INNA, Heartbreaker | La Recensione

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Inna heartbreaker

Colei che un tempo faceva ballare tutto il mondo realizza un album senza spina dorsale né vita. Così è andata a Inna con Heartbreaker, la sua ultima dimenticabile uscita.

Inna ci era mancata con Heartbreaker?

Un album europop vive e muore nella produzione. Se manca il terreno fertile dove farla crescere, una scena dance attiva e coinvolgente che ne permetta lo sviluppo… è difficile dire che cosa ne verrà fuori. Deve essere quella la domanda che si è posta la star romena della musica dance che dieci anni fa incantava il mondo con la sua voce sottile e sensuale. Inna, al secolo Elena Apostoleanu, ha appena rilasciato il suo ultimo album Heartbreaker. Ma non deve avervi riflettuto su abbastanza, perché il risultato del suo impegno è alla meno peggio impacciato. Nonché privo di una visione, quella di Inna o di qualcun altro, che gli permetta di rimanere impresso. 

Un album frettoloso, sconnesso. Niente più che una collezione di tracce scollegate tra di loro che non hanno nulla da dire e si limitano ad occupare tempo. Non c’è coesione, non c’è chiarezza, non c’è desiderio di raccontarsi e di provare cose nuove. È come se Inna, nel processo di realizzazione di Heartbreaker, avesse dedicato uno sguardo alla florida scena indie e alternativa che le sta crescendo accanto… solo per decidere di voltare la schiena e viaggiare da sola nel deserto della dance spicciola. I lavori di Inna post-successo, a cominciare da Soy Latinna, non conquistavano forse alcun cuore, ma per lo meno c’era il senso che a qualcuno andasse di vederli conclusi: non è così per Heartbreaker. Heartbreaker esiste, rimane là a non far nulla, e se ne va com’è arrivato. 

Un album senza scopo

Si capisce subito che Inna non aveva idee per Heartbreaker quando si parte già male. Maza Jaja è una midtempo che pronostica dinnanzi a sé un album noioso, e così si procede. Sempre là fino alla fine, in un album tutto uguale. L’apprezzamento per le tracce può essere solo determinato dalla tolleranza per il genere della tropical house. A volte ci sono, bisogna concederglielo, dei timidi tentativi di impegno. Flashbacks spunta fuori dal caos e dalla nebbia come l’unica traccia funzionante. Sempre midtempo, ahimè: ma anche lucida, magnetica, con una melodia vocale orecchiabile.

Mentre l’esperimento di Till Forever, a metà tra una traccia tropical house vecchia di quattro anni e un lavoro minore di Tove Lo. Non funziona come i lavori della compagna norrena, ma per lo meno presenta una visione chiara di quello che vorrebbe essere. Rimane che Inna non è la persona più credibile per cantare di struggimento amoroso, men che meno la più adatta. Il suo meglio era quando si sentiva la regina del mondo, là sulla pista da ballo sterminata della scena pop di dieci anni fa. Ma il mondo non è più una pista da ballo. È difficile capire cosa rimanga da governare a Inna, ma Heartbreaker è proprio come il suo regno, vuoto

Si giunge al climax dell’imbarazzo con la penultima traccia, Thicky, un tentativo di essere sensuale/volgare che ricade nel territorio del so bad it’s good. Per tacere poi di One Reason. Là Inna si prosterna di fronte a un ex che l’ha scaricata, pienamente consapevole del male che le ha fatto. Ma anche là è difficile indignarsi, perché più che cattive intenzioni si coglie pigrizia e disinteresse. Inoltre, ricordiamolo, un album di Inna vive e muore con la sua produzione, c’è poco da fare se questa fallisce, e purtroppo è proprio quello il caso di Heartbreaker. Un album morto in partenza, senza desiderio di vivere e nulla da dare con la sua esistenza. Chi ricorda e apprezza ancora Inna, e desidera conoscere cosa si nasconde dietro il suo ultimo album, avrà la cognizione di farlo tenendo a mente che non troverà nulla dei suoi vecchi fasti. Non adesso, almeno.

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