Eammon Ashton-Atkinson è un giornalista che lavora come corrispondente per 10 News First. In questi giorni ha pubblicato un articolo su The Guardian nel quale racconta com’è nato il suo docu-film sui King Cross Steelers, la prima squadra di rugby al mondo ad essere composta da giocatori omosessuali. Il cronista è partito dalla sua giovinezza quando, ai tempi della scuola, un amico registrò di nascosto la sua prima esperienza con lui e poi la mostrò agli altri ragazzi per umiliarlo: una vicenda di bullismo e omofobia.
Ha dovuto convivere per diversi anni con il timore di essere additato perché gay, fino a quando la sua vita non è cambiata completamente grazie al rugby. Nel 2016 ha lasciato gli Stati Uniti e si è trasferito in Gran Bretagna per allontanarsi un po’ da una realtà che fino a quel momento lo aveva fatto prevalentemente soffrire. Ha avuto come coinquilino un atleta della squadra degli Steelers, il quale gli ha consigliato di cimentarsi con questa disciplina sportiva. Ashton-Atkinson ha voluto provare e ovviamente il primo allenamento è stato disastroso, anche perché era decisamente fuori forma e in sovrappeso. Nonostante ciò non si è arreso e ha continuato ad andare avanti e, quando ha terminato la sessione, è rimasto sorpreso nel vedere che tutti gli altri si sono fermati ad applaudirlo.
Dopo aver giocato il suo primo match, la situazione è uteriormente migliorata: ha incontrato diverse persone che, dopo avergli dato una pacca sulla spalla, gli hanno chiesto di uscire per una cena al pub. E così il giornalista ha capito che finalmente aveva trovato un posto in cui non c’era alcuna discriminazione nei confronti degli omosessuali. La ciliegina sulla torta è spuntata quando ha conosciuto, si è innamorato e si è sposato con uno dei suoi compagni di team, John.
Gli Steelers sono diventati un punto di riferimento nel rugby e nel mondo dello sport
Diventato inviato per l’Europa di 10 News, Ashton-Atkinson ha pensato di realizzare un documentario sull’esperienza degli Steelers che stava facendo da esempio nel mondo dello sport e del rugby, con gli atleti gay che si erano riuniti in quella squadra per rivendicare il loro diritto a competere come tutti gli altri dopo essere stati per anni scartati perché, a causa del loro orientamento sessuale, si erano sentiti dire che non avrebbero mai potuto appartenere a quella realtà. Il loro impegno ha fatto cadere un tabù, e non a caso ha portato nel giro di pochi anni alla fondazione di circa 80 società di rugby formate da giocatori omosessuali o impegnate nell’inclusione e, tra queste, cinque si trovano in Australia.
Gli inizi non sono stati dei migliori: durante la loro prima stagione, gli Steelers hanno chiesto di giocare almeno a 120 squadre ma in poche hanno accettato l’invito. Alcuni team pensavano che si trattasse di un “pesce d’aprile”, mentre altri hanno addirittura risposto con affermazioni omofobiche. Ma il gruppo di sportivi non si è arreso e, dopo aver disputato e ben figurato nelle prime sfide, hanno anche dimostrato che tutti siamo uguali e abbiamo la stessa dignità a prescindere dall’orientamento sessuale.
Il giornalista ha scritto su The Guardian che dopo aver seguito la prima squadra gay di rugby alla Bingham Cup, la coppa del mondo dedicata al rugby “arcobaleno”, ha pensato che ormai avesse raccolto del materiale a sufficienza per realizzare il suo film. Il suo lavoro è durato circa un anno e, quando è scoppiato il caso Israel Folau (rugbista australiano) che su Instagram ha pubblicato un post con la didascalia “l’inferno attende i gay”, ha compreso che era giunto il momento di raccontare al mondo la sua storia ma anche quella degli Steelers.
Il docu-film Steelers: the World’s First Gay Rugby Club ha ottenuto fin da subito ottimi riscontri dal pubblico ed è approdato anche al New Zealand International Film Festival. Ashton-Atkinson ha raccontato che un ragazzo gli ha scritto dopo aver visto la sua pellicola, dicendogli che da tempo è vittima di bullismo per la sua omosessualità, e che grazie al messaggio lanciato dal lungometraggio ha potuto trovare la forza di andare avanti e di recuperare la speranza che le cose potranno andare sempre meglio.
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Il giornalista ha comunque ricordato che la sua opera non è solo un atto di denuncia contro omofobia e atti di bullismo, è anche un invito a non rinunciare mai a cercare la propria felicità perché (com’è capitato a lui) può arrivare da un momento all’altro e in maniera del tutto inattesa.