Sembra mio figlio è un film di genere drammatico del 2018, diretto da Costanza Quatriglio, che è uscito al cinema il 20 settembre 2018. La regista ha impiegato anni di ricerca, interesse e continua riscrittura per realizzare questo capolavoro di film. Partendo da un documentario su una realtà italiana è arrivata a raccontare fino alle montagne dell’Afghanistan la storia di una delle persone conosciute per quel lavoro. Ed è proprio nel rapporto tra persona reale e personaggio che si trova la parte coinvolgente del film.
La piccola presenza di finzione che Sembra mio figlio possiede serve per rendere esemplare la storia che racconta. La storia di una popolazione, il popolo Hazara, una volta maggioritaria nel Paese alle pendici dell’Himalaya e ormai sterminata, ridotta in minoranza e costantemente sotto attacco dai talebani.
Trama di Sembra mio figlio
Ismail, interpretato dal poeta e giornalista afgano Basir Ahang, e Hassan, interpretato da Dawood Yousefi, sono due fratelli, migrati dall’Afghanistan all’Italia in tenera età per sfuggire alle persecuzioni. Vivono in Italia, a Trieste, non casualmente una zona di confine, dove troveranno altri reduci da altre guerre appena oltre le alpi, e se la cavano piuttosto bene. Ismail sta per lasciare un lavoro subordinato per mettersi in proprio ed è inserito nel tessuto sociale, dando anche una mano a chi arriva solo ora come immigrato.
La cronaca delle giornate figlie della diaspora e il rapporto speciale che si crea con Nina sono interrotti da quelle misteriose chiamate al telefono. Telefonate che si svolgono al buio, prima vi è solo silenzio, poi un respiro forte, quasi un pianto. È la voce della madre che non sa, non può riconoscere quel figlio perduto da bambino. Si è risposata con un uomo che tutto decide, potente.
Pian piano qualcosa si smuove e la voce di lei si fa flebilmente sentire. Il fratello decide il patto che Ismail dovrà accettare per rivederla: rientrare in patria attraverso il Pakistan e sposare la donna imposta dal patrigno. Una scelta inconcepibile per chi ha conosciuto la libertà, una decisione che alla fine Ismail accetta come si tollera il destino. Il ritorno nella terra che l’ha oppresso è un viaggio fisico e mentale. La mutazione è lenta ma visibile, negli abiti, nello sguardo, nell’incontro con una tradizione che in fondo gli è rimasta nell’anima.
Un viaggio a ritroso, un percorso verso la sofferenza del suo popolo, un cammino a perdersi nei riti spietati che aveva creduto di lasciarsi alle spalle. Alla fine, superando clandestinamente il confine con l’Afghanistan, si ritroverà rinchiuso in una casa prigione dove molte donne attendono di essere vendute, deportate. Fra cento volti disfatti dal dolore Ismail saprà riconoscere quello dimenticato della madre?
La costruzione di Sembra mio figlio
Si tratta di un passaggio dal documentario al film di finzione di una cineasta che affronta coraggiosamente un cambio di stile radicale. Le emozioni che sono state catturate in Sembra mio figlio sono reali e la regista, nel documentarsi, ha vissuto quest’esperienza insieme a Basir. Sono molti i film sui migranti, sempre di più, ma la Quatriglio ha offerto un qualcosa di originale.
In una sua intervista ha infatti affermato che ciò che viene raccontato nel film non è solo la storia di Ismail ma è la storia di un popolo intero. Il popolo hazaro, minoranza etnica di Afghanistan e Pakistan, rappresenta qualcosa in più di una genia discriminata e perseguitata. Rappresenta le radici del mondo stesso, un idioma che per molti versi accomuna ceppi linguistici differenti, secondo intrecci e origini remote.
Il punto di vista è quello di Ismail e il linguaggio è quello della poesia, dominato dai silenzi e dalle suggestioni. Lo scorrere di immagini fa capire quanto dolore sia stato inflitto senza neanche bisogno di didascalie. Fino al viaggio in Pakistan di Ismail e all’intensa e catartica risoluzione.
Una storia al maschile, diretta da una donna, con una protagonista assente, la madre. Perchè, secondo la regista, è proprio quest’ultima la vera protagonista, una madre e donna che simboleggia tutte coloro che si trovano nella sua stessa condizione. Tutte coloro che sono private di diritti, identità e addirittura nome.
Il percorso di Sembri mio figlio
Una bella conferma sulla possibilità di ogni sensibilità di raccontare (bene) ogni tipo di storia, in cui a una prima parte ambientata in occidente ne segue una seconda in viaggio, una brutale presa di coscienza, in cui i panorami aspri della patria lontana, insieme all’ancestralità dei profili degli anziani hazara, avvicinano il protagonista a una realtà tante volte sognata, ma forse impossibile da mettere pienamente a fuoco.