambiato?
Immagini passate scendono su di noi,
immagini sbiadiate le vuoi o non lo vuoi?»
Ciò che da ragazzino mi sembrava un testo scritto con lo stile del cut-up (parole a caso cucite per l’occasione, stile reso celebre da Kurt Cobain dei Nirvana) oggi mi rendo conto contenere invece denunce sociali profonde. I “tempi cupi” sono proprio quelli che stavamo vivendo in quel 2001, tanto in Italia con la nuova vittoria di Berlusconi e la “berlusconizzazione” della società tanto all’estero con tragedie immani quali l’attentato alle Twin Towers a New York. Le elezioni di cui parla Marson nel testo sono proprio quelle del 2001, dove gli italiani immemori della già negativa esperienza di Forza Italia alle politiche del 1994 hanno nuovamente dato fiducia a un tanto abile imprenditore quanto avvilente personaggio politico che ci ha attirato non poche antipatie oltre i confini nazionali.
La televisione ha contribuito a renderci ciò che siamo
Ciò che che sconvolge il cantante delle Pornoriviste è il nuovo ruolo da protagonista giocato dalla TV nelle elezioni politiche del paese. Come nel 1994, anche nel 2001 il Cavaliere di Arcore ha fatto leva sulla sua attività imprenditoriale di magnate televisivo per arrivare nei salotti di tutti gli italiani. Celebre rimane il suo intervento nella nota trasmissione “Porta a Porta” nel quale firmò in diretta TV quello che passerà alla storia come il “contratto con gli italiani”.
Passano i mesi, le settimane ma gli italiani guardano al domani senza cogliere prima la benché minima lezione dalla storia. A che sono serviti i fatti del ’68 e il periodo stagista degli anni ’70? Pare che in Italia sia destino che non cambi mai nulla. Il passato si cala su noi italiani come un’immagine sbiadita, una labile figura intenta a provare a trasmetterci una qualche forma di messaggio che noi ci rifiutiamo di ascoltare.
«Passa il tempo, non ha volto,
vuole tutto e da in cambio niente.
È qui vicino, non mi piace
il sistema e chi te lo vende.
Ma hanno vinto hanno usato
manifesti e televisioni,
sono a capo di una folla
senza vita e senza emozioni.»
La storia non insegna, vogliamo sempre l’uomo forte
Nonostante il tempo passi ci ostiniamo a non accorgercene, eppure il suo incessante scorrere continua a farci pagare il suo prezzo dettato prevalentemente dalla nostra noncuranza. Marson ora ce lo dice chiaramente: il sistema che tira i fili dell’andamento politico e sociale del paese non gli piace e non riesce più a sopportarlo.
Nonostante la palese pochezza di contenuti della Casa delle Libertà, coalizione comunque invidiabile se paragonata al nulla cosmico odierno, l’utilizzo di manifesti e spot televisivi ne ha decretato la vittoria, frutto soprattutto di una apatia condivisa nel popolo italiano e una tendenza a non curarsi dei problemi ma a delegare un “uomo forte” che si spaccia come il Problem solver dell’illimitato. Non si può dire che tale atteggiamento sia mutato, se non altro Berlusconi era un “uomo forte moderato”, ciò a cui tende oggi una gran maggioranza della popolazione è l’avvento di un “uomo forte determinato, picchiatore e risolutore”. Vista la storia contemporanea dell’Italia c’è ben poco da rimanere allegri.
Non la solidarietà ma la musica ci salverà
«Chi sta bene non aiuta,
chi sta male s’incazza e sputa.
Sputi sangue, misto a pioggia,
la giustizia è nelle canzoni.»
Chi non ha problemi si guarda bene dall’aiutare gli altri, anzi beneficia della situazione per acquisire ancora più potere e averi. Chi non ha la fortuna di godere del migliore status sociale possibile vive ribellandosi, facendo sentire la propria voce che spesso e volentieri sgorga come acqua piovana pronta ad asciugarsi e a rendere nuovamente arida la terra sociale. C’è solo un luogo dove le Porno Riviste ritengono sia possibile una redenzione e un autentico percorso di giustizia: la musica e l’emozione che questa genera sul pubblico, capace anche di smuovere un minimo le coscienze.
Fenomeno di nicchia ma valore universale
Musica festaiola? Quattro accordi, distorsione a palla, testi banali e urlati senza capacità vocale? Giudicate come vi pare questa fetta della musica italiana, ma dice molto di più di tutto ciò che oggi galleggia come melma sul fosso della classifica. È sicuramente musica grezza, fatta di sale prove con porta uova alle pareti, interminabili viaggi in furgone per raggiungere i luoghi dei concerti, di aliti con sentore di birra e tabacco, di sudore e abbracci maleodoranti a fine concerto ma è molto più autentica e sincera di qualsiasi trapper nostrano di turno. Riscoprire questa pietra miliare del punk italiano e approfondire una scena che ormai ha fatto storia è diventato più che mai un obbligo morale e sociale.