My Agenda, Dorian Electra | La Recensione

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Copertina di My Agenda

Memorabile: ecco la parola giusta per riassumere My Agenda, il secondo album di Dorian Electra. Un anima sfrenata e fuori controllo che gioca con la musica e le sonorità cavando l’oro da un composto eclettico, ma che porta sulla manica la sua anima pop. Da provare anche solo per curiosità.

Dorian Electra, artista con la A maiuscola

A Dorian Electra piacciono i colori accesi. Ha sviluppato una recente preferenza per il verde neon, mentre qualche anno fa preferiva i toni freddi ed elettrici del blu. A Dorian Electra piace la scherma, o per lo meno le spade, come prova posando con fierezza sui social network, brando lucente alla mano. E a Dorian Electra piace sperimentare, con la musica e i generi, agguantandone quanti più possibile e mischiandoli in un frullato dal sapore forte, ma indimenticabile.

Il primo album dell’artista, attivista genderfluid dal cervello caricato a molla, si chiamava Flamboyant, ma quello era il passato. La spada che tanto ama, Electra l’ha agguantata a due mani e va avanti a lacerare qualunque cosa si trovi davanti. Perché con My Agenda, il suo secondo album, rilasciato in maniera indipendente, l’artista di Houston parte come un treno e si lancia all’attacco per farsi vedere e sentire nella scena musicale. Una scena dove la stramberia è all’ordine del giorno.

My Agenda: La Recensione

My Agenda: persino il titolo è provocatorio per chi sa leggere tra le righe. La comunità LGBT è spesso accusata dai conservatori di avere un’”agenda”, un piano machiavellico per imporre il proprio controllo sul mondo e sulla cultura contemporanea. Dorian Electra gioca su questo, immaginandosi come una mente sopraffina e onnipotente la cui arma è la musica e la cui fondina possiede infiniti proiettili. Dall’europop al dubstep, dall’indie raffinato al rock and roll più sfrenato: li prova tutti, li combina, e alla loro musica si racconta così com’è. Rimbalza dalla rabbia alla fragilità, ai momenti da pura rockstar che gioca col palcoscenico e punta tutto sull’atmosfera, senza mai sbagliare un colpo. Adam Lambert alla consolle del dj, Ozzy Osbourne vestito di glitter, Lady Gaga mora corvina anziché bionda platino. Le combinazioni si susseguono a mitraglia e non ce n’è una che cada male. 

Anche le collaborazioni scelte da Electra riflettono la sua natura eclettica e, diciamolo, pazza. C’è Faris Badawan, frontman dei The Horror, e la sottovalutata rapper Quay Dash. Nonché Rebecca Black, il fenomeno mediatico di dieci anni fa, ora evoluto in un’artista graziosa ed eclettica che dona a Edgelord un ritornello soavissimo. Le Pussy Riot, il gruppo punk che tanto scalpore ha fatto nella Russia di Putin; e persino i Village People, il gruppo gay-pop per eccellenza, non invecchiati di un secondo. Nessuno di questi ospiti riesce mai a strappare ad Electra il riflettore, stretto nelle sue mani laccate – e non si potrebbe immaginare nulla di diverso. 

Imperturbabile e dalle mani che prudono dal desiderio di provare, acchiappare e mescolare, Dorian Electra è un fenomeno senza genere e senza confini, ma con un filo rosso a percorrere la sua musica: l’elettronica, quella robusta e aggressiva del club boom. Per una qualunque popstar è facile raccontare della fierezza di essere sé stessa, ma pochi sanno mostrarla con la chiarezza, l’onestà e i guizzi di follia che può sfoggiare Dorian Electra. My Agenda è la prova di questo e anche, più semplicemente, che come cantante ci sa davvero fare. E se anche non piacesse, cosa non impossibile considerandone la stranezza, si consideri una cosa: non ne uscirete mai annoiati. 

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