Misantropo ha fatto tappa al Manzoni di Monza. Vizi e virtù “banalmente” umani

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Misantropo

Molière è il classico dei classici. Le sue analisi sociali sono sempre attuali, anche a distanza di secoli, come devono essere le opere di un vero maestro. E’ andato infatti in scena nei giorni scorsi al teatro Manzoni di Monza, uno dei capolavori della lunga carriera del drammaturgo francese, ovvero Misantropo, interpretato da Giulio Scarpati e Valeria Solarino, per la regia di Nora Venturini.  Vizi e virtù di una classe sociale, ma “azzarderei” vizi e virtù della condizione umana in generale.

Con Scarpati e Solarino, presenti sul palco, i bravi:  Blas Roca Rey, Anna Ferraioli, Matteo Cirillo,Federica Zacchia, Mauro Lamanna, Matteo Cecchi. Le scene sono di Luigi Ferrigno, i costumi di Marianna Carbone, le luci di Raffaele Perin, le musiche di Marco Schiavoni. La traduzione del testo è a cura di Cesare Garboli.

Una scena dello spettacolo

Sinossi

Il misantropo è un opera scritta da Molière che  approfondisce le dinamiche amorose e le diversità caratteriali, ma non solo. Nell’opera la domanda è più di carattere morale: cosa è giusto e cosa è sbagliato?  Di fronte a una società ipocrita e senza “compassione”,  come vivere? Lo spettacolo inizia così con questa riflessione a cui il protagonista Alceste  (introspettivo e naturale Giulio Scarparti)  sottopone il suo amico del cuore Filinte,  interpretato da un convincente Blas Roca Rey.  

Una scena dello spettacolo

Alceste è un misantropo ovvero uomo  solitario e dalla morale integerrima, che critica “giustamente” tutte le brutture del mondo. Filinte è invece più tollerante, in pace con se stesso. Cerca il compromesso, giustificando la debolezza umana come condizione naturale e ineluttabile.  Se si vuole vivere con equilibrio, il mondo deve essere accettato in tutte le sue imperfezioni. Alceste è però, di fatto, anche lui in contraddizione con se stesso, visto che è perdutamente innamorato di Celimene, (perfetta e in gran forma Solarino nel cinismo e nell’ipocrisia della protagonista). Celimene è bellissima, mondana, in apparenza superficiale, che dispensa finti sentimenti amorosi a destra e a manca;  ma intelligente, lucida e consapevole. La donna rappresenta l’esatto opposto del protagonista, ma è questa diversità che li attrae e nel contempo li respinge.  

Conclusioni

La diversità in amore non paga. Se può essere un motivo di attrazione iniziale alla lunga crea solo contrasti e separazioni. Nel Misantropo, rivisitato da Venturini, l’ipocrisia, il “vivere in società”  e soprattutto la fondamentale contraddizione del misantropo, sono temi che di fatto risultano  attualissimi. Siamo umanamente contraddittori e spesso non dispensatori di verità.

Citando Kierkegaard: “Gli uomini hanno più paura della verità che della morte”. E l’ipocrisia, per quanto irritante, forse inconsciamente è condizione necessaria alla sopravvivenza.   E’ questa forse l’intenzione della regista: dimostrare che in fondo la natura umana è sempre la stessa. Molière non trova quindi un lieto fine. La passione tra i due amanti non è un collante sufficiente che possa garantire la ricerca del compromesso necessario ad un amore duraturo. I protagonisti non mettono in discussione il loro modo di essere.

Per quanto Alceste possa risultare utopista, in fondo è moralmente comprensibile, mentre Celimene è forte della consapevolezza dei suoi limiti “morali” che ritiene assolutamente funzionali alle sue scelte di vita. Si tratta di  un aspetto importante. La caratterizzazione di Molière, fa di Celimene una donna che conosce bene le sue armi per raggiungere i suoi scopi. La donna non è vittima, ma in un certo senso diventa “carnefice”.  Altri sono poi i temi affrontati, come l’ipocrisia dell’amicizia tra donne di società, disposte a rubarsi l’amato, che si contrappone alla sincerità dell’amicizia tra Alceste e Filinte (caro confidente di vecchia data). E’ lo spaccato di una società decadente che si regge sulla maldicenza.

Ottimo lavoro di  tutti gli attori presenti sul palco, e meritati applausi a Giulio Scarpati, appassionato e convinto misantropo, come a Valeria Solarino, austera e saggia nel suo essere cinicamente civettuola. Nota di merito va alla regista Nora Venturini, che ha reso un grande classico: lineare, scorrevole, fluido e divertente; nonostante la “pesantezza” (in senso buono) della riflessione del maestro francese. 

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