L’Avaro
Parliamo di Molière. Qualche giorno fa, è andato in scena al teatro Manzoni di Monza, uno dei super classici del teatro ovvero L’avaro, tra le opere più importanti e conosciute del maestro francese. Un classico interpretato e rivisitato nei secoli dei secoli, dalla seconda metà del 1600, circa, quando venne scritto. Questa volta la rivisitazione, comunque in linea con la versione originale, si avvale del talento e dell’esperienza di Alessandro Benvenuti, nel ruolo dell’avaro ( in tutti i sensi) Arpagone. L’attore toscano è uno di quelli dei Giancattivi. Il trio comico, con Francesco Nuti e Athina Cenci, faceva “morire” dalle risate a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. La regia della rappresentazione è di Ugo Chiti, mentre aiuto regista è Chiara Grazzini. Si tratta di una produzione Arca Azzurra teatro.
Lo Spettacolo
Benvenuti è convincente e pure simpatico nel ruolo di Arpagane. Convincente e simpatico vista la cura del dettaglio nell’interpretazione che alleggerisce l’aridità di spirito del personaggio descritto da Molière, che voleva fare una critica alla società borghese francese che in quegli anni si stava affermando come classe sociale. Ai tempi di Molière i ritmi erano molto più lenti e la rivoluzione borghese in Francia arrivò nel 1789. Però Molière nel 1668, e siamo ancora nell’”antico regime”, mette già al centro una trasformazione culturale che si concretizzerà nel tempo. La storia girà infatti attorno al personaggio di Arpagone ricco borghese avaro, disposto a tutto, pure a contrattare sugli affetti, per accumulare denaro. Centrale nell’opera è il tema dei matrimoni combinati secondo l’interesse economico, come lo strozzinaggio. Lo stesso Arpagone si arroga il diritto di scegliere mariti e mogli ai suoi due figli che comunque si ribellano alle scelte del padre, anche grazie all’aiuto della fedele e scaltra governate Frosina. Molto sinteticamente la trama è questa, anche se l’opera è molto più complessa e la versione originale si divide in cinque atti.
Nella rivisitazione di Chiti, la figura centrale in assoluto è quella di Arpagone, e i costumi riprendono quelli dell’epoca, mentre la scenografia è sui toni del nero, che richiama ad un’atmosfera dark. Benvenuti caratterizza il personaggio in tutti i suoi aspetti, dalla recitazione, alla gestualità, fino alla camminata goffa del suo Arpagone. Un avaro diverso dalla versione cinematografica più famosa e interpretata da Alberto Sordi e Laura Antonelli, dove Sordi sottolineava un’avarizia un po’ all’italiana mentre Laura Antonelli manteneva quell’astuzia e quello spirito materno, così tipicamente femminili. Lo spettacolo che dura circa un paio d’ore riesce grazie alle capacità recitative di Benvenuti a descrivere quelli che sono i vizi di una classe sociale, ovviamente estremizzandoli. Il finale è comunque dalla parte del cuore e con un effetto boomerang per lo stesso Arpagone, vittima della sua debolezza caratteriale.
L’avaro di Benvenuti in quanto grottesco al punto giusto, senza scivolare nella macchietta, risulta in fondo comprensibile e comunque sincero. Arpagone non si nasconde dietro facili seduzioni, o trame articolate fatte alle spalle dei suoi cari. E’ semplicemente se stesso e ne va fiero, nonostante che le “ragioni” del cuore e della solidarietà, vincano sull’avarizia dei sentimenti.
Interessante anche la rappresentazione del ruolo della donna, che nell’opera di Molière si fa combattiva. Irriverente come nel caso della figlia dell’avaro, Elisa; astuta e materna quello di Frosina, dolce ma “resistente” quello di Marianna giovane promessa sposa, per “decisione superiore”, del vecchio Arpagone.
Conclusioni
Proprio grazie allo stile surreale che ne caratterizza le scelte artistiche, Benvenuti/ avaro è paradossalmente straordinariamente realistico, in quanto non estremizzato e quindi “surreale”, come spesso siamo. E’ un despota, ma senza spada. Non vuole scendere a compromessi, ma lo fa senza aggressività verbale. Convincente anche il lavoro degli attori che interpretano questo classico: Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti, Lucia Socci, Paolo Ciotti, Gabriele Giaffreda, Elisa Proietti.
Afferma Chiti nelle note di regia: “Contaminazioni a parte, Arpagone resta personaggio centrale assoluto, mantenendo quelle caratteristiche che da sempre hanno determinato la sua fortuna teatrale. Semmai qui si accentuano alcune implicazioni psicologiche, si allungano ombre paranoiche, emergono paure e ossessione assolutamente “moderne”.
Riflettendo, purtroppo avari lo siamo un po’ tutti, e a volte generosi solo a parole e non nei fatti. Siamo confinati nel nostro orticello di costruzioni mentali, grande quanto un fazzoletto che forse difendiamo senza consapevolezza. Il nostro ego infinito e infinitesimale, si sente minacciato? Un po’ di vera generosità non guasterebbe, partendo dai piccoli gesti quotidiani, o la fine verso “l’avarizia” sarà inevitabile. A quel punto non sarà più possibile rialzarsi e camminare ancora, come succede, nello spettacolo, ad Arpagone.
Lo spettacolo si avvale anche del lavoro di Marco Messeri, alle luci; di Vanni Cassori che ha curato le musiche, di Giuliana Colzi per la ricerca e la realizzazione dei costumi. Ugo Chiti, oltre alla regia si occupa pure del libero adattamento, ideazione, spazio e dei costumi.
Per le date dei prossimi spettacoli: www.arca-azzurra.it