Abbiamo incontrato Andrea Perroni in una limpida serata d’estate, al Teatro di Ostia Antica, dopo il sound check e prima del suo ritorno sul palco con “Dal Vivo” dopo un periodo forzato di fermo dovuto all’emergenza. Abbiamo chiacchierato con lui, volevamo parlare del suo spettacolo, delle sue performance e abbiamo scoperto che è un artista che ha molto più da dire di quello che i suoi tanti spettatori possono immaginare.
Andrea Perroni ha un’anima profonda, come il mare, senza il quale non può vivere. Azzurra e limpida come il cielo e gli occhi di sua nipote, di cui è perdutamente innamorato, si sente da come ne parla.
Andrea Perroni ‘Dal Vivo’ a Ostia Antica il 4 settembre
Siamo rientrati dopo la pandemia, tanti problemi…
Si, siamo rientrati un po’ a fatica, con le idee non molto chiare. Però esserci è tutto in questo momento. È un segnale per le persone, per una serie di motivaizoni che sarebbero infinite. Ma prima di tutto è il segnale che dai alla gente: che si può fare. Anche perché comunque la pensiamo su questo argomento, dobbiamo conviverci. La scienza è abbastanza chiara, inutile fare quelli che vanno contro corrente, non risolviamo assolutamente nulla. Che se ci pensi poi, ci siamo omologti in questi anni a centomila cose: al telefonino, a whatsapp, a facebook. Non riusciamo ad omologarci per un anno a quessta cosa? Cosa tanto per dire cosa, perché è una cosa che può decidere anche sulla salute dei nostri cari.
Hai parlato di salute. Leggevo un recente studio in merito a salute e arte in cui ripresentano la teoria per la quale tornare all’arte, tornare allo spettacolo, tornare di nuovo sul palco sia salutare non soltanto per chi lo fa ma anche per chi riceve.
C’è un aspetto che secondo me viene trascurato che è proprio la mente. In India magari ne abusano, però è abbastanza noto, sotto gli occhi di tutti. Cito l’immagine di Gesù perché sono un fan di Gesù, non della parte cattolica, spregiudicata e abbastanza estremista. Quella che ci descrive Gesù come uno che nasce, fa due miracoli e muore. In realtà sono fan di un altro Gesù. Di un Gesù che va a scoprire altre culture. Ecco. La chiave di tutto è l’apertura e il confronto, e quindi l’illuminazione e la mente, lavorare sulla mente è fondamentale.
Se noi non abbiamo un’equilibrio mentale è normale che non siamo nemmeno in grado di decifrare determinati messaggi. Oggi i messaggi che vengono decifrati e distorti, si distorti e non decifrati, perché le persone si cibano di video su Facebook guardando in media su un video di 55 secondi, 7 secondi. Quindi su un video che vuole “indottrinarmi” di 3 minuti guardo 20 secondi. Di conseguenza, o abbiamo gli strumenti per parlare di quella roba lì oppure bisogna stare zitti.
Questo è collegato con la mente, perchè la mente la usiamo male. La usiamo senza mai staccarla. La mente dovrebbe essere usata, ed è un esercizio che cerco di fare da tanto tempo ma con poco successo, dovrebbe essere usata quando serve. Però torniamo al disorso di prima. Siamo talemente omologati a fare determinate cose. Vaglielo a spiegare a una mamma che esce dall’ufficio e deve andare a prender i figli a basket che “la mente la devi usare quando ti serve”. Come minimo ti ci manda.
Queste occasioni qua, di spettacoli, sono occasioni di leggerezza, di confronto, di contenuti. Perché comunque io spero sempre di avere un impegno sociale in quello che faccio. Di metterci sempre dei contenuti, perchè il contenuto è quello che mi preme di più. Altrimenti sarei veramente un becero che si basa solo sulla volgarità e sui messaggi ovvi e ne vedo troppa di questa roba qua. Basta aprire TikTok che adesso è in voga e vedi l’ovvietà, vedi la possibilità di ognuno di avere consensi, di raccogliere applausi, di raccogliere like.
Qui io cerco di portare n messaggio che sia anche un messaggio di riflessione. Un momento in cui si stacca, però ci si guarda in faccia e si riflette. L’anno scorso in questa arena c’erano 2200 persone. Oggi ce ne saranno molte di meno, ma ha più valore per me. Il valore di confrontarci, di ritrovarci e anche di staccare mentalmente e avere questa grandissima occasione. Io ho detto anche in altre interviste che questo qua è un miracolo: eravamo rassegnati a non farla questa data. Quando ho aperto la data ero sicuro che la serata non l’avrei fatta. In realtà poi, il pubblico che è venuto qua quessta sera è un pubblico coraggioso. Ed è un pubblico che è venuto per vedere me. Quelli che stanno qua stasera, tutti quanti sono venuti per vedere me. Non ce n’è uno che c’è cascato. In pochi ci saranno cascati. Ma la maggior parte sono quelli che sono venuti a vedere me e quindi io li vorrei premiare e ringraziare.
Ti definiresti un artista che cerca nei personaggi che presenta l’aspetto spirituale e mentale di quei personaggi, più che la semplice imitazione?
E’ cosi. Infatti non sono imitazioni ma parodie. Diventano parodie nel momento in cui c’è quel lato lì. Quel colore, quel tik, quella roba che magari altri non hanno notato. Ed è quella che piace di più a me. Io non mi ci concentro mai sulla voce, la voce per me è l’ultima cosa. Poi io ho il dono di registrare delle cose e di rifarle. Però mi devo mettere la mani davanti alle orecchie per sentire bene la mia voce, perché me lo dicono che è uguale, io non è che la provo e la sento uguale. Non mi metto a pensare e a registrare per sentirmi. Quello è un altro lavoro. Quello è veramente il mestiere, davanti al quale mi tolgo il cappello, dell’imitatore, che si mette a studiare il colore, la sfumatura. Io non ho tempo di farlo.
Ti ho voluto chiedere di questo lato spirituale dei personaggi perchè tu tratti personaggi che gli altri non trattano.
Gran parte di questi personaggi io li conosco molto bene. E alcuni sono degli amici che hanno accettato di buon grado questa cosa e si divertono. Poi io a volte questi personaggi li faccio e li lascio, nascono e finiscono. Insinna è nato e finito in uno scherzo. Poi me lo hanno chiesto. Però si mi vado a cercare personaggi strani, è una cosa che mi diverte molto
Ti ho visto fare una cosa geniale anche in funzione di tanti autori del passato, tipo Ridolini, cioè mettere delle sedie sul palco e interpretare una serie di personaggi…
Quel pezzo l’ho riportato sul palco lo scorso anno dopo più di dieci anni, perchè l’ultima volta feci Ostia Antica qua, nel 2006. Quel pezzo è nato qua, sul palco di Ostia Antica. L’ho fatto fino al 2011, poi non ho più avuto forza di farlo. Non ce la facevo più con il fiato a farlo. Perchè avevo raggiunto tutto quello che potevo avere da quel pezzo. Poi ho iniziato a rifarlo, ma in maniera folle. L’ho rifatto azzardando ancora di più, perché da 4 personaggi sono diventati 6. Ed è molto faticoso, dopo quel pezzo lo spettacolo è finito. Io continuo per altri 20 minuti ma lo spettacolo è finito.
Hai parlato di colori. Tu che colore sei?
Azzurro. Da sempre da quando sono piccolo. Sono azzurro perché senza il mare non posso vivere: azzurro è il cielo azzurro è il mare. Azzurri sono gli occhi che ho, che sono l’eredità di mio nonno e azzurri sono gli occhi di mia nipote che ogni volta che guardo mi commuovo da morire. Perchè nella mia testa sono uno che non pensa ad avere figli, perchè questo lavoro qua è un lavoro infame sotto certi punti di vista. E quindi quando vedo mia nipote resto scioccato.