Trunchell, Etc.: “Voglio demolire i tabù”

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Cover di Trunchell Etc

Come alcuni registi degli anni ’80, anche Trunchell, Etc. utilizza suggestioni horror per lanciare messaggi sociali di un certo spessore.

Quando Trunchell, Etc. scopre la musica?

“In tenera età, grazie a mio padre. Mi faceva ascoltare musica rock: Pink Floyd, Led Zeppelin, U2. Tutta la scena un po’ più datata, insomma. In seguito è subentrato il metal e mi sono avvicinato a band come Slipknot, Korn e Marilyn Manson. Nel 2010, all’età di 10 anni, inizio a suonare la batteria e dal 2012 prendono corpo le prime band alternative rock, metal e punk. Eravamo sulla scia dei Blink, Sum 41… era un po’ quella l’ispirazione. Il progetto attuale, quello di Trunchell, Etc., nasce nel 2017. Ho deciso di cambiare genere e, anche se non piace categorizzare la mia musica, posso dirti che faccio un rap che strizza l’occhio al cantautorato e conserva le radici rock e metal”.

Raccontami un po’ il nome d’arte che hai scelto.

“Trunchell, Etc. riprende innanzitutto il mio cognome, Truncellito. Mi chiamavano ’Trunc’ e ho tenuto quella parte. ‘Hell’ è il mio personale inferno, quello che resta dopo un ipotetico Armageddon: una sorta di visione del futuro che sono riuscito a razionalizzare attraverso questa immagine. ‘Etc.’ è tutto quello che l’uomo non può concepire e che tende a banalizzare. Una sorta di critica alla società, insomma”.

Scusa, ma devo chiedertelo: perché uno che cresce a pane e rock decide di passare al rap?

“Come ti dicevo prima, non riesco a inquadrarmi in un genere. La componente rap è evidente, ma la maggior parte delle persone mi incasellano tra gli artisti che fanno ‘horrorcore’, un sottogenere del rap. Questo perché faccio brani molto pesanti, sia a livello di lirica che di strumentale… e per pesante intendo che ci infilo dentro citazioni bibliche, riferimenti esoterici, cinematografici e letterari. Sono passato a Trunchell, Etc. per avere più libertà di scrittura, così da mettermi a nudo attraverso i testi. E la modalità più semplice per farlo era il rap, che ti porta via anche meno tempo in sala d’incisione”.

Potevi fermarti al rap, ma hai scelto l’”horrorcore”. Perché?

“Io non sono un grande ascoltatore di rap, soprattutto classico, quello che riassume i rapper di maggior spicco. Mi piacciono però le contaminazioni. Nei primi anni 2000 ascoltavo Slipknot, Korn e Limp Bizkit, che offrivano un grandissimo crossover di rap, metal e hard rock. Tra l’altro, grazie proprio all’”horrorcore”, riesco a unire le passioni per cinema e letteratura con la passione per la musica. E visto che sono un amante dell’horror cinematografico, volevo riportare quegli scenari nella musica. Nei brani datati si sentiva più questa vena horror, sia a livello strumentale e lirico. Non c’erano parolacce o volgarità, non sono quel tipo di rapper, ma c’erano contenuti e spunti di riflessione”.

Credi che in un Paese come il nostro, fortemente influenzato dalla morale cattolica, ci sia spazio per i tuoi contenuti?

“È una domanda difficilissima e ti confesso che me la pongo anch’io. Penso che ci voglia tantissima intelligenza per concepire l’horror, che non è un genere di primo impatto. Per concepirlo a fondo serve un bagaglio culturale abbastanza presente. Hai bisogno di tanti spunti. Spunti che possono arrivare dall’arte, dalla fotografia o dalla letteratura. Devi analizzare la realtà a 360° e questa è una cosa che non tutti fanno in Italia. E non solo per quanto riguarda l’horror, ma anche per quanto riguarda altre congetture. Di solito si tende a non analizzare le cose nel profondo e a rimanere in superficie, perché così è più facile. Ti propinano una cosa e tu, invece di documentarti, tendi a minimizzare perché è più facile capirla e spiegarla agli altri”.

Quindi, secondo te, è un nostro problema di matrice culturale.

“Non voglio fare di tutta l’erba un fascio. È ovvio che anche in Italia c’è chi apprezza il genere e si informa, così come nei Paesi d’oltreoceano c’è il bigottismo. Dico solo che in Italia si è molto più radicati”.

Parlami del tuo nuovo singolo “Truman Show”.

“’Truman Show’ è un flusso di coscienza che ho realizzato in una sera. Si tratta di un’esperienza personale: il mio primo incontro con l’ansia e la paranoia. È la prima volta che mi metto a nudo in un brano e faccio prevalere la persona al personaggio. In ‘Truman Show’ analizzo il fatto che molte persone, me compreso, non riescano ad esternare i propri sentimenti. Questo brano è quindi un invito rivolto alle persone che da anni soffrono di problematiche legate ad ansia e paranoia. Problematiche che potrebbero sfociare in ansia e depressione. L’invito è quello di parlare del problema alle persone a noi vicine e poi, qualora ce ne fosse bisogno, di comunicarlo a uno psicologo”.

Altro argomento tabù, mi viene da dire.

“Anche quello dello psicologo è un argomento tabù, qui in Italia. Pensiamo che chi si rivolge a uno psicologo sia pazzo e quindi la gente prova a risolvere il problema in autonomia. Questo, però, non fa che aggravare ancor di più la situazione. Con ‘Truman Show’ voglio portare l’attenzione sul problema”.

In pratica stai tentando di demolire le barriere che noi puritani moderni abbiamo eretto. Ti dirò, la cosa mi garba molto.

“Con la musica voglio trasmettere la mia visione delle cose. Visione che ritengo razionale. Spero che la gente che mi ascolta tenda ad analizzare ciò che dico, così da rifletterci. Quelli di cui abbiamo parlato sono argomenti che non vengono trattati. La gente tende a non considerarli. Io voglio portare questi argomenti alla luce, così che la gente possano analizzarli”.

Sono curioso di sapere come introdurrai l’”horrorcore” nei live. Dobbiamo aspettarci uno show in stile Alice Cooper? Dimmi di sì, ti prego.

“Intanto spero davvero che ricomincino al più presto i concerti dal vivo, perché mancano un sacco. La mia idea è quella di creare degli show particolari. Non il solito live con il deejay e io che canto sulle basi. Vorrei portare in tour una band che suoni i miei brani dal vivo e mi piacerebbe che lo show fosse incentrato sull’horror e sul macabro. Vorrei poi utilizzare trucchi di scena e avere una scenografia a supporto. Ecco, questo sarebbe il mio sogno”.

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