Una giornata contro la violenza sulle donne non basta
È stata istituita da tempo una giornata contro la violenza sulle donne. Cosa sacrosanta se consideriamo il numero agghiacciante di vittime annuale causato da tale violenza solo sul suolo italiano. Sacrosanto dicevamo, ma decisamente sconcertante: il dover arrivare a istituire una giornata per ricordare che i diritti e i doveri di uomini e donne sono a pari livello dimostra quanto la nostra società in quanto tale abbia profondamente fallito. Ben venga dunque il 25 novembre, ma non basta. Di questa tematica bisogna parlarne tutti i giorni, bisogna educare i nostri giovani nelle scuole sin dalla tenera età al rispetto reciproco e a una sana vita relazionale fra i due sessi nonché respingere con fermezza tutte le imposizioni sociali che tendono a vedere la donna relegata a un ruolo meramente marginale.
Le musica fa la sua parte come può
Non si tratta solo di lesioni e omicidi ai danni delle donne, la violenza fisica è solo la punta di un iceberg che non si è voluto scalfire dalle sue fondamenta. Un iceberg rappresentato proprio dalle imposizioni sociali cucite sulla testa delle nostre figlie sin dalla loro nascita e da ormai troppi decenni. “Hai 30 anni, a quando il primo figlio?”; “Ormai hai 24 anni, non c’è tempo per l’esperienza lavorativa all’estero, è ora che ti sposi.”; “Ci spiace Signorina, noi la prenderemmo anche ma chi ci garantisce che poi non rimanga in maternità durante il periodo di prova?”. Nessuno si azzardi ad additare queste frasi come luoghi comuni, purtroppo sono l’amara verità e non in qualche sperduto luogo del terzo mondo bensì qui in Europa e, in particolare, da noi in Italia.
Anche il mondo della musica tratta regolarmente di come una piena parità di genere non sia ancora stata raggiunta a pieno. Celebre, almeno sul versante più estremo della faccenda, è la “La canzone di Marinella” di Fabrizio de André, vero e proprio tentativo poetico pienamente riuscito di addolcire la morte a una prostituta uccisa dal proprio protettore. Diversi esempi si trovano anche oltre oceano a opera di artisti odierni come Lady Gaga, la quale in “Til It happens to you” mette in evidenza l’oscena pratica degli abusi sessuali nelle università statunitensi.
Guccini ci racconta di una piccola storia ignobile
In questa uscita de “La forza delle parole in musica” vogliamo però dare voce a un altro grande della canzone nostrana, ovvero a Francesco Guccini e alla sua splendida “Piccola storia ignobile”. Questa canzone rappresenta la prima traccia di uno degli LP più noti del cantautore emiliano, ovvero “Via Paolo Fabbri 43”. La storia è tanto semplice quanto disarmante nel suo svolgersi: una giovane ragazza di buona famiglia si innamora di un giovane, rimane incinta di quest’ultimo e a causa di ciò viene ripudiata dall’intera famiglia, dalla società paesana in cui è incanalata (humus sociale profondamente conosciuto da Guccini) e anche dalla legge che non ha alcun modo di tutelarla. Il ragazzo di cui si era innamorata, e da parte del quale ci aspetteremmo responsabilità, la lascia al suo destino limitandosi a concederle dei soldi lavandosi così le mani.
Un linguaggio asciutto e diretto
Guccini presenta un linguaggio asciutto, diretto e incisivo, dotato di una verve sorniona che fa finta di spalleggiare il pensiero comune solo per metterne ancor meglio in evidenza l’immonda ipocrisia. Tra tutte le strofe le più vivide da un punto di vista emotivo sono quelle dedicate alla figura della madre e alla messa in pratica dell’aborto, soluzione finale verso la quale la protagonista della canzone viene praticamente costretta. Ciò che lascia sbigottiti della disparità fra sessi è come spesso e volentieri le donne vengano colpevolizzate da altre donne. Nella canzone in esame, ad esempio, la madre della protagonista sarebbe la persona più indicata a comprendere la figlia e a starle vicino, ma ormai l’immenso lavaggio del cervello che le è stato effettuato sin da bambina la porta a schierarsi apertamente dalla parte della maggioranza e contro la propria stessa figlia.
Qui di seguito il testo della canzone, non corredato come nostro solito da commenti poiché già sufficientemente esplicativo. Possa la lettura di quest’ultimo fornire adeguati motivi di riflessione.
«Ma che piccola storia ignobile mi tocca raccontare, così solita e banale come tante,
che non merita nemmeno due colonne su un giornale o una musica o parole un po’ rimate,
che non merita nemmeno l’ attenzione della gente, quante cose più importanti hanno da fare,
se tu te la sei voluta, a loro non importa niente,
te l’ avevan detto che finivi male…
Ma se tuo padre sapesse qual’ è stata la tua colpa rimarrebbe sopraffatto dal dolore,
uno che poteva dire “guardo tutti a testa alta”, immaginasse appena il disonore,
lui che quando tu sei nata mise via quella bottiglia per aprirla il giorno del tuo matrimonio,
ti sognava laureata, era fiero di sua figlia,
se solo immaginasse la vergogna,
se solo immaginasse la vergogna,
se solo immaginasse la vergogna…
E pensare a quel che ha fatto per la tua educazione, buone scuole e poca e giusta compagnia,
allevata nei valori di famiglia e religione, di ubbidienza, castità e di cortesia,
dimmi allora quel che hai fatto chi te l’ ha mai messo in testa o dimmi dove e quando l’hai imparato
che non hai mai visto in casa una cosa men che onesta
e di certe cose non si è mai parlato
e di certe cose non si è mai parlato
e di certe cose non si è mai parlato…
E tua madre, che da madre qualche cosa l’ ha intuita e sa leggere da madre ogni tuo sguardo:
devi chiederle perdono, dire che ti sei pentita, che hai capito, che disprezzi quel tuo sbaglio.
Però come farai a dirle che nessuno ti ha costretta o dirle che provavi anche piacere,
questo non potrà capirlo, perché lei, da donna onesta,
l’ ha fatto quasi sempre per dovere,
l’ ha fatto quasi sempre per dovere,
l’ ha fatto quasi sempre per dovere…
E di lui non dire male, sei anche stata fortunata: in questi casi, sai, lo fanno in molti.
Sì, lo so, quando lo hai detto, come si usa, ti ha lasciata, ma ti ha trovato l’ indirizzo e i soldi,
poi ha ragione, non potevi dimostrare che era suo e poi non sei neanche minorenne
ed allora questo sbaglio è stato proprio tutto tuo:
noi non siamo perseguibili per legge,
noi non siamo perseguibili per legge,
noi non siamo perseguibili per legge…
E così ti sei trovata come a un tavolo di marmo desiderando quasi di morire,
presa come un animale macellato stavi urlando, ma quasi l’ urlo non sapeva uscire
e così ti sei trovata fra paure e fra rimorsi davvero sola fra le mani altrui,
che pensavi nel sentire nella carne tua quei morsi
di tuo padre, di tua madre e anche di lui,
di tuo padre, di tua madre e anche di lui,
di tuo padre, di tua madre e anche di lui?
Ma che piccola storia ignobile sei venuta a raccontarmi, non vedo proprio cosa posso fare.
Dirti qualche frase usata per provare a consolarti o dirti: “è fatta ormai, non ci pensare”.
E’ una cosa che non serve a una canzone di successo, non vale due colonne su un giornale,
se tu te la sei voluta cosa vuoi mai farci adesso
e i politici han ben altro a cui pensare
e i politici han ben altro a cui pensare
e i politici han ben altro a cui pensare…»