Dark Hearts, Annie | La Recensione

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Dark Hearts, album di Annie

Annie rimane una delle regine del synthpop, e il suo ultimo album Dark Hearts ne è la prova. A dieci anni dall’ultimo lavoro Don’t Stop mantiene alla console un talento e una classe invidiabili.

La mancanza di Annie

È uno dei tesori del synthpop norvegese, così “rara” da aver rilasciato solo due album e costruito uno status solo con quelli. Ma Anne Strand detta Annie se lo può permettere, perché nel synthpop si trova a suo agio e dietro la console sa creare meraviglie. Dispiace che dopo il suo magnum opus Don’t Stop, rilasciato nel 2009, non sia più riuscita a rilasciare nulla eccetto qualche Ep. Eppure non si è fermata, tenendo fede al titolo del lavoro. Nel 2020 la vediamo ritornare dopo un iato più che decennale con un album tutto nuovo, scritto da lei secondo i parametri a sua scelta.

La Kylie Minogue della Norvegia deve tenere fede al proprio nome, e incidentalmente vi riesce – pur allontanandosi esponenzialmente ai binari che l’hanno consacrata. Dopotutto è cresciuta, il tempo cambia tanto chi lo vive, e Dark Hearts è un album innanzitutto maturo. Non molto Annie, come unico difetto, anche se la personalità di colei che l’ha composto non manca di emergere.

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Dark Hearts: la recensione

Annie rilascia Dark Hearts in modalità indipendente, sotto la sua label Annie Melody, e non potrebbe esserci posto migliore per il suo rilascio. Dark Hearts è un album fatto da Annie, per Annie, secondo i metodi e i gusti di Annie. Basta ascoltare la prima traccia In Heaven per capire quale sia il suo disegno. Si colgono tutti e due, i predecessori: le atmosfere elettroniche e potenti di Don’t Stop unite a quelle più intime e fredde del suo debutto Anniemal. E sono combinate nel suo album più vasto e grandioso dal punto di vista sonoro.

Pare, ascoltando Dark Hearts, di immergersi in un’infinita notte stellata. Volarvi attraverso fino all’infinito, mentre la voce eterea e carezzevole della Strand si leva da dietro le basi elettroniche ed esala le sue note delicate. Come tutti gli album indipendenti, Dark Hearts non è privo di ostacoli di personalità da affrontare, con tracce che tendono ad essere lente in partenza e peccare di velocità. Un fan di Don’t Stop di lunga data sarà confuso di fronte a canzoni come The Untold Story, così lente e cupe da scivolare quasi nell’ambient. 

L’album più vicino a Dark Hearts, in questo senso, è Shadow Works di Kerli, rilasciato nel 2019 da un’artista altrettanto amata e sottovalutata. Anche allora una popstar alternativa dalla gimmick collaudata la abbandona per immergersi nella notte e raccontarla con i suoi strumenti. Ma se la notte di Kerli era profonda e senza luce, la Via Lattea e le stelle risplendono su Dark Hearts. E ne fanno forse il lavoro più atmosferico e luccicante dai tempi di Nightfall dei Little Big Town. Che è pur sempre un album country, ma non importa: un bel messaggio e un bel modo di raccontarlo sono sempre graditi. Annie ce la fa un’altra volta: la musica elettronica è il suo regno, e ci vive dentro con disinvoltura

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