Uno zio Vanja
Tornando ai classici, si parla di Cechov . Termina, per ora, la lunga tournée di Uno zio Vanja, una delle opere più importanti del poliedrico scrittore, giornalista, medico e drammaturgo russo. Lo spettacolo si avvale della regia di Vinicio Marchioni. L’adattamento teatrale è di Letizia Russo. La rappresentazione è interpretata da Vinicio Marchioni (zio Vanja) e Francesco Montanari (dottor Astrov).
A Milano lo spettacolo è andato in scena al Tetro Franco Parenti dall’8 al 17 marzo e ha calcato, con successo, i palchi dei più importanti teatri italiani.
Con Marchioni e Montanari, interpretano l’opera di Cechov: Lorenzo Gioielli, Milena Mancini, Alessandra Costanzo, Nina Torresi, Andrea Caimmi e Nina Raia. Le scene sono di Marta Crisolini Malatesta, i costumi di Milena Mancini e Concetta Ianelli, le musiche di Pino Marino e le luci di Marco Palmieri. La produzione è di Khora.teatro, mentre coproduttore è il Teatro della Toscana. Lo spettacolo è anche prodotto da Alessandro Preziosi, Tommaso Mattei e Aldo Allegrini.
Sinossi
“Cosa resta delle nostre ambizioni con il passare della vita?” Ecco la domanda che si pone Cechov quando scrisse l’opera durante l’impero zarista russo. Cechov cercò di dare uno spaccato della società in cui viveva. Una società statica che assomiglia molto alla nostra. E nella regia di Marchioni; Uno zio Vanja, anche se mantiene la struttura del testo di Cechov, può essere tranquillamente ambientato nell’Italia dei nostri giorni . Affermerei che la nostra situazione di “paralisi”, come direbbe Joyce, forse è pure peggiore di quella della Russia zarista. Ricordiamo che Cechov nasce povero e diventa ricco in una società dove c’era poca mobilità sociale.
La storia narra la vicenda di una famiglia borghese che risiede in un paese distrutto da un terremoto, dove i personaggi vivono un po’ alla giornata, nella malinconia di un tempo perduto e sopraffatti dall’inerzia. Il titolo originale dell’opera è Zio Vanja e venne scritto, da Cechov, nel 1897. La scena è ambientata nella tenuta del professor Serebrijakov , vecchio, colto ed egocentrico; ma la proprietà è gestita dal cognato Vanja. All’arrivo del professore, che vive in città con la giovane e bella moglie Elena, tutto si scompone.
Vanja si rende conto che il professore, che un tempo venerava, è inconcludente e non capisce perché una giovane donna come Elena si sia potuta innamorare di un uomo così poco stimabile. Vanja invaghito da tempo della donna, le dichiara il suo amore, ma da quest’ultima viene rifiutato.
I personaggi hanno tutti dei limiti caratteriali. Sono banalmente umani. Lo stesso dottor Astrov, bello e affascinante, sfoga le sue frustrazione nell’alcool, suscitando i rimproveri di Sonja, figlia di primo letto del professore e segretamente innamorata del bel dottore. Ma il medico si invaghisce, pure lui, di Elena che è ormai rassegnata a una vita con un uomo che stimava ma che ormai non ama più. Elena a quel punto prega il marito di lasciare la tenuta, un tempo trasformata in teatro, per salvare il matrimonio. Serebrijakov decide quindi di vendere la proprietà, creando un grande sconforto in Vanja che spara al cognato, ma senza successo.
L’ultimo parte dell’opera vede Vanja disperato, deciso a tentare il suicidio, ma Astrov e Sonja lo convincono a non rinunciare alla vita. Il dramma si conclude con un accordo tra Vanja e il professore. La tenuta non sarà venduta e tutto rimarrà come prima. Sonja sarà l’ultimo personaggio a parlare in scena, con un monologo, dove spera in una vita ultraterrena più soddisfacente.
Conclusioni
Nella rivisitazione di Russo per la regia di Marchioni, si respira questa atmosfera di paralisi e di insoddisfazione, sia per quanto riguarda i rapporti parentali che sulla possibilità di ambire ad un futuro diverso, soprattutto dopo un terremoto. L’incapacità è però soggettiva, gli uomini si mostrano rassegnati al loro destino fatto di finti ideali, che diventati deludenti. Si abbandonano alla disperazione e allo sconforto e non all’azione. Lo stesso gesto estremo di Vanja nei confronti del cognato ristabilisce un equilibrio iniziale e che si sarebbe voluto modificare.
Il messaggio di Cechov è una critica alla società borghese noiosa e convenzionale della sua epoca, ma che non si distanzia molto da quella della nostra società contemporanea. Ci lamentiamo, ma poi non facciamo niente di concreto per modificare certi meccanismi che si ripetono uguali all’infinito.
Come lo stesso Marchioni scrive nelle note di regia: “Cosa resta delle nostre ambizioni con il passare della vita? E se fossimo in Italia oggi, anzichè nella Russia di fine 800? La nostra analisi del capolavoro cechoviano parte da queste due domande, che aprono squarci di riflessioni profondissime, attraverso quello sguardo insieme compassionevole e cinico e ironico proprio di Anton Cechov finalizzato a mettere in scena gli uomini per quello che sono, non per quello che dovrebbero essere”.
Spettacolo che offre molti spunti di riflessione. Nulla di grandioso o che proietti in una dinamica eroica. Tutti i personaggi sono banalmente perdenti, prigionieri di una semplice quotidianità che ci appartiene. L’attualità è evidente anche se forse in Uno zio Vanja il valore aggiunto rispetto ai nostri giorni è che un po’ di solidarietà tra spiriti affini ancora si percepisce. Noi siamo diventati “paralizzati”, ma anche molto più soli.