Violenza contro le Donne: i film che raccontano gli abusi

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violenza sulle donne

Oggi 25 Novembre 2020 è la Giornata che ricorda la Violenza contro le Donne, che va sempre denunciata e combattuta, per insegnare che è solo l’amore la via giusta per essere felici, e che donarsi ad un’altra persona ti fa maturare e ti riempie il cuore di gioia e di pace. I veri Uomini sanno proteggere la propria innamorata, e sono i primi che denunciano e lottano mano nella mano contro ogni forma di violenza.

Violenza contro le Donne: quali sono i film che trattano dell’argomento?

Sono diverse le pellicole cinematografiche che trattano il tema della Violenza contro le Donne, il primo è Il colore viola di Steven Spielberg, poi Sotto accusa di Jonathan Kaplan, Pomodori verdi fritti alla fermata del treno di Jon Avnet, Millennium–Uomini che odiano le donne di David Fincher , Dark Places–Nei luoghi oscuri di Gilles Paquet-Brenner, Elle di Paul Verhoeven, Big Little Lies- Piccole grandi bugie di David E. Kelley, The Handmaid’s Tale di Bruce Miller, Nome di donna di Marco Tullio Giordana, Non mentire di Gianluca Maria Tavarelli, Unbelievable di Susannah Grant, L’uomo invisibile di Leigh Whannell.

Steven Spielberg-Il colore viola (1985)

Una gigantesca Whoopi Goldberg, la regia di Steven Spielberg, un romanzo premio Pulitzer per la narrativa nel 1983, il tema della violenza di genere che si intreccia con la questione razziale. Il colore viola di Alice Walker è uno dei titoli più importanti di fine ‘900. E, a partire da quel romanzo epistolare durissimo ma allo stesso tempo delicato, Spielberg ha girato un mélo con una Goldberg in stato di grazia nei panni di Celie, afroamericana che subisce abusi per oltre quarant’anni, prima da parte del padre e poi del marito. La sua storia di donna depredata di ogni cosa dalla sessualità alla maternità, fino alla legittimità razziale diventa liberazione quando esce dal privato, si fa pubblica e si trasforma in Storia. Perché “non si può essere felici provando odio”.

Jonathan Kaplan: Sotto accusa (1988) 

Da uno stupro realmente avvenuto in un bar di New Bedford, Massachusetts (era il 1983, la vittima si chiamava Cheryl Araujo), il legal drama che vede protagonista Jodie Foster nei panni di Sarah Tobias, personaggio entrato negli annali del cinema fin dalla sua comparsa sullo schermo. La sequenza della violenza sulla giovane donna contro il flipper, considerata a suo tempo fin troppo disturbante per il suo realismo, è forse il primo momento nella storia di Hollywood in cui il tema viene rappresentato in tutta la sua traumatica verità. Il merito della forza del film (e del suo successo) va soprattutto alla vibrante adesione al ruolo di Jodie Foster, premiata con il primo Oscar della sua carriera. Il bis, grazie al Silenzio degli innocenti di Jonathan Demme, arriverà solo tre anni dopo.

Jon Avnet-Pomodori verdi fritti alla fermata del treno (1991)

Dietro quella che all’apparenza pare una semplice commedia al femminile, si nasconde il ritratto del cuore profondo dei “Southern” States, dove le donne, all’inizio del secolo scorso, erano schiacciate da conformismo e (soprattutto) machismo. Andando avanti (con le straordinarie mattatrici Jessica Tandy e Kathy Bates) e indietro (dove si segnala una stupenda Mary-Louise Parker) nel tempo, quello che oggi è diventato un piccolo grande classico usa il riscatto dalla subordinazione e dalla violenza come spunto per una saga transgenerazionale commovente e, a suo modo, profetica. Fino a un finale che risponde ad ogni abuso con una mossa davvero geniale. “Il segreto è nella salsa”: chi l’ha visto (e amato) sa di cosa stiamo parlando.

David Fincher-Millennium–Uomini che odiano le donne (2011) 

La saga Millennium di Stieg Larsson è il capostipite del nordic noir, tanto che ne sono anche derivati tre film svedesi e un paio hollywoodiani. Merito del personaggio memorabile che lo scrittore è riuscito a costruire con Lisbeth, hacker 24enne dolorosamente cyberpunk con un’intelligenza informatica fuori dal comune, tormentata e vittima di violenza da parte del suo stesso tutore, al quale si ribellerà. A lei hanno dato vita sullo schermo Noomi Rapace, Rooney Mara e Claire Foy. A fare da sfondo a tutto il thriller, che la protagonista femminile cercherà di risolvere insieme al giornalista Mikael Blomkvist, nei libri ci sono dei dati reali che riguardano la violenza sulle donne: “In Svezia il 18% delle donne al di sopra dei 15 anni è stato minacciato almeno una volta da un uomo”, si legge nell’incipit della prima parte del romanzo.

Gilles Paquet-Brenner–Dark Places– Nei luoghi oscuri (2015)

Dopo North Country-Storia di Josey, con cui nel 2006 ottenne la sua seconda nomination agli Oscar dopo la statuetta vinta per Monster (2003), Charlize Theron torna a una storia di abusi e soprusi oscura come vuole il titolo. I “dark places” sono quelli dell’infanzia in cui la protagonista è costretta a tornare, mentre una nuova storia di pedofilia e orrori si affaccia sulla sua vita presente. Come a dire che la violenza è un eterno ritorno, un cordone da recidere una volta per tutte. Dal romanzo Nei luoghi oscuri di Gillian Flynn (l’autrice bestseller dell’Amore bugiardo–Gone Girl, da cui il filmone di David Fincher), un altro banco di prova per le corde sofferte e insieme tostissime di Theron. In una delle sue performance più dure di sempre.

Paul Verhoeven-Elle (2016) 

Non sono mancate le polemiche già a partire dal Festival di Cannes 2016, dove è stato presentato, di fronte al ritratto che Paul “il provocatore” Verhoeven ha offerto a Isabelle Huppert. Cioè quello di una donna che viene violentata da un vicino di casa, e che di quel vicino imprudentemente si innamora. Troppo (anche per questa lista di titoli)? Tutt’altro. Perché, grazie soprattutto all’interpretazione dell’attrice (giustamente nominata all’Oscar), vediamo una donna nel pieno controllo di sé stessa, perfettamente consapevole di ciò che è il dolore, ma anche di quello che significa l’indipendenza delle proprie scelte. Senza vittimismo ma con grande (e coraggiosa) umanità. Che sfida qualsiasi convenzione e retorica.

David E. Kelley-Big Little Lies–Piccole grandi bugie (2017)

Bruce Miller-The Handmaid’s Tale (2017)

Nel 1985 Margaret Atwood aveva immaginato la distopia sessista di Gilead, in cui le donne fertili rimaste sono diventate uteri che camminano per i comandanti di quel delirante regime teocratico e le loro mogli sempre più sterili. La serie creata da Bruce Miller nel 2017 ha dato un volto indimenticabile alla sua eroina June/Difred (ossia proprietà di Fred), quello di Elisabeth Moss, e ha tradotto in immagini terrificanti quelle violenze sessuali mascherate da cerimonie ufficiali e pseudo religiose. Di più: al Racconto dell’ancella ha dato un seguito e, con la terza stagione, al problema di come essere una donna in un patriarcato ha affiancato una nuova questione: quanti modi ci sono di essere un uomo che odia le donne? Nel frattempo l’uniforme della schiavitù riproduttiva, il mantello rosso e la cuffia immacolata di Handmaid’s Tale, è diventata il più potente costume di protesta dai tempi di V per Vendetta.

Marco Tullio Giordana-Nome di donna (2018) 

Rileggendo fatti di cronaca passata ma tristemente ancora attuale (erano gli anni ’90, pare oggi), Marco Tullio Giordana illustra la lunga storia di abusi di potere e non solo da parte del direttore di una residenza per anziani in Brianza (un magistralmente viscido Valerio Binasco). Ne fa le spese anche l’ultima dipendente arrivata nella struttura, l’assistente Nina (Cristiana Capotondi). Che però è l’unica che decide di alzare la voce e denunciare l’“orco”. Uscito in pieno ciclone Weinstein, il film traccia un profilo spietato e minuziosamente documentato di tante storie nascoste (ma nemmeno troppo) nel mondo del lavoro italiano. Nel nome di una donna che diventa, anche grazie alla coralità dell’impianto (c’è anche una meravigliosa Adriana Asti, alias la più eccentrica tra le ospiti dell’istituto), quello di tutte.

Gianluca Maria Tavarelli-Non mentire (2019)

 Dalla serie british Liar con Joanne Froggatt, fu l’indimenticata Anna Bates in Downton Abbey, un remake italiano che si è rivelato uno dei prodotti più riusciti della zoppicante serialità Mediaset recente. Per il linguaggio decisamente più cinematografico della media (la regia è di Gianluca Maria Tavarelli, autore di film come Qui non è il paradiso e Non prendere impegni stasera) e soprattutto per le tante sfumature con cui viene messa in scena la vicenda della donna (Greta Scarano) che accusa l’uomo (Alessandro Preziosi) di violenza dopo un’uscita che sembrava promettere altri sviluppi. Protagonisti azzeccati, tensione costante e un buon uso del genere giallo, per sfatare tutti i pregiudizi duri a morire nei confronti di chi, nonostante tutto e tutti, trova il coraggio di accusare.

Susannah Grant–Unbelievable (2019)

Poco più di un anno fa arrivava su Netflix una serie che denunciava come lo stupro venga trattato diversamente dalle forze dell’ordine rispetto ad altri crimini gravi. “Nessuno accusa mai una vittima di una rapina di mentire”, osservava uno degli avvocati. “Ma quando si tratta di violenza sessuale?”. Ecco, Unbelievable non usa la violenza sessuale solo come spunto narrativo, ma, grazie a un cast sublime (tra cui spiccano Kaitlyn Dever e Toni Collette) e a una grande sceneggiatura, adatta una storia tristemente vera e affronta il tema con la serietà, la gravità e la grazia che merita, riuscendo anche a trasformare la caccia a uno stupratore seriale in un grande prodotto televisivo.

Leigh Whannell–L’uomo invisibile (2020) 

Altro giro, altra Elisabeth Moss. Uno dei romanzi dell’orrore più famosi di sempre (di H.G. Wells), che aveva già ispirato moltissimi film classici e contemporanei più o meno di culto, viene completamente ribaltato, nella rilettura che ne fa l’australiano Leigh Whennell (già creatore della saga di Saw). L’horror stavolta non è fine a sé stesso, ma diventa lo specchio della realtà MeToo di oggi, in cui tante donne non cedono più all’abuso (in questo caso soprattutto psicologico) da parte di uomini che troppo spesso restano, metaforicamente, invisibili. E che invece, come stalker di cui non ci si può più liberare, diventano mostri nell’ombra. La prova totale della protagonista, da vittima a scream queen, fa il resto. E, come sempre, lo fa bene.

Vi volevo segnalare all’ultimo un film Italiano che mi ha molto colpito per la durezza e la crudeltà di una realtà che molte volte nascondiamo come se non esistesse, sto parlando del film Non Ti Muovere di Sergio Castellitto.

Sergio Castellitto-Non ti muovere (2004)

Timoteo (Sergio Castellitto), un affermato e dignitoso chirurgo, sposato con una bella donna, perfetta e impeccabile (Claudia Gerini), non esita però a violentare una donna. La donna è proprio Italia è una prostituta disperata e fragile. Così comincia la relazione extraconiugale di Timoteo, una relazione che è come una fuga da una vita troppo
borghese e ovattata. Un uomo sporco, proprio come Italia, e vile: oscilla confusamente tra le due relazioni, eternamente sospeso e indeciso, squilibrando sé stesso e chi gli sta attorno. Un film introspettivo perché difronte alla possibile morte della figlia (la vittima dell’incidente iniziale), ripercorre i quindici anni passati(età della figlia), riflettendo sulle bugie, i tradimenti, gli sbagli e i sensi di colpa.

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