L’amante del prete: il giardino segreto anticlericale

Poetico e ricco di simbolismi, questo film di Georges Franju è oggi dimenticato, ma merita di essere recuperato dagli amanti del genere.

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L'amante del prete

Ad una prima visione, L’amante del prete, pellicola francese del 1971, incanta con la sua atmosfera fiabesca. Merito soprattutto delle ambientazioni: il regista, Georges Franju, volle che l’intero film fosse girato in ambienti reali, senza nulla di ricostruito sul set. Sono reali, dunque, il villaggio, il vecchio castello in rovina, e soprattutto Le Paradou, il suontuoso giardino dove si svolge la parte centrale dell’azione.

Superato l’incanto iniziale, però, si comincia ad accorgersi delle diverse chiavi di lettura del film.

L’amante del prete: qual è il messaggio?

Tratto da un romanzo minore di Émile Zola, La Faute de l’abbé Mouret, L’amante del prete è un film pregno di significati simbolici. Vi è, innanzitutto, un chiaro messaggio anticlericale, se non addirittura anti-religioso. Vi è un richiamo alla Genesi, quando la giovane Albine, protagonista femminile della storia, conduce l’amato ai piedi dell’albero proibito del giardino. E, scavando appena sotto la superficie, vi è un richiamo freudiano all’eterna lotta tra il Super-io, che spinge l’uomo ad elevarsi a costo di sacrificare i propri desideri, e l’Es, sede degli istinti primordiali.

L’amante del prete: la storia

In un villaggio rurale nel sud della Francia, giunge un nuovo sacerdote, il giovanissimo reverendo Serge Mouret (Francis Huster). Accolto nella diocesi da una premurosa perpetua e da un frate bigotto e misogino, il giovane prete è invece un uomo di buon cuore, profondamente devoto alla Madonna e dedito a continue penitenze e digiuni. Di costituizione delicata, il giovane finisce per compromettere ulteriormente la propria salute a causa delle continue privazioni.

Un giorno, il giovane sacerdote si reca in visita presso le Paradou, un antico castello ormai quasi in rovina il cui amministratore, Jeanbernat (l’italiano Fausto Tozzi), ha da poco avuto un attacco cardiaco. Il fervente religioso spera invano di riuscire a convertire il vecchio Jeanbernat, filosofo anticlericale ed ateo convinto. Lì, però, Mouret vede per la prima volta Albine, la giovane nipote di Jeanbernat (Gillian Hills). Rimasta orfana ancora bambina, ella è stata affidata allo zio, che l’ha lasciata crescere completamente priva di restrizioni, libera di scorrazzare per il meraviglioso giardino del castello.

Serge Mouret è profondamente turbato dalla bellezza della fanciulla, che teme possa farlo cadere in tentazione. A causa di questa nuova angoscia e del prolungato digiuno, cade preda di una violenta febbre. Per potersere prendere cura, lo zio, medico del paese e intimo amico del vecchio Jeanbernat, lo porta proprio a Le Paradou, dove la giovane Albine insiste per prendersene cura personalmente.

Il prete e la fanciulla

Dopo alcune settimane in cui la giovane donna rimane accanto a lui, assistendolo nei deliri febbrili, il giovane prete guarisce completamente. Ma la sua memoria è compromessa: non ricorda più chi sia, né tantomeno ha memoria del suo sacerdozio. Il suo unico ricordo sono le cure della bella Albine. La ragazza conduce Serge nel proprio regno, il lussureggiante giardino del Paradou. Giorno dopo giorno, tra i due giovani nasce un amore tenero e intenso, e inevitabilmente si lasciano travolgere dalla passione. Finché un giorno, cercando rifugio da un violento temporale, i due si trovano nei pressi di uno squarcio nel muro del giardino, da cui è possibile scorgere il villaggio e il campanile della chiesa. A quella vista, Serge recupera la memoria e, disgustato dal peccato commesso, respinge immediatamente Albine e fa ritorno al suo uffizio.

Tornato ai vecchi doveri, Serge non riesce tuttavia a dimenticare l’amata né a perdonarsi, ed inasprisce le proprie penitenze. Albine va a trovarlo in chiesa e tenta di ricondurlo a sé, ma il giovane sacerdote la respinge con grande freddezza. Abbandonata e in attesa di un figlio, la ragazza dedice di uccidersi. Sarà proprio Serge, in preda al dubbio e alla colpa, a celebrare il suo funerale.

Uomo e natura

È evidente come il giovane sacerdote, che sembra trovare la gioia nella mortificazione dei propri desideri, sia l’emblema del disperato bisogno dell’uomo di elevarsi ad ogni costo sopra la propria natura. Solo smarrendosi, perdendo i propri ricordi e la propria identità, egli può ritrovare, seppur per un breve periodo, l’uomo vivo e desiderante dentro di sé.

La fanciulla, selvativa come il giardino dove trascorre tutto il suo tempo, è totalmente libera e priva di inibizioni. Al contrario di Serge, ella non reprime mai i propri desideri. Non c’è pudore in lei nel mostrare i propri sentimenti, ed è sempre lei ad iniziare l’amato ai piaceri carnali. Le due opposte nature dell’uomo, dunque, quella spirituale e sublime e quella primordiale e istintiva, si uniscono nell’incontro tra i due giovani amanti. Ma il loro idillio non è destinato a durare, e la brusca separazione è causa di un dolore mortale per entrambi.

Cornice di questo amore al di là di ogni regola, il giardino meraviglioso e selvaggio, dove l’uomo è libero di tornare a sua volta alla natura. Novelli Adamo ed Eva, Serge e Albine vivono all’interno del loro Eden personale come in una bolla dove nessuna legge umana ha valore. Passano i giorni, eppure sembra che i due giovani non abbiano mai bisogno di nutrirsi né di riposare: l’unico bisogno che li muove è la passione che li spinge l’uno verso l’altra, e che spinge entrambi a ricercare i luoghi più nascosti del giardino.

Un film coraggioso

L’aspra critica alla religione e il delicato erotismo che permea la pellicola rendono L’amante del prete un prodotto audace per l’epoca in cui fu girato. Sorprende che il film sia arrivato in Italia, anche se non tradotto. Tuttavia, il lavoro di Franju fu accolto tiepidamente all’epoca, e ancora oggi è ricordato come una delle opere più deboli del regista francese. Il film merita comunque una visione da parte dei moderni appassionati di cinema d’autore, che vi ritroveranno atmosfere che, nel bene o nel male, sono del tutto assenti dal cinema contemporaneo.

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