Io, Vincent Van Gogh, tra poesia e malinconia
Corrado d’Elia ha presentato ieri, in prima nazionale, il suo nuovo “gioiellino”: Io, Vincent Van Gogh. Lo spettacolo è in scena al teatro Leonardo di Milano fino al 19 maggio. Sul palco, l’attore, ideatore e regista della rappresentazione, ricostruisce la vita interiore e più intima del genio olandese, prendendo spunto dagli scritti che il pittore “incompreso” e poi venerato, ci ha lasciato: lettere al fratello Theo a altre riflessioni. Si tratta di documenti completamente rielaborati dall’attore e rivisitati per il teatro. Nei suoi scritti il pittore esprime il mondo interiore di un artista e soprattutto di un uomo che vive della sua vocazione. Solo sul palco, seduto su una sedia al centro della scena, d’Elia dà voce a Van Gogh, trasformandosi anche nell’ “Aristofane” della vita del genio sfortunato.
La rappresentazione si avvale del talento di Chiara Salvucci che ha perfettamente curato le scene e la grafica. Assistente alla regia è Sabrina De Vita. Le luci sono di Christian Laface, il suono di Gabriele Copes. Lo spettacolo è prodotto dalla Compagnia Corrado d’Elia.
Recensione
Di Corrado d’Elia ho visto molti spettacoli e devo al suo Caligola (tratto dal testo di Camus), la consapevolezza della mia passione per il teatro. Teatro di cui a me interessa soprattutto l’essenzialità del messaggio. Ho sempre inteso il teatro più sostanza che esperimento di estetica. E quindi quando si va alla ricerca della sostanza tutto quello che è superfluo va necessariamente messo da parte. Gli orpelli possono distrarre lo spettatore dal messaggio, inteso come ciò che l’artista vuole comunicare. Io, Vincent Van Gogh è forse lo spettacolo di d’Elia che più mi ha emozionato, fino alla commozione. Mi ha emozionato non perché il racconto sia tragico, cosa che non è, e non vuole essere, ma per un equilibrio perfetto tra testo recitato, scenografia essenziale, pulita e giocata su cambi di colore tanto cari all’artista, e musiche che evocano lo “psichedelico”e che potenti intercalano i diversi momenti della narrazione.
Lo spettacolo di d’Elia
Lo spettacolo è metafora di una pennellata poetica e malinconica. d’Elia dipinge il suo testo poco alla volta, raggiungendo l’effetto dell’emozione, che è poi il compito di chi fa teatro. Incalza, giungendo alla fine della rappresentazione a completare il suo splendido quadro.
Nel testo di d’Elia, Van Gogh appare riflessivo, lucido e introspettivo; anche quando il mondo dell’artista si sgretola, nell’avverarsi di una profezia iniziale. Ricorda l’interprete, evocando la nascita dell’artista, che il nome Vincent era quello del fratello di Van Gogh morto un anno prima della venuta al mondo del pittore e forse questo fardello può condizionare l’esistenza. Non amo molto le analisi psicologiche, quelle che vanno a indagare nei nostri ricordi remoti, rimossi e personalissimi alla ricerca delle cause del disagio. Il malessere a volte può essere banalmente provocato dal contesto in cui ci muoviamo e dalle troppe delusioni. Fatto sta che nello spettacolo emerge piuttosto una sincera ricerca da parte del pittore di trattenere i colori per appropriarsene. Una sorta di adorazione della natura, trasfigurata dallo sguardo del genio creativo.
Conclusioni, Io Vincent Van Gogh
Recita d’Elia sempre evocando il pensiero di Van Gogh: “Sono io che mi sono tagliato l’orecchio o siete stati voi?” Van Gogh a causa di questo gesto bizzarro, viene ricoverato nel manicomio di Arles, in Francia, cittadina dove si era trasferito dopo gli anni vissuti a Parigi. L’artista era costretto dagli “alienisti” dell’epoca, a ore e ore di immersioni in vasche di acqua fredda. Recluso in un ambiente asettico e freddo, attendeva trepidante la visita dell’adorato fratello Theo. Forse quegli incontri erano più terapeutici di un manicomio che ti stigmatizza in malato mentale, incurante della tua capacità di introspezione e soprattutto del tuo genio creativo, etichettandolo come comportamento bizzarro.
Van Gogh, ricorda d’Elia si suiciderà con un colpo di pistola dentro una fossa piena di letame. E’ anche questa per gli esperti una scelta bizzarra, che in psichiatria non indica nulla di buono, ma comunque straordinariamente simbolica. Qui entra in gioco l’ermeneutica, che in antropologia ci vuole figli di una cultura fatta di simboli che hanno un significato e un valore culturale riconoscibile.
d’Elia: Van Gogh tra vita e arte
La domanda che conclude lo spettacolo è un interessante spunto di riflessione: “E’ più importante la vita o l’arte?“. Forse la vita è arte e l’arte è vita. Si tratta di due concetti imprescindibili. Quello che importa è cosa creiamo nella nostra vita e Vincent Van Gogh ha creato a dispetto dei dogmatismi, della mediocrità, delle diagnosi studiate che ti etichettano. Van Gogh ha creato, anche grazie alle sue allucinazioni, ai suoi demoni, alla rinuncia ad una vita agiata. Ha scelto di essere se stesso fino al “gran finale” e questo è un gesto di volontà. E’ paradossalmente un atto d’amore verso la vita e l’arte.
Spettacolo da non perdere, che con delicatezza racconta l’uomo e il genio. Spiega d’Elia a proposito del maestro olandese: “I suoi quadri, i suoi disegni e soprattutto i suoi colori ancora oggi continuano ad emozionarci e a raccontarci la sua grande, incompresa umanità.
E’ sempre il cuore quello che ci colpisce, come l’emozione ciò che inseguiamo ogni volta con i nostri racconti. Sarà proprio questo dunque che andremo a raccontare”.
Per informazioni e prenotazioni:
https://www.mtmteatro.it