Opeth – In Cauda Venenum | recensione album

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Se dovessimo tirar fuori dal cilindro una lista dei musicisti più influenti della musica rock/metal degli ultimi anni, Mikael Akerfeldt non dovrebbe assolutamente rimanere fuori. Questo è innegabile. Come è innegabile che gli Opeth siano una delle band più criticate/amate dell’ultimo ventennio.

Nel 2019 la band svedese non ha alcuna minima intenzione di ritornare a calcare lidi estremi del passato, gli appassionati della prima fase del gruppo è meglio che lascino questo In Cauda Venenum nello scaffale del fornitore musicale di fiducia. Non perché la proposta musicale, ormai infarcita di rotondi citazionismi al progressive rock che fu, sia in un certo senso “scadente”, ma per un palato estremo lunghe suite di tastiere e arpeggi acustici insistenti non faranno venire l’acquolina in bocca.

Dopo ben 8 anni dalla pubblicazione del discusso Heritage, il combo di Stoccolma ha accelerato ancora di più il processo di trasformazione del proprio sound, abbracciando totalmente gli stilemi che fecero la fortuna del progressive rock negli anni 70. Akerfeldt si è preso tutte le critiche, ha caparbiamente voluto proseguire il suo percorso in modo da portare avanti il progetto Opeth che per molti doveva addirittura fermarsi.

Gli Opeth
Gli Opeth

In Cauda Venenum, lungi dall’essere il miglior disco degli svedesi, prosegue il discorso iniziato con Sorceress, con le dovute progressioni. Il convoglio scandinavo sembra aver trovato un equilibrio più stabile, Fredrik Åkesson non ha più lo sterile ruolo di accompagnatore del leader, ma ha una certa rilevanza nel condurre le composizioni; queste ultime sono sempre sottoposte ad un rigido controllo dall’occhio attento del buon Mikael, che in questo episodio ha fatto di nuovo sfoggio delle sue immani capacità in sede di arrangiamento.

Il problema è che tutti i brani, sebbene siano incrostati di una musicalità che farebbe impallidire la band più tecnica dell’universo, peccano di quello step in più che li eleverebbe a composizioni imperdibili: gli Opeth insistono sul portare avanti soluzioni e idee che nella fine degli anni 70 erano già chiuse nel cassetto dei ricordi. I due singoli Dignity e Heart in Hand partono bene, Next of Kin e Lovelorn Crime evidenziano la loro voglia trasognante di disegnare rettilinei dal grande respiro musicale; le tastiere “emersoniane” di Svalberg però ci riconducono al nocciolo della questione: poca creatività, anche se il basso di Martin Mendez fa il suo ruolo in maniera più che discreta. Charlatan ci dona un groove incisivo, soprattutto nei secondi iniziali, per poi evolvere in un brano molto interessante, con un fragore tastieristico perlomeno molto personale. Universal Truth mostra l’Akerfeldt di quasi tutto il disco: sistematico nella scelta tonale, e troppo impastato con la sezione corale. In questo brano si cerca di far ritornare in auge alcuni contrasti cromatici tra rabbioso e cadenzato, che però non vengono esercitati come si deve. Per trovare un Mikael in forma dobbiamo ascoltare The Garroter: ecco che qui i toni bassi della voce del nostro esplicano appieno le proprie potenzialità.

Le ultime due song, Continuum e All Things Will Pass, ci concedono spunti su cui riflettere anche se sappiamo, in fin dei conti, dove Akerfeldt voglia andare a parare.

Ciò che manca è l’effetto sorpresa che un tempo lontano rendeva gli Opeth una band unica ed inimitabile. Pur rispettando le scelte del mastermind, questo disco di certo non segnerà la carriera di una band ormai matura e responsabile delle proprie azioni. Solo il tempo ci dirà se In Cauda Venenum può considerarsi come un lavoro degno di completare una discografia importante come quella degli Opeth.

6.5/10

Opeth - In Cauda Venenum

Tracklist:

1. Garden Of Earthly Delights
2. Dignity
3. Heart In Hand
4. Next Of Kin
5. Lovelorn Crime
6. Charlatan
7. Universal Truth
8. The Garroter
9. Continuum
10.All Things Will Pass

Mikael Åkerfeldt – voce/chitarra
Fredrik Åkesson – chitarra
Martín Méndez – basso
Martin Axenrot – batteria
Joacim Svalberg – tastiere

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