Film di Natale: Klaus – I segreti del Natale

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Il divertente e affascinante “Klaus – I segreti del Natale è probabilmente più adatto a chi non sa che si tratta di una storia di origini di Babbo Natale. È quasi inconcepibile, considerando il titolo, i trailer e, beh, tutto il resto del progetto, ma si può trarre piacere da ciò che si può. Jason Schwartzman dà la voce al protagonista, Jesper, il viziato discendente di una famiglia politicamente potente.

Klaus – I segreti del Natale: la trama

Lo incontriamo per la prima volta mentre se ne sta a poltrire all’Accademia Postale di un paese europeo vagamente definito, pensando di potersi rilassare fino a quando non verrà promosso e spinto nel mondo, dove potrà contare sui soldi e le conoscenze della famiglia. Invece, come ultimo tentativo di far sì che gli interessi qualcosa, l’accademia assegna Jesper alla remota città isolana di Smeerensburg, che non spedisce né riceve posta da anni ed è dilaniata da una guerra civile tra clan in cui i cittadini distruggono le proprietà degli altri in modi selvaggi e ridicoli che evocano i vecchi cortometraggi dei Looney Tunes. Dal punto di vista narrativo, la prima parte del film è familiare come il resto, ma la sua sciocca inquietudine è affascinante e Schwartzman è affascinante nei panni del vagabondo Jesper, un truffatore tenero e vigliacco, ma in fondo rispettabile, che sembra – ed è in qualche modo disegnato – come l’eroe doppiato da David Spade in “The Emperor’s New Groove”.

Un film piacevole

Il regista/co-sceneggiatore Sergio Pablos mette Jesper al centro di scene di slapstick selvaggio e umiliante. Questi sono messi in scena in modo inventivo e piuttosto soddisfacente, considerando che il personaggio è un monello. È un piacere vedere un film d’animazione moderno che non ha paura di gag assurde e linee di dialogo tristemente divertenti che hanno più in comune con il lavoro di Roald Dahl o Tex Avery che con il tipico film d’animazione dei grandi studios che cerca di mettere la sensibilità in primo piano in ogni momento. Una ragazza grande come un gigante di Tolkien incombe su Jesper come l’abominevole uomo delle nevi che ha preso Daffy Duck come animale domestico. Un gruppo di bambini in slitta insulta Jesper mentre sfrecciano su una collina, il loro odio è un tale ripensamento che persino l’eroe sembra confuso su come reagire. Arrivato a Smeerensburg in traghetto, Jesper perde la mascella quando guarda l’isola attraverso una cortina di nebbia color ardesia e vede un insieme di edifici decrepiti che si stagliano su colline frastagliate. È un panorama che toglie ogni speranza, privo di colori e che fa pensare a una macchina fatta di zanne marce, che dirige lo sguardo dello spettatore verso un patetico cerchio di luce solare nella parte superiore dell’inquadratura. “Affascinante, eh?”, dice il traghettatore. “Beh, dovrebbe vederlo in primavera”. Poi, dopo patetici tentativi di convincere qualcuno, chiunque, a spedire una lettera per avere una scusa per lasciare questo posto orribile, Jesper incontra un artigiano corpulento e barbuto (J.K. Simmons) in un remoto tratto di bosco, e la storia delle origini ha inizio. Klaus è un uomo tranquillo, dall’aspetto spaventosamente forte – inizialmente presentato come un mostro, con il volto oscurato o nascosto – ma è un’anima gentile e un artista di talento. Anche se si intuisce dove andrà a finire la sua storia (con la fondazione di una fabbrica di giocattoli e l’accettazione di una missione), è comunque piacevole vedere lui e Jesper costruire un legame che li unisce a un mondo che entrambi avevano tenuto a distanza, anche se per motivi diversi.

Recensione

L’aspetto, il suono e la personalità di “Klaus” sono i motivi principali per guardarlo. Si tratta di un’opera d’epoca ispirata alle fiabe, che ha un aspetto e un’atmosfera leggermente diversi dai soliti Pixar-DreamWorks-Blue Sky: essenzialmente la Disney degli anni ’90, con illustrazioni del 19° libro di fiabe e xilografie molto più antiche. Pablos è arrivato durante gli ultimi anni del dipartimento di animazione tradizionale e disegnata a mano della Walt Disney, lavorando a blockbuster come “Tarzan”, “Il gobbo di Notre Dame” ed “Hercules”. Anche se “Klaus” è stato realizzato in digitale, si sente l’influenza di quel periodo. Le immagini sono modellate e ombreggiate in modo intricato e composte in modo tale da imitare spesso una fantasia Disney in live-action dal budget sontuoso; ma il film non si sforza di convincere l’utente che tutto ciò che è sullo schermo è “reale”, alla maniera dei recenti remake animati Disney in 3-D come “Il Re Leone” o persino “Toy Story 4”, con le sue strade, la pioggia e il fogliame fotorealistici. Dubito che le penne abbiano mai toccato l’inchiostro se non in fase di ideazione, eppure il tutto sembra disegnato e dipinto da mani umane, e sia i paesaggi che i movimenti dei personaggi servono più a realizzare nozioni drammatiche o comiche che a far pensare che qualcosa nella storia possa “accadere davvero”. La scrittura (di Pablos, Zach Lewis e Jim Mahoney) è meno particolare: una trama del tipo “una persona egoista impara a prendersi cura degli altri”; dialoghi anacronistici pieni di slang che saranno datati tra un anno e momenti in cui i personaggi si danno il cinque a vicenda, cosa che sono abbastanza sicuro non fosse comune nel XIX secolo; un personaggio di “donna forte” piuttosto esile che è lì principalmente per consentire e riflettere l’evoluzione dell’eroe (il macellaio del mercato del pesce di Rashida Jones, che era una maestra quando i cittadini si preoccupavano di imparare le cose). E naturalmente nella colonna sonora ci sono occasionalmente canzoni pop, una pratica che è diventata obbligatoria nei film d’animazione dopo “Shrek”.

La storia nella storia

Ma dato che il solito Pixar-DreamWorks-Blue Sky è l’unico tipo di animazione che è permesso nelle sale mainstream in questo momento, anche una piccola variazione è così velenosa dal punto di vista commerciale per gli animatori che “Klaus – I segreti del Natale” – l’ennesima versione di una delle storie più raccontate della storia, e un film che si adatta abbastanza bene al modello del mercato, tutto sommato – è stato segnalato come difficile da finanziare. Alla fine è stato realizzato da Netflix e (dopo una breve corsa nelle sale) sarà visto principalmente su televisori, computer portatili e telefoni piuttosto che sugli schermi dei cinema, dove le sue qualità più distintive hanno maggiori probabilità di essere apprezzate. In tutto questo c’è una storia di business, che non rallegra i cuori dei giovani animatori. Non sono più un bambino, ma quest’anno potrei scrivere una lettera a Babbo Natale per chiedere che la gamma di possibilità artistiche dell’animazione commerciale si apra di nuovo, in modo che film come “Klaus – I segreti del Natale” – e lungometraggi animati della Laika come “Coraline” e “L’anello mancante”, e importazioni idiosincratiche come “Un gatto a Parigi” e “Funan” – non siano trattati come deviazioni preoccupanti dalla norma.

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