Ismaila Mbaye: “Il razzismo non esiste”

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Ismaila Mbaya cover

Musicista e attore, Ismaila Mbaye è considerato uno dei maggiori percussionisti africani presenti nel panorama europeo. Il suo ultimo singolo, Every human needs a human, è un ponte culturale tra il Senegal e il nostro Paese.

Quando scopri la passione per la musica e per le percussioni?

“Avevo 5 anni. Diceva mia madre che suonavo di tutto, anche le pentole in cucina. Qualsiasi cosa producesse un po’ di suono, io la suonavo. Poi, all’età di 15 anni, ho iniziato il mio percorso professionale con un gruppo in Senegal. Quando sono arrivato in Italia, poi, visto che volevo fare il musicista ho imparato diversi tipi di percussioni. E alla fine sono diventato quel che sono adesso”.

Oltre alla musica hai una grande affinità anche con il mondo del cinema. Hai recitato in film con Zalone, Castellitto, Morgan Freeman e tanti altri.

“Anche il fatto di diventare attore era una cosa che dormiva dentro di me e che poi si è svegliato durante il percorso. Qualsiasi tipo di arte io usi per esprimermi, cerco sempre di emozionarmi e far emozionare anche le persone. Sia la musica che il cinema mi danno l’opportunità di mandare messaggi positivi”.

Messaggi come quello che troviamo in Every human needs a human, un singolo che hai definito un “ponte di integrazione multiculturale”.

“Io credo che la musica sia la prima lingua di ogni popolo. Every human needs a human nasce con l’intento di mandare un messaggio, e cioè che ognuno di noi ha bisogno dell’altro, soprattutto in questo momento. Per riuscire a portare un po’ di pace in questo mondo, bisogna che ci uniamo tutti”.

Ogni uomo è la cura dell’altro”. Anche queste sono parole tue. In che modo un essere umano può curarne un altro?

“Credo davvero che ogni uomo possa essere medicina dell’altro. Ad esempio, può capitarti di incontrare un vicino di casa, un amico o un parente che magari sta passando un brutto momento. Magari sta pensando di fare un gesto insano. Tu gli parli due minuti e magari gli salvi la vita senza neanche saperlo. Io credo che, visto come va il mondo oggi, abbiamo bisogno di questo. In Europa, ma anche in tutto l’Occidente, si è perso molto del rapporto umano. La gente non si relaziona più. Anche in casa, ad esempio, tu vedi tuo figlio che invece di chiederti una cosa la chiede a Google. È una cosa incredibile”.

Credi che la pandemia ci abbia insegnato il valore della condivisione?

“Io credo che dovremmo usarla come mezzo di riflessione. Dobbiamo pensare a cosa di buono possiamo dare agli altri. Anche se è stato un evento negativo per il mondo, alla fine qualcosa di buono può venirne per noi”.

In questo brano collabori con La Scelta. Come vi siete ritrovati a condividere questo progetto?

“Sono entrato in questo studio di registrazione e c’erano questi ragazzi che facevano parte della band con la quale avrei dovuto suonare. Non avevamo mai provato e, nonostante questo, ci siamo messi a suonare ed è nata un’energia molto bella e positiva. Lì ho capito che erano le persone giuste con le quali registrare questo pezzo che avevo nel cassetto da anni”.

Hai dichiarato che con la musica “si possono veicolare tante idee importanti”. Ad esempio?

“Se guardi a Every human needs a human, noterai che ci sono tanti messaggi e che non sono contenuti solo nel testo. Nel video, ad esempio, ci sono tanti colori e tanta gioia. È un modo per ricordare alle persone che la vita va affrontata con gioia e godersela, perché è bella”.

Quali e quante sono le difficoltà che oggi uno straniero trova nel corso del processo di integrazione?

“Credo che ogni persona abbia il proprio percorso e il proprio modo di integrarsi. Nel mio caso è stato forse più facile, grazie alla musica. Salgo sul palco, suono e quando scendo mi chiedono come mi chiamo, da dove vengo ecc.. Per altri è più difficile. Bisogna però capire una cosa, e cioè che il razzismo non esiste. Se ci conoscessimo, la diffidenza sparirebbe”.

Ad oggi lo straniero è visto da qualcuno come una specie di invasore. Come possiamo sensibilizzare le nuove generazioni riguardo a questa falsa minaccia?

“Con il confronto. Un modo sarebbe organizzare dei seminari. Poco tempo fa, ad esempio, ho tenuto un seminario all’Università di Urbino. Anche dei progetti di scambio interculturale con le scuole possono aiutare. Sono cose che io ho fatto. Grazie a questi strumenti, anche bambini di 3 anni possono confrontarsi con una cultura diversa nel modo più”.

Che consiglio pratico daresti alle istituzioni per agevolare l’integrazione?

“Progetti interculturali soprattutto. Siamo nell’era della globalizzazione. Ovunque vai, trovi diversi tipi di etnie, e se ti prepari al fatto che potresti incontrare persone di culture diverse sei anche più disposto a imparare cose nuove. Mio nonno mi diceva: ‘Non aver paura a imparare quello che di buono trovi negli altri, perché ti arricchisce. Prendi il buono, mettilo in valigia e tiralo fuori quando ne hai bisogno’. E devo dire che questo consiglio mi è servito tantissimo”.

Se tu dovessi descrivere l’Italia a qualcuno che abita in un’altra nazione, cosa diresti?

“Dire che l’Italia è un Paese che, ovunque vai, ti mostra qualcosa di bello. È anche un Paese che accoglie tantissimi stranieri. Ci sono parti politiche che alle volte rovinano alcune cose, ma capisco che lo fanno perché hanno una propria filosofia e un progetto politico e, se non parlano di quello, non hanno di che parlare. Se comunque dovessi parlarne a qualcuno, direi di venire a visitare l’Italia, perché è un Pese bellissimo”.

Che cos’è per te il razzismo?

“Per quella che è la mia esperienza, ti dico che il razzismo non esiste, è solo che non ci conosciamo bene. Esiste invece tanta ignoranza. Ci manca la voglia di conoscere l’altro, di incontrarlo e di capire cosa può darti. Ci rifiutiamo categoricamente”.

E non ci aiuta neanche parlare di razzismo, termine usato impropriamente. Non esistono distinzioni di razza, dal momento che la razza è una, quella umana. Possiamo tutt’al più parlare di differenze etniche.

“Capito? È questo il problema, l’ignoranza. È solo questo. Io ho incontrato tante persone che, qualcun altro al posto mio, avrebbe definito subito razziste. Io invece ho parlato a queste persone e ho fatto capire loro delle cose, e ancora oggi queste persone mi chiamano e mi ringraziano. Mi dicono: ‘Se non fosse stato per te, questa cosa non l’avrei mai capita’. Io ho poi lavorato in Alle Falde del Kilimangiaro, il programma su Rai 3, per nove anni. Durante quel periodo, molte donne che stavano con ragazzi africani mi chiamavano per dirmi: ‘La mia famiglia ha accettato il mio ragazzo grazie a te, perché mia madre ti guardava in tv e quello che dicevi le trasmetteva tanta positività’. Dico questo per farti capire il pregiudizio: prima di conoscere la persona, l’hai già etichettata. La diversità è umana e non dovrebbe spaventare. Siamo tutti diversi. Ed è una cosa, la diversità, che ci arricchisce”.

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