Gheri è il giusto mix tra la lirica di De Gregori e il folk rock di Bruce Springsteen.
Eri poco più che ventenne quando approdasti a New York. Cosa ti spinse a partire per quella che fu la prima tappa di un viaggio molto più ampio?
“La grande curiosità di esplorare quelle terre. New York è stata sempre nel mio immaginario. Amando la musica americana, poi, volevo andare a scoprire quei luoghi dove tutto è nato. Tra l’altro, in quel periodo amavo moltissimo Jeff Buckley e quello mi ha spinto. Insomma, sono stati la musica e i dischi che sentivo”.
L’anno dopo il tuo arrivo nella Grande Mela fai tappa a Dublino, dove conosci Paul Mooran, maestro di Larry Mullen degli U2.
“Mi trovavo a Grafton Street, dove si riuniscono tutti gli artisti di strada. Ero lì che suonavo, lui si è fermato e abbiamo fatto due chiacchiere. Io non avevo realizzato ancora chi fosse, ma mi risultò subito simpatico. Mi chiese dove stavo, mi offrì un paio di birre e mi ospitò persino a casa sua. Con lui feci il primo provino, tra l’altro nel suo studio”.
Ti trasferisci poi in Colorado e lì ti confronti con una realtà musicale che affonda le proprie radici nel Southern rock.
“Non ricordo le circostanze, se un amico mi chiamò per dirmi: ‘Sono qui, raggiungimi’, ma era l’occasione di vedere un po’ di cose, quindi decisi di prendere e andare”.
Nel 2002 torni in Italia e incontri Zucchero, col quale scrivi i brani Quanti anni ho e Oltre le rive. Come avvenne l’incontro e cosa ti disse per “convincerti” a collaborare con lui?
“Quando tornai in Italia feci un provino. Incisi una demo che capitò al suo produttore, Zucchero la ascoltò e mi chiamò. Fu una telefonata surreale e bellissima al tempo stesso. Ero lì che mi chiedevo: ‘Ma è vera ’sta storia?’. Ci mise mezz’ora per convincermi che era lui, e alla fine mi fa: ‘Hai capito che sono io? E allora dai, vieni’”.
Zucchero che, tra l’altro, si è praticamente innamorato della tua musica. Questa è la terza volta che ti invita ad aprire per lui.
“Sì, è la terza volta. C’è un bel feeling e gli piace molto quello che faccio. Ogni volta che mi invita, per me è sempre un grande onore”.
Tutto il bagaglio rock e folk assimilato nel corso dei tuoi viaggi confluisce, nel 2016, nell’album Generazione 0.
“’Generazione 0’ era un progetto improntato su un rock dell’East Coast, un po’ sul modello di Springsteen. Questo ultimo disco [Lullaby, ndr.] che esce a fine maggio, invece, è marcatamente Midwest e ha un taglio più folk”.
Il modo in cui scrivi, creando immagini e suggestioni quasi tangibili, e anche il modo in cui certe rime si incastrano, mi ricorda la maniera di scrivere di De Gregori. Esagero se dico che sei il giusto mix tra la lirica di De Gregori e il folk rock di Bruce Springsteen?
“Oh, cavolo, è un complimentone. Meraviglioso, ti ringrazio. Fra l’altro, io sono cresciuto con i cantautori italiani e De Gregori per me è un altro grandissimo, insieme a De André. Springsteen, poi, è un idolo, per cui non c’è complimento migliore. Per quanto riguarda i miei testi, quando scrivo uso molto i correlativi oggettivi. Mi piacciono le opere dei poeti modernisti, che usano le parole per creare visioni, e io cerco di fare lo stesso”.
Lullaby è il tuo album che uscirà a fine maggio. L’omonimo singolo estratto attinge a piene mani dalla tua vena folk. Sarà questo il taglio, folk e minimal, che darai a tutto l’album?
“Buona parte dell’album avrà ballate scarne, ma ci saranno anche up-tempo dal taglio molto più southern. Quindi un fiume di chitarre acustiche, bella ritmica e chitarre alla Ryan Bingham. Ci saranno anche brani che tirano, eh, ma sempre restando su quelle sonorità lì: un folk più minimale che si evolve, arrivando a sonorità più aspre che comprendono hammond e chitarre elettriche belle calde, tutto suonato dal vivo e in analogico”.
I tuoi sono brani che, se li spogli e lasci solo chitarra e voce, si reggono comunque in piedi. Come li presenterai nel corso dei live all’Arena di Verona?
“Mi hai fatto un altro complimentone. Non mi scorderò mai la prima volta che collaborai con Zucchero. Ricordo che mi disse: ‘Gheri, per capire se il pezzo gira, sta in piedi e può vivere di vita propria, devi farlo chitarra e voce o piano e voce. Se funziona, vuol dire che ci siamo’. E io ho fatto tesoro di quelle parole. Quando affronto il brano, lo faccio sempre in solitaria, quindi chitarra e voce o piano e voce. Se vedo che sta in piedi, poi dopo cerco di rivestirlo un po’. Questo mi permette di non avere problemi nei live. In genere giro in trio, altre volte in band, ma diciamo che mi piace molto l’approccio minimale. Nel corso dei live all’Arena di Verona saranno con me Cristian Cicci Bagnoli alle chitarre, Sandro Paoli alle tastiere e Nesy alla voce”.