Senza/ con-fine: danza creativa per mente e corpo

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Senza/ con-fine

“Conosci te stesso” significa conosci la tua mente e quindi il tuo corpo? Il corpo è in correlazione con la mente e grazie alla nostra mente riusciamo a sentire e quindi a fare esprimere il nostro corpo. Mi scuso per il gioco di parole. Si tratta comunque di un rapporto imprescindibile. La danza è la sublimazione della relazione necessaria  tra mente e corpo. Tutto questo uscendo dai nostri confini, che sono sempre mentali e che  poi si riproducono in altre forme più “sociali”, degenerando. Confini che nascono dallo stereotipo, rinforzandolo in semplificazioni che rendono difficile la decostruzione, che ci imprigiona nelle nostre zone  confort. E poi possibile uscirne? Gabbie più o meno dorate? Oppure prigioni che si trasformano in disagio che noi comuni mortali, privi degli strumenti necessari, non riusciamo più a trasformare in energia positiva? L’obiettivo è superare i confini, andare oltre, “essere”. Ecco le parole magiche: “Senza/con-fine”.

E’ questa la mia riflessione dopo aver assistito allo spettacolo delle “consapevoli” e forse “risolte” otto danzatrici di Senza/ con-fine,  (sette sul palco, l’ottava purtroppo infortunata). Parliamo di una rappresentazione di danza creativa, preparata, dopo anni di studio e esercizio, dal Collettivo Radici Sospese  e messa in scena al teatro Factory  32, a Milano, il  16 febbraio. La rappresentazione è diretta dal danzatore e regista teatrale Pietro Farneti.

Scena finale di Senza/ con-fine

Lo spettacolo

La rappresentazione danzante dà la netta sensazione che la danza esista da sempre in tutti noi, ma aspetta solo il momento giusto per uscire.

E’ questa la convinzione di Maria Fux (96 anni) ballerina argentina di origine russa, ovvero l’ispiratrice e divulgatrice, a livello internazionale, del metodo che anima il lavoro delle danzatrici in scena.

Metodo che si pone quale obiettivo di ricondurci al significato antropologico e culturale sia primitivo, greco, che delle società altre, della danza, come forma di educazione  all’armonia di mente e corpo.

Il lavoro delle sette danzatrici comincia veloce e arriva diretto. Da subito, tutte in scena a occhi chiusi, si offrono completamente in questa loro “cecità”, mostrando al pubblico i confini, le diversità dei corpo. Li percorrono per conoscerli al buio e più profondamente, attraverso il movimento, mostrando a pieno come la danza è da sempre una forma di meditazione profonda, anche individuale. “Perdere la vista”, qui, sembra  un’operazione necessaria per abbandonare una forma di giudizio, pregiudizio, che è molto radicato nelle società che faticano ad accettare le differenze.

Belle proprio perché tutte diverse, sulle note di un pezzo quasi mistico; le danzatrici si aprono alla scoperta di un piccolo spazio. Creano anche  un contatto con un  oggetto che, per ciascuna diverso, diventa tutt’uno con il loro movimento, ispirazione della meditazione.

Partendo da un’idea di confine, di limite, da mettere in gioco come nuova possibilità, cominciano poi a srotolarsi e poco alla volta a  impossessarsi dello spazio. Danzando con un velo, mantenendo la loro diversità.  Mostrano come ci si può trasformare in delicatezza. L’utilizzo del cerchio, è esemplificativo e permette di tirare fuori giocose rotondità. Queste diversità, così autentiche e gioiose, ma che sanno stare insieme perché si ascoltano, trasformano la materia musicale in tante bolle. E’ in questo momento che le danzatrici del collettivo offrono la loro intimità, prima di incontrarsi oltre i confini della loro mente, anche attraverso un contatto sinuoso e “felino” delle schiene.

Conclusioni

Il messaggio è danzare e conoscersi a fondo. Le danzatrici lo  esprimono nella sinergia di un gruppo che contagia, emoziona, coinvolge.

I confini mentali si traducono, come già detto, purtroppo in confini socioculturali e politico sociali. Lo spettacolo tocca quindi anche il tema dei confini come sbarre o cancelli, come spesso troviamo nelle città; banalmente le barriere architettoniche. Sono  limiti, troppe volte imposti dalla società senza “decostruire”, e che stigmatizzano in belli e brutti, in idonei  e non idonei. Società (occidentale)  dove esiste una maggioranza che si ritiene “normale”,  ma che non ha più il tempo di pensare e la capacità di ascoltare. Una maggioranza che sente solo con le orecchie e poi decide i destini di vite in pochi minuti.

Momento coinvolgente della serata si ha quando in tante lingue diverse la danza si fa voce con un sono io/ sei tu in quanto ci si riconosce individui, persone, esseri e pure comunità, non solo parte di una società. Così direbbe il sociologo Tonnies.

Lo spettacolo finisce quando lo decide il pubblico che balla con le danzatrici sul palco. Gomitoli azzurri riacquistano la loro forma originale di fili che legano finalmente in comunione  pure i presenti rimasti seduti in poltrona.  

Sulle note di una canzone cantata dagli ebrei russi in fuga dai pogrom, si conclude la magia finale di queste sette danzatrici. L’obiettivo è raggiunto: saper trasformare queste “parole dall’esilio”, in un’azione d’integrazione col pubblico.

Si apre forse una nuova stagione trasversale per la danza, vista come un bene quotidiano per tutti? Ce lo auguriamo.

Verso questa direzione sta andando la Regione Lombardia che ha recentemente riconosciuto la danza creativa come professione, oggi messa in gioco proficuamente anche nel lavoro con la disabilità e il disagio sociale. Altro straordinario merito del metodo Fux, è infatti di aver concretamente incluso nella danza le persone che consideriamo, disabili; come viene  fatto, ad esempio, anche nel teatro-danza di Julie Stanzak, già ballerina del gruppo di Pina Bausch.

Lo spettacolo sarà in scena prossimamente il 1 giugno a Piacenza (Teatro Trieste, via Trieste 34, ore 21).

Sul palco in ordine alfabetico: Valentina Battistoni, Susanna Danelli, Francesca De Fabritiis, Aurelia Delfino, Fabiola Filace, Rachele Petrini, Chiara Pisano

Per saperne di più sulla danza/ terapia creativa: www.risveglimariaflux.it

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