Terza opera presentata da Wanted Cinema alla Festa di Roma è “KILL ME IF YOU CAN”, un documentario di Alex Infascelli, prodotto da Fremantle Italia e The Apartment con Raicinema.
Su cosa si basa “KILL ME IF YOU CAN”?
Basato sul libro “Il Marine. Storia di Raffaele Minichiello” di Pier Luigi Vercesi (edito da Mondadori) il film racconta una vicenda particolare e curiosa, quella del primo dirottatore aereo, di origini italiane.
Sinossi
Il 31 ottobre del 1969 le trasmissioni televisive di tutta l’America vengono interrotte da un annuncio: un uomo armato fino ai denti, ha preso il controllo di un jet della TWA in partenza da Los Angeles e diretto a San Francisco, destinazione finale: Roma. Inizia così il più lungo dirottamento nella storia dell’aviazione.
Raffaele Minichiello
Mentre l’America è incollata davanti alla televisione a seguire con il fiato sospeso l’odissea del volo TWA 85, gli agenti dell’FBI scoprono l’identità del ragazzo. Si chiama Raffaele Minichiello, anni 19, emigrato negli Usa dall’Irpinia dopo il terremoto del 1962, Marine pluridecorato per il valore dimostrato in battaglia. Nel frattempo, anche l’Italia ha iniziato a seguire la gimcana tra i cieli del proprio connazionale.
L’arrivo a Roma
All’arrivo a Roma, Minichiello cerca la fuga con una macchina della polizia ma viene catturato e arrestato… Kill Me If You Can racconta l’incredibile vicenda di Raffaele Minichiello, una vita punteggiata da terremoti, attentati, guerre, tragedie personali e guai di ogni sorta, ma sempre all’insegna di una irriducibile voglia di vivere, o meglio, di sopravvivere, nonostante un destino che sembra proprio accanirsi contro di lui.
Alex Infascelli
Nei miei due precedenti documentari, ho affrontato la (complessa) semplicità di due uomini come Emilio D’Alessandro e Francesco Totti. Nel raccontare Raffaele Minichiello – Mini per gli amici – ho dovuto ricalibrare il mio modulo narrativo, perché qui mi trovavo di fronte a un enigma. Raffaele, nella sua cifra formalmente semplice, non solo è indecifrabile ma è anche portatore inconsapevole di verità che nemmeno lui sembra possedere. Per la prima volta mi sono ritrovato senza un finale scritto, un approdo designato, o forse in questo caso è meglio dire: una pista d’atterraggio sicura. E invece ho scelto di documentare il nostro incontro, costruendo intorno ad esso un tableau di risonanza, non per condire – credo che già solo l’intervista sarebbe bastata – ma per comprendere, per riprendere fiato.