Roberto Vecchioni incanta lo Stadio Comunale di Pianopoli – ieri 22 settembre – in occasione dei festeggiamenti della Ss. Madonna Addolorata
<<La luce di stasera è bellissima. […] la voglia di vivere è bellissima. Perché è questo il segreto: dentro la valigia che ci portiamo, non è che non ci sia nulla, e non è che non ci sia qualcosa di misterioso, c’è la voglia di vivere. Perché vale la pena di vivere>>. Davanti ad uno schermo che proietta l’immagine dell’orologio di una stazione, il cantautore di origini napoletane, Roberto Vecchioni, canta “Una notte, un viaggiatore”, il primo brano del concerto che ieri sera si è svolto a Pianopoli (Cz) in onore dei festeggiamenti della Ss. Madonna Addolorata. Un concerto, non solo fatto di musica, ma soprattutto di parole che hanno raccontato la vita, riuscendo a tenere con il fiato sospeso il pubblico per più di due ore.
Sono tantissimi gli autori citati dal Professore: letterati, musicisti, poeti, atletici ed anche registi. Ad introdurre il brano, Com’è lunga la notte, è Fellini con il suo capolavoro Amarcord: <<Non è vero che la nebbia confonde tutto. C’è una scena in cui il vecchietto – nonno di Fellini – si perde nella nebbia e non capisce più dov’è e dice: “Qui è cambiato tutto, non ci sono più gli uccellini, non c’è più il vino, non c’è più nulla. Se la morte è così, non è mica una bella cosa, è un affare orribile!” e poi si volta e un cocchiere che passa da lì gli dice “Che fai lì? Casa tua è là!”. E, infatti, lui non si era perso nella nebbia, perché in realtà lui era davanti al cancello di casa. E tutti siamo davanti al cancello di casa. Basta sapere che, anche dietro al cancello, c’è qualcuno che ci aspetta>>.
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L’omaggio alla moglie, Daria Colombo
Nel corso della serata un omaggio anche alla moglie, Daria Colombo: <<“Non ama veramente chi non ama per sempre”, è un bel verso di 2600 anni fa, di un poeta che si chiama Euripide, tratto da una tragedia bellissima. […] Io ho amato e amerò sempre la mia campagna perché è lei. È una fortuna, non succede a tutti. Perché in lei vedo tutte le donne, e il segreto è questo. […] Non è vero che ci si stanca dopo tanti anni di una donna, perché il tuo amore ha un sacco di forme e ogni periodo cambia e devi cambiarlo. Devi fare qualcosa perché sia nuovo, qualcosa che rinnovi, inventare qualcosa. Sono ormai 41 anni che stiamo insieme, e io in lei vedo tutte. […] Così un giorno mi è venuta un’idea e mi son detto, “ma siccome tu la vedi da tutte le parti questa donna, possibile che anche gli altri la vedano così?” e allora ho pensato “si, è così”. Tutti i poeti di tutta la storia del mondo, hanno sempre cantano mia moglie. Loro non lo sapevano, però cantavano mia moglie. Davano altri nomi, ma in realtà pensavano a lei. Perché non esiste per me altra donna>>.
L’omaggio a Giulio Regeni
Segue poi la commovente introduzione al brano “Giulio”, dedicato alla vicenda del giovane Giulio Regeni, presentata al pubblico attraverso i dolori delle madri della letteratura: da Andromaca che perde suo figlio, alla madre della piccola Cecilia morta di peste ne I Promessi sposi, a Ida di Elsa Morante che perde due figli e impazzisce, alla storia della madre coraggio di Brecht e poi ancora alla madre di Ernesto Guevara che “aspetta sempre che il figlio ritorni, ma non ritorna mai”: <<Nessuna madre può pensarsi senza pensare al figlio>>.
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L’omaggio ad Alex Zanardi
Un altro grande omaggio è per Alex Zanardi, con il brano cantato insieme a Francesco Guccini, “Ti insegnerò a volare”: <<È un esempio meraviglioso di quanto siamo forti noi e, se vogliamo, di quanto sia debole il destino. Noi se lo vogliamo siamo più forti del destino. Lui ha battuto tutti i destini possibili ed immaginabili. […]È lui stesso che parla nella canzone e ci racconta cosa conta nella vita. Innanzitutto, la prima cosa che conta è nascere, perché se non si nasce non si vive. Quindi è già un gran colpo di culo nascere. Ed è già tantissimo nascere, è importante. E poi avere questa forza di non abbattersi mai, qualsiasi cosa capiti. Non lasciate che tutto scorra, remate! Bisogna remare anche quando bisogna remare contro. Bisogna sempre essere più cazzuti del destino e delle difficoltà, perché è così che si fa. Si può anche perdere, ma poi il verbo perdere non ha senso. Perché, come dice un grande poeta, “a questa vita o si vince o si impara, ma non si perde mai”>>.
Non poteva mancare senz’altro il tributo a Giacomo Leopardi. Vecchioni lo presenta da una nuova prospettiva, attraverso un dialogo inventato che fa da introduzione al brano a lui dedicato, L’infinito. Un Leopardi che è stanco di soffrire, è stanco del dolore. Non ha più voglia di stare male, ma parla e sa parlare di umanità.
Velasquez, l’uomo senza confini
Un’introduzione bellissima anche per il brano “Sogna, ragazzo, sogna”, tra i più amati di sempre. Per far “immergere” il pubblico nella canzone, adopera un personaggio di fantasia che ci apre a temi molto attuali, alla bellezza di scavalcare i confini per conoscere nuovi orizzonti e superare ogni barriera per arricchirsi di ciò che è “diverso”: <<Un marinaio eterno che gira il mondo per aiutare i più deboli: si chiama Velasquez, perché è un’idea di vela che va al vento, in cerca di salvare chi può salvare. […] Velasquez non si chiude mai nel suo piccolo spazio, che è una parodia di mondo chiudersi in un piccolo spazio. Questo Velasquez non alza fili spinati, non si circonda di cani e, soprattutto, non ha paura di niente. Non ha paura di chi viene da fuori e non ha paura di quello che lo tormenta dentro. Perché lui apre, guarda, rincorre, cerca, scopre. Ovunque scambia le idee e le cose con chi incontra. Il mio Velasquez è Ulisse, è Gandhi, è Corto Maltese. Certo, è molto più difficile aprire, perché si sbaglia quasi sempre, ci si copre di ridicolo, si è troppo sufficienti. Credere agli altri è una cosa difficilissima. Molto più facile sarebbe credere solo a sé e ai pochi che si hanno intorno, chiudersi con quelli, coi mitra, e gli altri tutti fuori. Allora la vita è facilissima, fai solo quello che vuoi. È molto più difficile invece sapere che, il 90% delle volte che dai fiducia all’altro, perderai. Ma lo fai lo stesso, perché questo è l’umanesimo. Questa è l’umanità, non altro […] Adesso Velasquez è qui, perché stasera abbiamo comunicato qualche sogno. Ne avevamo tanti altri, ma non si sono realizzati tutti. Però abbiamo un patto, io e Velasquez, cioè che quelli non realizzati li lasciamo ai ragazzi. E speriamo che molti ragazzi li realizzino>>.
L’infinito di Vecchioni
Il concerto si conclude con gli attesissimi grandi classici del Professore: Chiamami ancora amore, Luci a San Siro e, per concludere, Samarcanda. Accanto a lui, la sua band storica – Lucio Fabbri, Massimo Germini, Roberto Gualdi e Antonio Petruzzelli – ringraziano il pubblico che, a sua volta, li omaggia con un lungo applauso. Le luci del palco si spengono, ma le emozioni no. Il Professore regala, ancora una volta, canzoni cantate a voce alta, altre quasi sussurrate. Parole, parole e ancora parole che attraversano il cuore di chi ascolta, senza lasciarsi sfuggire niente.
Ci si sente sempre pieni dopo aver ascoltato Roberto Vecchioni: pieni di cultura, di musica intensa, di sogni e di vita e si ritorna a casa con la consapevolezza che: <<L’Infinito non è al di fuori di noi, non è introvabile, ma è dentro di noi, nella nostra anima e nelle nostre emozioni>>.
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