“The World In Air Quotes” è il terzo album dei The God In Hackney. È un album che risuona con le ansie del momento, i sentimenti per il cambiamento climatico, l’isolamento, l’estinzione, l’impatto sociale della tecnologia, l’appiattimento della storia, ed è un disco che cerca di illuminare l’oscurità con risate e immaginazione surreale. L’uscita del nuovo album è prevista ad Aprile
The World in Air Quotes: la nuova formazione
Per “The World in Air Quotes”, il quartetto di base dei God in Hackney, composto da Andy Cooke, Dan Fox, Ashley Marlowe e Nathaniel Mellors, ha allargato la sua formazione ai polistrumentisti e compositori americani Eve Essex (Eve Essex & The Fabulous Truth, Das Audit, Peter Gordon & Love of Life Orchestra, Peter Zummo, Liturgy) e Kelly Pratt (Father John Misty, David Byrne/St Vincent, Beirut e Lonnie Holley tra i tanti), segnalando una nuova e ambiziosa direzione per la band. La copertina dell’album presenta un’opera d’arte dell’artista iraniano-americana Tala Madani, recentemente oggetto di una mostra sulla sua carriera al Museum of Contemporary Art di Los Angeles.
La tracklist
L’album si apre con “In the Face of a New Science”, un inno widescreen – grandi chitarre, una sezione di corni, una batteria incalzante – sul nostro pianeta che sta cambiando, dopo il quale la band cambia immediatamente tavolozza passando all’elettronica, dub-meets-r’n’b-meets-industrial-goes-goth di “Heaven & Black Water”. Segue la strana e oceanica “Bardo!”, una fusione di jazz selvaggio e skronking e breakbeat a propulsione sottomarina. Da qui in poi la corsa prende pieghe selvagge. L’album si sposta in una ballata guidata dal pianoforte sulla solitudine e l’identità online (“In This Room”); poi uno strano lamento di un quartetto di sassofoni per un pianeta caduto (“Red Star”); un numero industrial comico-occulto sui monarchi morti (“Philip”); un viaggio su strada in cui i benzinai jazz-funk si confrontano con il silenzio assordante del cosmo (“Interstate 5”); un ricordo agrodolce di amici persi nella nebbia lisergica dell’Inghilterra degli anni Novanta (“Broken Pets”); un ritorno indietro nel tempo ai cacciatori di pellicce condannati nelle Dakotas coperte di neve (“A Frozen Western”). Si conclude con i giochi assurdi dei politici, una canzone direttamente ispirata alla retorica lunatica degli avvocati di una certa amministrazione statunitense (“Non-Zero Number”).
Si potrebbe dire che la musica dei The God in Hackney ha sempre offerto una forma ultra-obliqua e onirica di commento sociale. Il loro debutto del 2014, “Cave Moderne” – nominato album dell’anno dal compianto, grande Andrew Weatherall – immaginava la società contemporanea se fosse ancora abitata dagli uomini di Neanderthal. Il suo seguito mordente-pop, “Small Country Eclipse”, era un disco sulla mentalità isolana, sul vuoto nazionalismo della Brexit e della politica populista. Ora abbiamo “The World in Air Quotes”, il loro disco più dinamico e che sfida i generi, un disco che resiste alle facili categorizzazioni, realizzato nello spirito innovativo del post-punk, alla ricerca di un’area sonora vitale e fresca. È un album sulla vita, sulla morte, sull’ecologia e sulla morsa sclerotica di una cultura impantanata nella citazione, nel riferimento e nell’immaginazione sgonfiata; un tentativo ambizioso di uscire dal buco.