Wes Anderson e il cinema del colore

Un viaggio nella produzione del maestro del colore e delle simmetrie

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Immaginario, surreale, cromatico, visivamente perfetto. Quando si parla del cinema di Wes Anderson si devono tenere in considerazione queste 4 caratteristiche. Il cinema del sogno, dell’ immaginifico si traduce in un dualismo che caratterizza gli appassionati di cinema di tutto il mondo. C’è chi lo ama, ma c’è anche chi lo odia per le sue messe in scena, che in certi casi possono sembrare eccessivamente rarefatte. Da questo punto di vista contribuisce anche il contrasto dei colori, che, ad un occhio meno esperto può dare quell’idea di finto che tutti i registi cercano di evitare. Il cinema di Wes Anderson è narrazione del grottesco, di vicende che ricadono sempre nell’assurdo, anzi quasi nel comico.

I Tenenbaum (2001)

Un cinema simmetrico e cromatico

La ricerca continua di simmetrie rendono Wes Anderson uno dei registi più, esteticamente perfetti del cinema mondiale. Simmetrie, cromatismi, tutte queste caratteristiche dilagano nel cinema del regista texano e a volte vengono portate persino allo stremo. La chiave dei film di Anderson è proprio lì. Nella tecnica. Tecnica sempre e comunque accompagnata da sceneggiature di altissimo livello che seguono i personaggi nelle loro continue peripezie e disavventure. I protagonisti di Wes Anderson si perdono, si ritrovano, si scontrano e si rincontrano, in viaggi dalle ambientazioni oniriche e fantastiche.

Wes Anderson: quando lo stile diventa un firma

Una scena di Le avventure acquatiche di Steve Zissou cromata in azzurro del regista Anderson
Le avventure acquatiche di Steve Zissou

Niente è lasciato al caso nel cinema di Anderson, a partire dall’ inquadratura, arrivando ad un particolare presente all’ interno dei costumi di scena, che richiama a un nuovo tipo di allegoria. Forse è proprio questo l’ unico modo per poter analizzare in modo semplice e concreto la produzione del regista, cercando di rifarsi in qualche modo al sistema delle allegorie. Ogni frame, ogni inquadratura, ogni movimento di macchina, si ricollega a un messaggio visivo ed emozionale che il film vuole dare. E’ una firma del regista che, in un modo o nell’altro si rende riconoscibile al pubblico. Ciò che rende unici i film di Wes Anderson è proprio la loro capacità di essere facilmente riconoscibili. Tutti, guardando Le avventure acquatiche di Steve Zissou, Grand Budapest Hotel e I Tenenbaum, riescono a rendersi conto degli elementi che accomunano questi film. E’ la palette cromatica a regnare, in tutte le sue sfumature e i suoi complementari.

Un gioco di sfumature emotive

Momenti di ilarità si sovrappongono a commozione ed ironia, creando un gioco perfetto di sfumature. I paradossi che si vengono a creare navigano in maniera perfetta nella narrazione cercando di inserirsi in un quadro di eticità e moralità che in certi casi risulta discutibile. L’atmosfera barocca non infastidisce mai ma diventa parte integrante della storia come nel caso di Grand Budapest Hotel, capolavoro indiscusso di Wes Anderson.

Wes Anderson e Jude Law sul set di ‘Gran Budapest Hotel’

Wes Anderson: un regista da Odi et Amo

Se da un lato abbiamo una fetta di pubblico che ama il suo lavoro,il tipo di fotografia e le sue narrazioni frenetiche e paradossali, dall’altro abbiamo persone che reputano il suo lavoro troppo estetico. Un’ estetica che a volte, tende a distrarre lo spettatore dal fulcro del film, ovvero la narrazione. In realtà il lavoro sui colori, sulla simmetria e sulle inquadrature, nei lavori di Wes Anderson, risultano protagonisti quanto la storia. La tecnica è parte integrante della storia che senza di essa, non avrebbe senso di esistere. La simmetria diventa un modo per far relazionare i personaggi allo spazio che li circonda, il colore un modo per chiarire le loro sensazioni ed emozioni. Anche se in maniera secondaria tutto risulta essere a favore della miglior comprensione del racconto e delle dinamiche presenti all’interno di essa.

Quando il cinema diventa composizione

Ciò che colpisce di Wes Anderson è proprio la volontà di trasformare il cinema in composizione. Un quadro che ricordi quasi una tela di un pittore con colori pastello sfumati, ma allo stesso tempo incredibilmente complementari. Tutto è perfettamente incastrato nel cinema di Anderson e la cosa migliore è che il regista, in tutti i modi, cerca di non farcelo vedere.

Il lavoro è sull’ invisibile.


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